Il relitto del Sud che ospita solo i disperati

CROTONE, LA CASA DI PITAGORA, IMMERSA IN UNA BAIA MAGNIFICA, AVEVA PUNTATO TUTTO SU CENTRALI ELETTRICHE E GRANDI INDUSTRIE: ORA RESTANO vivalitaliaL’AMIANTO E IL PERCOLATO, I MALATI DI TUMORE, I BARCONI DEI CLANDESTINI, LA ‘NDRANGHETA E UNA SQUADRA DI CALCIO CHE SOGNA LA SERIE A. MA I GIOVANI, APPENA POSSONO, FUGGONO
Pitagora sarebbe presto ammattito e avrebbe rinunciato per disperazione a costruire il suo teorema. Altro che ipotenusa e cateto! Crotone, la sua città, ha ridotto in cenere la ragione e ogni equivalenza possibile. Benché immersa in una baia magnifica – infatti risulta comicamente area marina protetta – è avvelenata fino nelle sue narici. Cammina ogni giorno sul bitume contaminato da una schifezza dalla sigla oscura (il cic, conglomerato idraulico catalitico), manda a scuola i suoi figli e trova l’amianto, attende il passaporto in Questura e l’aspetta il cadmio. Cerca l’ospedale e spunta la clinica privata, punta al mare e trova in spiaggia una grande discarica di scorie industriali. Qui il lavoro si trasforma magicamente in un appalto chiuso, devoluto alle solite famiglie dominanti, filiazioni barbariche dello spacchettamento territoriale in divisioni ’ndranghetiste. Cerca la politica e bussa a casa di gente civilmente disastrata. Un sindaco, Pasquale Senatore, è riuscito a edificare su un alto pianoro, affinché, forse, fosse vista da ogni luogo, la sua personale interpretazione della libertà e della pace: Gladio e la sua spada. Siamo, come vi è chiaro, a un confuso e terrificante memorial da Decima Mas.
Finanziamenti statali buttati e il pallone si chiama Vrenna
Crotone è amata e dannata. Fa pentire i suoi figli, li costringe a fuggire. Francesca Travierso ha perso di vista quasi tutti i suoi compagni di scuola: “Eravamo in 28 nella mia classe al liceo, abbiamo resistito in tre. Significa che chi ha un minimo di talento è costretto a mostrarlo altrove, e qui non resta che un abissale vuoto generazionale. Un’intera classe dirigente ha fatto le valigie, lasciando casa al suo destino di merda. Credo che siano partiti i migliori. Così però questa città muore ogni giorno di più. Banale ma vero”. Anche partire costa una faticaccia. La ferrovia è in rovina – binario desolato e interdetto al traffico di umani, solo cani randagi pernottano sotto le pensiline vuote – l’aeroporto è chiuso, da lì decollano i disperati migranti liberati dal locale centro di accoglienza, l’internamento moderno dei derelitti del mondo. Resta a disposizione della cittadinanza la corsia unica della famigerata Statale 106, la strada della morte per via degli abituali, quasi quotidiani incidenti, che corre lungo lo Jonio. “È una città che non si vuole bene e che non vuole essere salvata. Abbiamo ereditato un senso di colpa e lo abbiamo accettato credendo di non meritarci altro che questo. Occorrerebbe una specie di psicoterapia collettiva per elaborare il lutto subìto”, diagnostica il giovane antropologo Davide Scotta, anch’egli appena fuggito. “Crotone era il fiore della Magna Grecia, sede della grande scuola medica, della inarrivabile scuola atletica, ma è disinteressata alla sua memoria, ai suoi antenati. Dovrei alzare bandiera bianca io che ho amato smisuratamente questo luogo, ma non lo faccio, non mi arrendo”, aggiunge disperato il professor Vittorio Emanuele Esposito, preside oggi in pensione del liceo classico.
