di FABRIZIO D’ESPOSITO per Il Riformista
Impuniti. Poi Mediocri. Adesso Peccatori. Antonello Caporale conclude per Baldini Castoldi Dalai la sua originale trilogia sugli italiani. Caporale è un giornalista di Repubblica, che a un certo punto si è stufato della cronaca e dei retroscena di Palazzo ed è andato a guardare il paese reale. Così il passo dal quotidiano al libro è stato brevissimo. In tre anni, Caporale ha raccontato con il suo stile rotondo e acuminato al tempo stesso, ossessionato dai dettagli, una repubblica fondata sugli sprechi e i privilegi (Impuniti), che caccia i suoi talenti migliori e venera tronisti e veline (Mediocri). Stavolta è il turno dei nostri peccati. Tanti. Peccati civili, però. Perché in Italia manca una religione civile: «Non c’è un Dio laico sopra la nostra testa, non c’è una religione civile che ci tenga uniti e dia decoro alla nostra cittadinanza. Ci sentiamo soli e dispersi. L’unica tavola che ricordiamo, forse, è quella dei dieci comandamenti».
In un paese che «ha smarrito la bussola, e forse nemmeno la cerca più», Caporale “legge” quest’Italia berlusconiana, e prima ancora democristiana, ma sempre furba e senza etica, alla luce del decalogo che Dio dettò a Mosè sul Sinai. I toni però non sono da censore. Anzi. Con sguardo disincantato e senza pregiudizi, l’autore muove la sua ricerca «da un fenomeno che si è fatto religione: il berlusconismo». Di fronte al quale, non c’è demonizzazione che tenga. Molto più semplicemente l’Italia si è arresa al Cavaliere che «trasforma l’apparenza in realtà». Il problema è sì lui, «dittatore, duce, satrapo, imperatore, sultano, zar», ma anche e soprattutto l’atroce paura di Gaber buonanima: «Non temo il Berlusconi in sé. Temo il Berlusconi in me». Illuminante l’amara battuta di Roberto Benigni che Caporale riporta per dimostrare quanto sia cambiata la percezione del peccato nel nostro paese: «Clinton negava e invece a Berlusconi gli piace farlo sapere». Il riferimento è agli scandali sessuali del presidente del Consiglio, dalla minorenne di Casoria alla matura escort di Bari. E quando il premier è costretto a rinunciare ad alimentare la sua icona di macho e superman, ecco che lo soccorre il ricorso alla bugia. Non a caso i capitoli del sesto e ottavo comandamento (non commettere atti impuri; non dire falsa testimonianza) sono intestati all’uomo di Arcore. Altrove, non solo in Europa, ma in tutto il mondo, e Caporale fa l’elenco di numerosi e autorevoli precedenti, sarebbe stato impensabile retrocedere a gossip (come ha fatto il Tg1 di Augusto Minzolini) il sexgate di Palazzo Grazioli e Villa Certosa. Di qui il quesito dell’autore: «Come mai sul terreno della politica non “si muore” di menzogne?». Del resto anche Piero Marrazzo del Pd ha provato a non “morire”. Il governatore del Lazio, prima di ammettere il ricatto nei suoi confronti per il video con il trans, ha tentato di resistere allo scandalo: «Vado avanti, non lascio, è una bufala».
Peccatori è un libro pensato e scritto come un giornale. Nel senso che Caporale ha inserito i diari di alcuni testimoni di tragedie italiane e i reportage dei suoi collaboratori under 30 mandati in giro per il paese. I diari più belli sono quelli di Linda, hostess dell’Alitalia pensionata prima del tempo quando è arrivata la Cai. La sua è anche una lezione di stile, di un’eleganza di altri tempi. Una donna che si è ricordata di santificare le feste (terzo comandamento) in modo memorabile, scegliendo il fiume Mekong «come sede provvisoria della sua vita». Scrive Linda: «Mai avrei immaginato, prima del 9 dicembre 2008, di poter fare un viaggio così lungo. Di viaggi in trentasei anni da assistente di volo in Alitalia ne ho fatti a migliaia, ma sempre legati al turno di lavoro. Fino alla mail notturna del 7 dicembre 2008: “Distinta signora, dal giorno 9 dicembre il suo rapporto di lavoro sarà sospeso e lei entrerà in cassa integrazione straordinaria. Distinti saluti”. Prima che al lavoro perso penso al grazie che manca nella mail del commissario che mi ha appena licenziata».
