Il potere e l’intimidazione

Alla fine di queste righe troverete un lancio dell’Ansa nel quale si dà conto della conferenza stampa congiunta dei sindaci di Messina e Reggio Calabria che annunciano la querela a me per aver intaccato l’onore e la dignità delle due città. Si suppone congruo il risarcimento danni stimato in mille euro per ciascun abitante dello Stretto.
Una risata dovrebbe seppellire una decisione di tal fatta. Ma prima di sorridere fermiamoci a valutare cosa c’è dentro questa notizia.
Urge un brevissimo riepilogo: in aprile sono ospite di Exit, e la trasmissione de La7, dedicata al terremoto nella sua funzione di fabbrica delle emergenze, si intrattiene per mio merito o colpa, alla costruzione del Ponte sullo Stretto. Penso che le condizioni urbane e civili delle due città sono così degradate che un ponte legherebbe due realtà in cui l’una esibisce nel centro ancora baracche e baraccati, fogne (metaforiche e non) e l’altra, nell’anno del Signore 2009, vede la ‘ndrangheta impossessarsi dei suoi fianchi, del suo corpo, della sua anima. Vede soldi che girano, appalti che partono. E vede che tutto, più o meno, resta tal quale: l’acqua nelle case ancora è un bene distribuito a qualcuno, non a tutti.
Dico, volendo riassumere: “due città cloaca”. Mi fanno rilevare gli amici messinesi di facebook che il tono del rilievo risulta particolarmente sgradevole. Replico spiegando, illustrando, definendo meglio il mio pensiero e scusandomi infine, com’è giusto, con coloro che hanno ritenuto offensive le mie parole.
Si può discuterne naturalmente, ed è quello che abbiamo fatto in due incontri a Messina. La mia opinione può risultare troppo cruda, e ci sta.
Ma il potere, per la prima volta, decide che è venuto il momento di fare un passo in più: bastonare. Basta con i giornalisti (suppongo comunisti) diffamatori di professione!
Ecco come la realtà si capovolge ed ecco come l’indignazione, quando muta il suo carattere, si trasforma in intimidazione.
La querela, nella sua tragica devianza, assume il valore di un ammonimento. Più che a me è diretta a tutti coloro che avranno una penna in mano e una testa sulle spalle.
Settecentomila euro mi dicono sia il conto salato per le mie parole.
Notizia è buffa e tragica al tempo stesso.
Se avrete voglia di leggere l’Ansa troverete modo per sorridere ma anche, e purtroppo, per assaporare il dolore dell’ultimo stadio, del perché e del per come lo sfinimento civile conceda al potere tale e tanta spudorata immunità. Non ricordo una conferenza stampa congiunta dei primi cittadini della Calabria e della Sicilia contro la mafia, la ‘ndrangheta, contro la politica imbelle, i soldi bruciati, le strade bucate, la speranza distrutta.
Non ricordo un alito di protesta. Nulla, niente, zero.
Non ricordo. Il problema è che noi non abbiamo nemmeno voglia di ricordare. Solo, e per un attimo, ci concediamo il sorriso del compatimento disperato per questo nostro buffo tempo e questo nostro un po’ tragico destino.

(ANSA) REGGIO CALABRIA – Mille euro di risarcimento per ogni abitante delle città di Reggio Calabria e Messina. E’ l’entità del risarcimento chiesto dalle amministrazioni comunali di Reggio Calabria e Messina per le affermazioni ritenute offensive di un giornalista nel corso di un dibattito televisivo.
I sindaci delle due città dirimpettaie, Giuseppe Scopelliti (Reggio) e Giuseppe Buzzanca (Messina) hanno illustrato stamani, a Reggio Calabria, le ragioni della querela nei confronti del giornalista Antonello Caporale e della richiesta di risarcimento danni nei confronti dell’emittente televisiva La7, per l’espressione usata da Caporale che ha definito “Reggio Calabria e Messina due cloache”. I due primi cittadini hanno spiegato che, attivando gli uffici legali dei due enti, avvieranno una procedura comune per il risarcimento danni.
“Abbiamo il dovere – ha detto Scopelliti – di tutelare le nostre comunità da chi cerca di gettare fango su un territorio in evidente crescita. Siamo fortemente impegnati con il collega Buzzanca per costruire un futuro diverso per le nostre due nobilissime città ma evidentemente a qualcuno dà fastidio.
Saremo intransigenti perchè esigiamo rispetto per i nostri concittadini”.
Il sindaco di Messina ha definito l’iniziativa “un gesto dovuto per le comunità delle due sponde. L’affermazione usata – ha aggiunto – è chiaramente lesiva dell’onorabilità di ciascun cittadino. C’è una evidente manovra che tende ad ostacolare il processo di sviluppo di due città in fase di conurbazione che, anche con la realizzazione del Ponte, diventeranno la grande realtà metropolitana pronta a svolgere un importante ruolo all’interno del Mediterraneo. Per questi motivi non consentiremo a nessuno di impedire o quantomeno frenare il cammino intrapreso dalle due città”. (ANSA, 18 maggio 2009)