Crotone sembra il teatro permanente della sciagura umana, di quanto ci costi curare la bellezza nostra, la salute nostra, di come i soldi ci abbiano impoveriti, resi sudditi, ridotti a brandelli a volte – fuor di metafora – nelle corsie di oncologia degli ospedali del nord. Scatoloni di euro (e prima miliardi di lire) mangiati dalla nullafacenza, da bugiardi programmi di bonifica, da corsi truffaldini di formazione, e ignobili accordi denominati “contratti d’area e di programma”. 170 miliardi di lire una volta, 400 una seconda, 800 la terza. Poi nel decennio trascorso siamo passati agli euro. Cento milioni, poi quaranta poi trenta. Il risultato è stato comunque catastrofico. La più grande città operaia del Sud, e la più antica, e la più rossa, ridotta a uno scheletro. Senza fabbrica, senza lavoro, senza salute. L’unica speranza, che è anche l’ultimo orgoglio possibile, è la squadra di calcio. Crotone gioca a testa alta in Serie B e nello stadio Ezio Scida è dovuta venire anche la Juventus a combattere. Piani alti della classifica, bilanci in equilibrio, ricerca doviziosa di calciatori locali emergenti. Si può giocare bene anche se il portafogli è vuoto. Si può lottare per la promozione con ingaggi da operai rispetto al lusso degli altri club. Nei giorni scorsi ci sono state piogge alluvionali, ma il manto erboso ha tenuto, oggi splende il sole e con Antonio Galardo, la gloria degli ultras, saggiamo il terreno: “Possiamo allenarci, mi sembra tutto a posto”. Galardo ha 37 anni e continua a giocare bene, è nato qui, nel rione più povero (Fondo Gesù), e non si è mai mosso da qui, dalla linea arretrata di centrocampo. Fa l’interditore: blocca l’avversario, se ci riesce avanza e smista all’attacco. È una vita da mediano, una vita da gregario: “Sono 17 anni che combatto a centrocampo, e sono state gioie e dolori. La porta l’ho vista poche volte, in rete vanno gli altri. Io esulto da dietro. Però non esiste possibilità che cambi squadra adesso, e sono felice non sai quanto”. Come Totti, Zanetti e Del Piero. Anche lui è un simbolo, ed è forse il più vivo, l’unica scialuppa a cui aggrapparsi. Certo, il calcio non si sottrae alla storia calabrese.
La squadra è detenuta da un nome pesante e ingombrante, la famiglia Vrenna, imprenditori di tutto, calamita di appalti, professionisti con collaudate, connesse e facoltose sponde nella politica. Il cognome rimbomba nella storia locale, rimanda a lunghe inchieste giudiziarie di Pierpaolo Bruni, giovane pm antimafia che a Crotone è nato e, per amore della sua terra, in quella procura ha lavorato, qui ha visto coronare le sue fatiche, i successi e anche gli insuccessi. “Sono giudiziariamente accertati i legami tra politica e ‘ndrangheta, assodato che la malavita arricchisce poche mani e lascia tutti nella miseria. Nulla ci è oscuro, purtroppo”. Fu proprio Bruni a inquisire Raffaele Vrenna, il presidente della squadra di calcio. Condannato in primo grado ma assolto in appello. Vrenna rifiuta da allora, comprensibilmente, ogni accostamento o rievocazione. Esiste il Crotone ed esiste perciò il calcio criminale? Un pentito (fa di cognome Bonaventura) riferì negli anni scorsi di illeciti, soldi e partite di kalashnikov, devianze ed estorsioni. Lui, il presidente, gli contestò ogni virgola e annunciò querela.