Di una bellezza dolente e tremenda, il diario di Rossella, che illustra il comandamento quinto: non uccidere. Il set dell’omicidio è L’Aquila. Omicidio perché il terremoto dell’aprile scorso era stato ampiamente previsto. Rossella è una sopravvissuta che ricorda bene. Sono pagine agghiaccianti, che commuovono, che fanno arrabbiare perché «segnano l’ignavia, la superficialità, l’approssimazione che accompagneranno la città alla morte». Per settimane Rossella e la sua famiglia, marito e bimbo, hanno vissuto con la «valigia del terremoto» pronta. Loro come quasi tutti all’Aquila. Prima del botto finale, la terra ha tremato per mesi. Eppure la Protezione civile di Bertolaso invitava tutti a rimanere tranquilli in casa: «In me affiorava la consapevolezza che la tragedia non fosse maturata il 6 aprile, in conseguenza di un terremoto devastante, ma in altri tempi e per il concorso di cause diverse. In realtà quelle persone morte sotto le macerie dei palazzi avevano cominciato a morire molto prima di quella notte». Il lutto improvviso e indicibile attraversa poi il Venerdì Santo: «Il Miserere che i musicisti e il coro del conservatorio dell’Aquila eseguivano lungo le vie del centro storico, oscurate e parate a lutto, esprimeva un dolore immenso ed era lo stesso dolore che noi tutti, cittadini dell’Aquila, ovunque fossimo finiti, in quel momento provammo in modo corale. Penso che mai come in quei brevi e intensi istanti, noi aquilani abbiamo avvertito l’intimo e fraterno legame che nasce dalla condivisione del dolore e che nessun altro può capire perché solo noi c’eravamo».
Peccatori, ovviamente, si conclude con il decimo comandamento: non desiderare la roba d’altri. Rappresentato, nel terzo millennio, dal gioco, dal lotto, dai maghi, dal demone low cost. Sono tantissimi a cercare una scorciatoia per evitare di faticare e sudare. I numeri che Caporale riporta sono impressionanti: in Italia «i maghi e gli astrologi sono ben 155mila e il loro giro d’affari è pari a 6 miliardi di euro, con un’evasione fiscale stimata intorno al 99 per cento». E ancora: «gli italiani hanno bisogno dei maghi» perché «la credulità è confortevole, la speranza fiacca lo spirito meno del lavoro, la delusione, quando marca l’uscio, di regola è figlia del malocchio». Un fenomeno, questo, che coinvolge tre milioni e mezzo di famiglie, ossia il 18 per cento della popolazione. E in fondo anche Berlusconi è un mago. Come ricorda la giovane deputata Annagrazia Calabria, designata ad aprire il congresso fondativo del Pdl. Nel ’94 lei aveva dodici anni ed era al Pantheon la notte in cui il Cavaliere festeggiò la sua prima vittoria alle politiche. Annagrazia perse il palloncino azzurro e si mise piangere. Poi apparve lui, Silvio, come un angelo. Apparve «per destino o magia», come ha poi realizzato tre lustri dopo la stessa deputata in un’intervista. Da veri peccatori, noi italiani non ci facciamo mancare nulla. Pure il premier adorato come una divinità. Abbiamo tutto, tranne una religione civile.
(dal Riformista del 25 ottobre 2009 – FABRIZIO D’ESPOSITO. Nato nel 1966 in penisola sorrentina. Vive a Roma. È inviato del Riformista, su cui scrive sin dal primo numero. Si occupa di politica e cronaca)