Quei Berlusconi tenuti a bada

GIORGIO MOTTOLA

Berlusconi non è un prodotto tipico a marchio doc. Una parte degli italiani ritiene che una tale concentrazione di tv e giornali nelle mani di una sola persona si verifichi solo in Italia. Il rapporto di Berlusconi con i media farebbe parte di una tipicità tutta italiana, un’anomalia insomma. La Freedom House, istituto di ricerca americano fondato dai Reagan, che ogni anno stila una classifica sulla libertà di stampa, pone l’Italia al trentesimo posto, dopo Ghana e Mali. Ma l’assalto dei potentati economici agli organi di informazione rientra in una prassi oramai internazionale. I “Berlusconi” parlano tutte le lingue del mondo e rastrellano, in giro per il globo, la proprietà delle più importanti testate giornalistiche. Parlano spagnolo, quando si chiamano Carlos Slim. Inglese, quando il loro nome è Rupert Murdoch o Summer Redstone. Francese quando i volti sono quelli di Lagardère o Marcel Dessault.
Certo, in nessun altro paese il presidente del consiglio nomina direttamente i dirigenti della tv pubblica. E, solo in Thailandia fino a un paio d’anni fa, è allo stesso tempo anche proprietario dell’altra metà privata della televisione. Inoltre, in Europa e negli Stati Uniti, diversamente che da noi, le banche non possiedono direttamente giornali. Gli altri paesi hanno elaborato regole molto più strette a tutela dell’autonomia dell’attività giornalistica.Continue reading

La manipolazione

“Durante i due anni del governo Prodi (2006 e 2007) i tg hanno raddoppiato lo spazio della cronaca nera. Secondo uno studio del Centro d´ascolto dell´informazione radiotelevisiva (nato da un´iniziativa dei radicali) dal 2003 al 2007, il tempo dedicato ai servizi su delitti, violenze e rapine è raddoppiato (se non triplicato) passando dal 10,4% dei tg del 2003 al 23,7% di quelli del 2007”.
Le virgolette servono a riferire che il testo è ripreso da un articolo di Repubblica di domenica scorsa. Chiudendo le virgolette e riflettendoci appena un po’ risulta ancor più impellente la necessità dei partiti di tenere ben stretta la mano sull’informazione.
In Rai infatti fervono i preparativi del nuovo ribaltone.
Informazione fa rima con manipolazione.

Oh cara, c’è la ronda!

rondaLe ronde dunque. Immaginiamoci innocenti ma seduti nel luogo sbagliato e nel posto sbagliato. Dentro un’automobile e a fari spenti. In un vicolo buio o uno slargo disabitato. Si avvicina un signore e ci squadra. “Chi è lei?”. A una ronda cosa si risponde? Anzitutto: si deve rispondere? Bisogna anche mostrare i documenti? O, silenti e imbarazzati, si smamma?
Forse la ronda non è titolata a domandare ma solo ad osservare. Se è buio farà luce con una torcia. Se c’è il sole prenderà gli estremi della targa della nostra auto. La ronda, se è gentile, si terrà a distanza di cortesia. Ma se, mettiamo, quel giorno la ronda è incazzata, ha avuto problemi sul lavoro o un litigio in famiglia. Se, magari, ha bevuto un bicchiere di troppo.
Se la ronda vuol rondare, che si fa?