L’eolico e la cosca Arena
Marrelli è il signor sanità In Calabria il sistema pubblico non esiste. Ogni rivolo di spesa confluisce in tasche private. Ha il vento da far sfruttare eppure l’ha regalato alle imprese eoliche che hanno costruito le torri nei terreni degli Arena, cosca illustre della formazione criminogena locale. Ha i rifiuti da smaltire? Ecco i Vrenna, specializzati nella raccolta e termodistruzione. Ha la salute dei cittadini da difendere? Nessun problema: a Crotone c’è Massimo Marrelli e la sua catena di hospital all’avanguardia. Tutto privato, tutto però convenzionato. Gli ospedali cascano, chiudono, si trasformano in luoghi del permanente dolore, il professor Marrelli apre, allarga e, anche grazie al suo merito e alla sua intraprendenza, ammoderna, specializza. Dalle cure odontoiatriche (una vera eccellenza, bisogna dirlo) alla chemio (una vera disgrazia sociale). L’imprenditore qui non può vivere senza la politica, senza l’aggancio, l’amica o l’amico. Per Marrelli la connessione è praticamente tradotta in decreto, sigillato in un atto burocratico: sua moglie, architetto, già manager della salute, è vicepresidente della Regione. Si chiama Antonella Stasi, ed è la vicaria di Scopelliti, il governatore del centrodestra. Antonella è la vice Peppe: dove non c’è lui c’è lei e – per proprietà transitiva – dove lei non c’è più (le cliniche) resta il marito a presidiare, avanzare, sostenere e inaugurare. Hanno anche la tv, per non farsi mancare niente. Se la classe politica è predatoria l’impresa è funzionalmente, filosoficamente prenditrice. L’imprenditore – questo il teorema disgraziato e inossidabile – esiste solo se c’è l’appalto pubblico e quell’aiutino sistemico che beffa ogni proposito di concorrenza, ogni ottimismo nel proprio talento, ogni fiducia nelle pari opportunità. A Crotone le torri delle ciminiere, ormai tossiche, spente e fallite, il luogo dove Montedison produceva i fosfati e Pertusola sud lo zinco, hanno le cuffie del call center. Crotone è infatti la capitale dei telefonisti, la destinazione via cavo dei nostri bisogni, delle nostre richieste d’aiuto. E il detentore di questa macchina risponditrice a cui è legata la vita di intellettuali disoccupati, ingegneri, medici, avvocati e architetti, si chiama Sergio Abramo. Che, guarda un po’, fa il sindaco di Catanzaro dal 1997 per il centrodestra e nell’intervallo tra un mandato e l’altro è riuscito anche a essere consigliere regionale. Per i 5 anni di dedizione alla causa gode di un assegno vitalizio di 2.800 euro mensili, somma ricevuta allo scoccare del 55esimo anno di età. Infatti appena 12 giorni dopo aver spento le candeline ha chiesto e ottenuto la pensione accessoria. Il nostro Abramo sa fare anche impresa, infatti è sbarcato in Albania, terra di più fertile contaminazione, dove il pacco telefonisti costa pochi euro al giorno. A Crotone il suo call e recall è l’unico salvagente rimasto. Fondi pubblici naturalmente sono serviti per la sede, per agevolarne i contratti, ottimizzarne la resa. Sono moltissimi i giovani che trovano riparo negli stanzoni dove le più grandi aziende italiane indicano il loro customer care.
Il porto per gli extracomunitari e la solidarietà low cost
L’opacità rende più del sole splendente, l’estorsione più dell’onestà. La ‘ndrangheta è più forte dello Stato. Sono continue siringhe criminogene che agitano tutto il corpo di questa terra così martoriata da sembrare morta. Perciò dalla Calabria l’Italia non sembra aspettarsi mai nulla di buono. E per questo alla Calabria l’Italia volta sistematicamente le spalle. Semplicemente non c’è, non esiste. E se esiste è solo per accogliere i barconi dei disperati. Ecco l’altra industria che non soffre crisi: quella dell’accoglienza, in mano alla Misericordia che riesce a fare prezzi favolosi per alimentare la sua carità. A Crotone servono solo 22 euro a giorno per migrante, contro i 40, i 50 degli altri centri. Un ribasso notevolissimo. Ma chi guarda, chi controlla, chi eventualmente censura? Certo, anche qui c’è gente che dimostra come il volontariato possa essere sincero e non la grande ipocrisia sotto cui si cela un’industria aggressiva. Pino De Lucia, presidente della cooperativa Agorà, è impegnato nella lotta al disagio sociale dei figli di Crotone. Cura da artigiano la sua comunità che può ospitare e dare completa assistenza solo a nove persone. Cioè niente. Sono gli effetti della spending review.
