MARCO MORELLO
Quando la cultura chiama, Piero Marrazzo, presidente della Regione Lazio, risponde con verace entusiasmo. Sgombra subito l’agenda con una pennellata decisa di bianchetto e non dà nemmeno un’occhiata distratta al portafoglio. In fondo, perché dovrebbe? Tanto a saldare il conto, e che importa se è parecchio salato, provvedono ancora una volta i cittadini.
I fatti: a inizio settembre il governatore viene invitato a Venezia per partecipare alle «Giornate degli autori», una rassegna autonoma che si sviluppa in parallelo alla celeberrima Mostra organizzata dalla Biennale. Il governatore deve intervenire a un’affollata tavola rotonda fissata per il pomeriggio di martedì 2, alle ore 15.30. E i cui relatori sono in tutto una dozzina, chiamati a esprimersi su un tema di indubbia attualità e urgenza: «un’analisi aggiornata dei rapporti tra cinema, reti e nuove piattaforme tecnologiche».
Occorre sostegno morale, il dibattito rischia di infuocarsi fino a diventare scottante, il sudore può scorrere copioso, e allora Marrazzo decide di premunirsi: parte alla volta del lido portando con sé non una, non due, non tre, ma la bellezza di cinque persone. Con lui si muovono il segretario generale, due gentili signore della segreteria delle relazioni esterne e comunicazione, il responsabile delle relazioni di cui sopra e un membro della scorta. Una claque ben strutturata, i cui spostamenti costano all’incirca 8mila euro, per la precisione 7.970 iva inclusa. Ovvero poco più di 1.300 euro a testa per uno spostamento di meno di 48 ore. Più o meno quanto una crociera ai Caraibi di una settimana. Esattamente quanto una cena per quattro persone a Villa Piccolomini, secondo il listino in vigore a fine ottobre 2007. E ogni riferimento è puramente casuale.
Il conto della sortita in laguna, l’avrete già capito, è andato a pesare sul già disastrato bilancio della Regione, per effetto di una determinazione datata 29 agosto 2008. Un documento che, peraltro, abbonda di spunti di riflessione già nelle prime righe: quella cifra, a ben vedere un po’ altina per sei viaggiatori, si giustifica con «l’urgenza di provvedere tempestivamente, in vista della prossimità dell’evento, e l’impossibilità di procedere alla consultazione di più agenzie di viaggi nel limitatissimo tempo disponibile». Detto in altro parole: non solo sono partiti in massa, ma si sono affidati a una sola agenzia senza consultare le altre, scartando l’eventualità di trovare uno sconto o, magari, un last minute. Quella è roba per i cittadini, gente semplice, che deve fare economia, mentre 7.970 euro sono una spesa «ritenuta congrua» per il governatore e il suo staff, come beffardamente si afferma in chiusura di determinazione.
Marrazzo, al di là di ogni tentazione (lecita) di montare una polemica, si muove in ristrettezze finanziarie e tra mille paletti. Ma mentre chiude gli ospedali e alza le imposte, mette mano alle casse comuni per partecipare con un lungo codazzo a una «rassegna che si propone di affiancare la riflessione alla visione, la testimonianza sui temi cruciali della società dell’audiovisivo all’ascolto delle voci degli altri, distinguendosi, nell’ambito di un grande festival, come luogo autonomo di scoperta della creatività, di elaborazione culturale e osservatorio privilegiato sul cinema indipendente, in un momento di profonde trasformazioni del settore audiovisivo nel panorama europeo». Che sia pure intrigante, seppure un po’ fumoso, questo nessuno lo nega. Ma perché la presenza di Piero Marrazzo, e sia chiaro non una lectio magistralis ma un interventino stiracchiato affogato in mezzo ad altri dodici, la debbano pagare i contribuenti, rimane uno di quei misteri che forse soltanto un regista particolarmente visionario sarebbe in grado di spiegare.