La dittaturina della Bergamini

carcereCARLO TECCE

Carcere per i giornalisti, da uno a tre anni dietro le sbarre. Meno intercettazioni, meno pubblicazioni. Multe per gli editori. E carcere, car-ce-re per i giornalisti: accolto l’emendamento della deputata Pdl Deborah Bergamini, divieto di pubblicare telefonate non incluse negli atti dell’inchiesta. Chi è costei? Era, meglio: ex assistente (categoria ampia quanto i minatori, gli operai e i lavoratori usuranti) di Silvio Berlusconi, responsabile marketing strategico della Rai e, in alcuni imbarazzanti colloqui, penalmente irrilevanti, moralmente essenziali, non sembrava tanto interessata al “marketing strategico della Rai”, piuttosto alla politica, alla sua parte politica. Sono trascrizioni del 2 aprile 2005, il giorno della morte di papa Giovanni Paolo II, a poche ore dalle elezioni amministrative. Scrivono gli inquirenti: il 2 aprile, intorno a mezzogiorno, una donna contatta la Bergamini. «Le due si lamentano di una persona alla quale non riescono a spiegare che bisogna dare un senso di normalità alla gente al di là della morte del papa per evitare forte astensionismo alle elezioni. Il telefono della chiamante è intestato alla Rai». Lo stesso giorno, alle 14.31, un non meglio identificato Silvio per Deborah: «Le dice che domani sarà a Roma per votare. Deborah gli spiega i propri impegni. L’uomo dice di avere paura per le elezioni e del probabile forte astensionismo dei cattolici. Deborah lo informa che Ciampi ha preparato un messaggio da mandare in onda al reti unificate.Continue reading

“Vi racconto chi mi ha ammazzato”

lasanthaSERENELLA MATTERA

No other profession calls on its practitioners to lay down their lives for their art save the armed forces and, in Sri Lanka, journalism. (Nessun altro mestiere chiede a chi lo svolge di mettere in gioco la propria vita tranne le forze armate e, in Sri Lanka, il giornalismo).
Lasantha Wickramatunga era il direttore del “Sunday Leader”, che è riconosciuto come il principale quotidiano indipendente dello Sri Lanka. In Sri Lanka è in corso da anni una guerra civile, tra il governo e le Tigri Tamil. Lasantha Wickramatunga, in questa guerra, faceva il suo mestiere da giornalista. E non si tirava indietro quando si trattava di denunciare gli abusi del governo, tanto quanto quelli dei ribelli. L’8 gennaio 2009 Lasantha Wickramatunga è stato assassinato. Come già altri colleghi, prima di lui.
It is well known that I was on two occasions brutally assaulted, while on another my house was sprayed with machine-gun fire. In all these cases, I have reason to believe the attacks were inspired by the government. When finally I am killed, it will be the government that kills me. (…sono già stato brutalmente attaccato…ho ragione di credere che gli attacchi erano guidati dal governo. Quando alla fine sarò ammazzato, sarà stato il governo ad uccidermi).
La sua morte, il giornalista singalese l’ha predetta. In un articolo scritto poco prima di essere assassinato e pubblicato postumo. Un atto di denuncia nei confronti di un governo che tiene “sotto attacco” la stampa indipendente e “cerca di controllare gli organi di libertà”.
“Oggi sono i giornalisti, domani saranno i giudici” ha messo in guardia Wickramatunga. Lui non ha tentato di salvarsi e non si è salvato. Ma la sua storia e il suo ultimo articolo, inciso dalla Bbc in un file audio, stanno facendo il giro della Rete e del mondo.

Il dettaglio

lenteingrandimentoFermiamoci a questo dettaglio, un frame della sequenza barbarica dell’assassinio di Luigi Tommasino, consigliere comunale di Castellammare di Stabia.
Il dettaglio: l’uomo faceva politica senza sapere perché e per come. Il dirigente del Pd – avesse potuto – avrebbe votato Berlusconi.
Del suo impegno pubblico non c’è alcuna traccia.
I cronisti non ricordano un suo intervento, una parola, una presa di posizione. Non ricordano un interesse, una passione pubblica, qualcosa che legasse l’uomo all’ufficio.
E infatti non c’era nessuna relazione. Solo il fatto, rilevantissimo, di essere fratello di un ex assessore all’urbanistica lo ha condotto in consiglio comunale e anche alla guida del partito della Margherita in città.
Castellammare è una popolosa e difficile città del sud. Ricca di sogni e di morti ammazzati.
La politica l’ha ridotta a un brandello di carne, piallata dall’indifferenza e dall’incuria.
Lo spirito pubblico era custodito da persone come Tommasino, inabili al pensiero, invalidi nell’esercizio delle funzioni.
Luigi stava lì in nome e per conto.
Mediocre senza colpa, dirigente senza giudizio, amministratore senza idee.
Morto ammazzato, come la sua città.