E risplende come un fiore nel deserto l’integrità economica di Viviana Sacco che insieme al suo papà Gerardo e ai fratelli immagina, produce e distribuisce gioielli. È orafa e il suo fatturato, 4 milioni di euro, non sbuca dalla solita cassa pubblica. Viviana aveva appena finito la Luiss e voleva correre verso il nord, sperimentare altrove le sue doti manageriali: “Però papà aveva bisogno di me, l’azienda non passava un buon momento e io mi sono applicata ai bilanci. Siamo soli, periferici, accerchiati da un territorio che non ti aiuta. Eppure ce la facciamo. Abbiamo smesso con l’oro, produciamo gioielli d’argento e insieme ai ragazzi che lavorano con noi, sono una decina, immaginiamo, creiamo, sperimentiamo. Vorrei andar via da qui, trasferire l’azienda, trovare un luogo più accogliente. Però i dipendenti perderebbero il lavoro, che è la loro vita. E quindi rinuncio”. Viviana è giovane e grintosa e sta bene in salute. Anche Tina De Raffaele è mamma, ed è piena di grinta. E quando ha scoperto di avere un cancro, quando ha capito che il tumore insegue lei e la sua famiglia ha scelto di non fuggire, di resistere qua. Ha messo la sua faccia su Facebook a disposizione dei tanti che piangono i morti della Pertusola, le vittime della grande siderurgia italiana. A Crotone si muore di più che negli altri posti, l’innalzamento delle percentuali è terrificante: siamo a una media del 15 per cento. Fino a ieri erano invisibili, corpi adagiati sui letti del San Raffaele a Milano, o a Bologna, o a Roma. Invece grazie a Tina qualcosa di nuovo e di bello è nato. Mille mani e mille palloncini bianchi sono sfilati per la città nelle scorse settimane. Crotone è come Taranto e forse peggio. Ma non ha voce, nemmeno tenta più di farsi rispettare, di ripulire la sua faccia sporca, i luoghi dell’indecenza e della morte radioattiva. Partì dalla sua Crotone anche Rino Gaetano, funambolico cantautore scoperto dagli italiani dopo la sua morte. Resta una stele in piazza a ricordo. Crotone non ha più lacrime per piangere e qui nessuno arriva più.
da: Il Fatto Quotidiano 8 dicembre 2013

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3 Comments

  1. “La verità è che i luoghi esigono fedeltà assoluta come degli amanti gelosi: se li abbandoni, prima o poi si fanno vivi per ricattarti con la storia segreta che ti lega a loro, se li tradisci, la liberano nel vento, sicuri che ti raggiungerà ovunque, anche in capo al mondo”. (Carmine Abate, La collina del vento)
    Inizio questa mia riflessione citando le parole di un autore che “vive” la Calabria, pur non abitandovi, che la ama, essendone figlio, che attraverso le sue parole stimola ad amarla. La Calabria, e Crotone particolarmente, reclamano da sempre una presenza attiva ed operante, sono stanche di chi usa solo vilipendio nei loro confronti, non hanno bisogno di quelli che l’abbandonano e poi dall’alto le rimproverano i loro difetti. Chi osa dire che i migliori partono? I migliori sono quelli che restano, che non lasciano il campo di battaglia, che portano nella loro anima le anime della loro terra, le custodiscono, se ne inorgogliscono, le respirano, e le amano, si, le amano! Il giornalista Antonello Caporale, nel riportare, in un servizio pubblicato domenica scorsa su Il Fatto Quotidiano e dedicato alla nostra città, fatti veri (che riguardano tutto il Sud, e qui si potrebbe aprire il discorso sulla questione meridionale, ormai non citata più nemmeno a livello di programma dai vari governi che si succedono), fa, a mio modesto avviso, un errore di prospettiva: parla delle conseguenze dell’arretratezza (economica, culturale, sociale, politica), ma non delle cause che l’hanno determinata. Diceva Salvemini, e ciò vale anche per quell’articolo (accattivante, ma col rischio di essere populista), che sono gli aspetti economici e politici, che hanno determinato la vicenda del Sud. Certo, chi resta (ma anche chi se ne va, pensando a se stesso e non a dare un contributo alla sua terra) ha colpe in questo degrado; è un alibi invocare sempre e soltanto le colpe dello Stato e delle istituzioni. Ma, se uno “vive” la città di Crotone nel quotidiano, come se “vive” la Calabria e il Sud, sa