L’estratto – Vizi pubblici e (im)moralità privata: la nuova Italia

I fattacci in Europa e oltreoceano sono conosciuti, studiati, analizzati. E in qualche modo si è sviluppata nella coscienza pubblica e sulla stampa un’azione di compensazione inibitiva: se fai quello non potrai far questo. Se ti comporti così, devi rinunciare a quell’ufficio. E’ un contrasto che non giudica la morale ma solo le conseguenze pubbliche di una condizione privata particolare. E’ la difesa dell’integrità della pubblica funzione, della impermeabilità a qualunque ricatto che il potere dovrebbe in teoria assicurare. I fattacci italiani, invece, sono stati insabbiati oppure tenuti sospesi nell’alveo magico del gossip. Derubricazione di un fatto da grande a piccino, da politico a personale, da pubblico a privato. Vicenda da buco della serratura. Scandalo rosa, evento futile, roba da rotocalco popolare, rivista per ingannare l’attesa dal parrucchiere. Gossip. Parola fino a qualche anno fa utilizzata soltanto dagli addetti ai lavori e oggi, non a caso, entrata nel lessico comune a discriminare i fatti importanti da quelli irrilevanti. L’universo di questi eventi è stato fatto rientrare in una no fly area, in una zona interdetta al racconto e al giudizio. Una sorta di immunizzazione popolare, complice una stampa e soprattutto una televisione reticente, ha reso incerte e buffe le vicende che hanno riguardato il tragitto dei corpi di tante ragazze dal punto di partenza alla finale destinazione. Da Noemi Letizia all’escort Patrizia D’Addario e all’amica Barbara Montereale, entrambe “procacciate” dal rampante imprenditore Gianpaolo Tarantini, indagato dalla Procura di Bari per induzione alla prostituzione e detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, sino allo sviluppo politico delle carriere di ragazze (Francesca Pascale) ex vallette, modelle, letteronze (Elisa Alloro, Barbara Matera tra le molte altre) candidate o anche elette consiglieri provinciali o europarlamentari. Al contrario: l’Italia sa tutto dell’attacco del direttore de «Il Giornale», di proprietà della famiglia Berlusconi, Vittorio Feltri al collega di «Avvenire» Dino Boffo. Un colpo frontale sui costumi sessuali del dirigente (laico) in alto grado nella gerarchia cattolica. E ancora: la gente sa delle due querele con richiesta di risarcimento contro «la Repubblica» per le “dieci domande” avanzate al premier e all’«Unità» per due distinte edizioni del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Manca il resto. Conosce la fine ma non l’inizio del racconto, sa che sono state avanzate delle domande (rimaste inevase) ma non conosce il contenuto di esse. Cortina fumogena? Schiuma ammorbidente? […] Boffo viene condotto alla gogna nel giorno del mancato incontro a l’Aquila per la Perdonanza, il perdono pubblico di un uomo di potere, tra il cardinale e segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone e Silvio Berlusconi. Non preoccupa alla gente che, ormai assuefatta alle esagerazioni verbali e sessuali del premier, si rivede nei sui comportamenti. Lì davanti c’è Berlusconi con i suoi soldi e le sue donne, i suoi elicotteri e le sue serate, dietro – con in mezzo l’evidente assenza della Chiesa – c’è la gente che vuole avvicinarsi al capo. Toccarlo, a distanza. Imitarlo. Difenderlo, contro chiunque. Pronti, via: scrive Emanuel Tribbia sul forum de «Il Giornale»: «Da cattolico dimenticavo una nota per Bagnasco: anch’io faccio parte di una comunità cristiana (che grazie a Dio coltiva le sane radici anche del rito antico e prende esempio dalle vite dei Santi), e pur tuttavia non rinnovo alcuna stima e nessuna fiducia a chicchessia Boffo e dintorni che parlano di “barbarie”: forse qualcuno è stato martirizzato o peggio seviziato…? Per cui cara eminenza la prossima volta parli a nome suo, grazie. Nel frattempo le rinnovo una sana, urgente e quanto mai pertinente rilettura degli ultimi documenti di Benedetto XVI in materia di prelati…». Il sipario cala con le dimissioni di Boffo e Berlusconi che, per l’ennesima volta, si scaglia contro i giornalisti: «Credo possiate leggere i giornali di oggi dove c’è tutto il contrario della realtà. Abbeveratevi della disinformazione di cui siete protagonisti. Povera Italia, con un sistema informativo come questo». Il risultato è clamoroso: un direttore nominato dalla Cei, tra i pochi uomini pubblici della Chiesa che avevano osato criticare le stravaganze sessuali del Premier, viene costretto alle dimissioni, mentre il Premier, il protagonista principale, può arrogarsi l’etichetta di perseguitato. Sullo sfondo il sesso a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa, nell’angolo la Chiesa che, se da una parte deve indicare l’integrità morale, dall’altra deve tutelare il rapporto con il governo e la maggioranza parlamentare che deve ancora legiferare sul testamento biologico, le coppie omosessuali, la pillola abortiva.

(da Il Fatto del 3 novembre 2009)

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