Il re illusionista

silvioCARLO TECCE

Versione indifferente. Quel telefonino è così tecnologico che mi fa eccitare, quella tronista è così maliarda che mi fa eccitare di più e quel giornaletto degli scandali, pieno di foto sgranate e mezzibusti, è così interessante che merita una Eccitazione con la maiuscola.
Versione snob. Quel ristorante è così accogliente che sembra casa, quel teatro è così pulito che sembra fresco di pulizia, di quella donna rumena che ha appena pulito da me; e quella donna ha un soprabito così elegante che sembra la Fracci.
Versione militante né snob né indifferente. Quel Di Pietro è così comico che sembra Grillo, quel Grillo è così comiziante che sembra un politico, e quel Veltroni, con l’ombrellone e la pancia, è così vero che sembra finto. Speriamo, sperate che Silvio Berlusconi e la sua corte si rivolgano a una delle tre categoria, forse tanto capienti da contenerci tutti. Speriamo, sperate che siamo in una fase di passaggio, che non è vero, che è una finzione (fiction), una delle moltitudini trasmesse in tv. Qualcosa che, direbbe John Stuart Mill, fa sembrare maiali soddisfatti gli uomini scontenti. Succede con una giornata alla tv.
Sabato mattina sulla Rai c’è un programma che sia chiama “Settegiorni”, un armadio (disordinato) di parole di una testata giornalistica che si chiama Tg Parlamento. Continue reading

Ragazze e soldati

violenzadonneMANUELA CAVALIERI

È notte. La città è lontana, ma effonde tutta la sua poesia antica.
Giovani e innamorati, in una piccola utilitaria si scambiano dolci effusioni.
Lei fa l’impiegata, ha ventun’anni: una “bella ragazza italiana”; lui, operaio, ne ha compiuti ventiquattro.
D’un tratto il fragore, inatteso, di un finestrino che va in frantumi.
L’auto è circondata. Sono in cinque. È il terrore.
Picchiano selvaggiamente il ragazzo e lo sbattono nel portabagagli.
Poi i loro occhi cadono su di lei. La ragazza trema; terrorizzata si porta al volto le mani.
La violentano a turno. Uno; due; tre; quattro; cinque.
L’inferno è in questo angolo della provincia di Roma.
Lui, rinchiuso, inghiotte lacrime amare. Uno; due; tre; quattro; cinque.
“Dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle ragazze italiane, credo che non ce la faremmo mai…” ha detto sorridente il premier. E questo è “…un complimento alle ragazze italiane che sono alcuni milioni. Io penso che in ogni occasione serva sempre il senso della leggerezza e dell’umorismo…”

L’urgente bottino di guerra

villariNon è mai troppo vero che il mediocre ha come unico orizzonte il presente. La mezz’ora che lo separa dal pomeriggio.
Prendiamo, è un caso di scuola, la vicenda Villari. Se letta a pezzetti dà il senso di un enorme teatro, il teatrone della politica. Attori professionisti e dilettanti, mestieranti in cerca di una qualche occupazione…
Se invece la riannodiamo tutta abbiamo il senso vivo di questo tempo così mediocre.
Il rompicapo istituzionale, l’ingresso e poi l’espulsione dell’epatologo napoletano dalla commissione di Vigilanza, la furia, la fretta con la quale si è congegnato l’ordigno e poi lo si è disinnescato è figlia di un’impellenza elementare: nominare dieci nuovi capiredattori, tre direttori di tg, altrettanti di rete. Realizzare insomma un urgente bottino di guerra.
La commissione di Vigilanza sulla Rai non serve a niente. La Rai ha già comitati di controllo e a più livelli (il consiglio di amministrazione nominato dai partiti cos’è? E l’Authority per le Comunicazioni cos’è?). Ma c’è bisogno di questa ulteriore scala lottizzatoria.
La politica senza idee e senza passioni non ha granchè da fare che misurarsi con l’attività manipolatoria: possedere la televisione, deciderne i servizi, i volti, e i messaggi.
Tutta una vita dietro al pastone politico del Tg1…