che ci sono energie, realtà e aspetti positivi: penso a quelle famiglie che nel nascondimento danno ristoro e speranza ai meno fortunati, ai nostri fratelli che vengono dall’altra sponda del Mediterraneo; penso alla maestria artigiana che offre prodotti celebrati in tutto il mondo; penso a una tradizione enogastronomica che si rinnova mietendo successi. Chi fa giornalismo non dovrebbe, per orgoglio intellettuale, cedere al facile sensazionalismo, ma dovrebbe essere pacato, oggettivo e cercare, se non il vero, il giusto. E dovrebbe saper individuare le cause e chiedere a se stesso, prima che ad altri, come mai Crotone prima sia stata capace di essere intraprendente, industriale, e poi, nel giro di pochi anni, si sia impoverita. Caporale non ha mai indicato precise responsabilità, e non poteva essere diversamente, visti gli interlocutori con i quali si è incontrato. Si è limitato ad ascoltare voci, chiacchiere, racconti, storie, aneddoti. E ne è venuto fuori un quadro sconfortante, nel quale sembra trovare gusto la descrizione a forti tinte, dove non sai più se si sta parlando di un capoluogo di provincia di un paese europeo o di uno di quei paesini che compaiono nei film western, con le strade impolverate, le stazioni isolate e lontane, i pistoleri sempre pronti all’azione. Una descrizione che un po’ ricorda quella più famosa fatta da Pasolini su Cutro. Ma, senza volersi atteggiare a maestrini, non è questa l’arte dell’inchiesta! La comunità locale, le sue classi dirigenti avranno mille difetti e responsabilità, e li hanno, ma se lo Stato ti chiude la ferrovia o ti declassa l’aeroporto; se non ti fa partire la bonifica o ti vuole trivellare il mare per trovare il petrolio dopo che ti sta succhiando da decenni metano senza alcun beneficio per il territorio; se costringe a una nuova emigrazione della salute perché ti taglia i servizi sanitari o ti assegna il ruolo di frontiera per i migranti che qui vengono portati e abbandonati a se stessi, costretti a usare la stazione e i giardini come dormitori pubblici; se, insomma, non crea sviluppo, non dà lavoro, fa partire i giovani privando del suo futuro l’intero territorio, che bisogna fare, unirci ai forconi o attuare uno sciopero della fame di massa? Davvero viene spontaneo domandarsi se facciamo ancora parte della nazione Italia e se il resto della comunità nazionale avverte che sta rinunciando a una parte del suo corpo ritenendola ormai irrecuperabile. Non basta la descrizione cruda e disperante, occorre chiedere a se stessi se si sta facendo di tutto per riportare quotidianamente il sud nell’Europa e in Italia e all’attenzione dei poteri che decidono. I “sopravvissuti” stiamo facendo miracoli, costretti ad agire nell’indifferenza e nelle compatibilità di bilancio. Perché, dottor Caporale, mi creda, ma la convinzione che tutto questo fiorire di leggi di stabilità, fiscal compact, spending review, spread e quant’altro sia, alla fine, l’ultima fregatura sulla pelle del sud non me la toglie nessuno. Ne prenda atto, dottor Caporale. Venga a Crotone. Venga a parlare con gli uomini e le donne che davvero rappresentano questa città e questo territorio e, ne siamo certi, cambierà idea. A presto rivederla.

  2. egr. dr. Caporale in merito al suo articolo di domenica 8 dicembre sul Fatto Quotidiano “ Il relitto del sud che ospita solo i disperati”, mi occorre chiarire e precisare un punto e fare alcune constatazioni.
    La precisazione riguarda l’affermazione dell’esistenza di una “catena” di Hospital, ovviamente non esiste nessuna catena, esiste da 35 anni il brand CALABRODENTAL (Marreli ne ha 54 di anni), brand associato ad una clinica odontoiatrica con unità autonoma di chirurgia maxillo-odontostomatologica all’avanguardia per procedure, protocolli, attrezzature, materiali e visione dell’eccellenza.
    Il Marrelli Hospital ha appena iniziato l’iter amministrativo ai fini dell’autorizzazione, si occuperà di chirurgia a prevalente indirizzo oncologico e di radioterapia, non si occuperà di somministrazione di infusi chemioterapici.
    Ma, e questa è la constatazione, di questo a Lei importa il giusto, quello che evidentemente le premeva era il titolo da “Signor Sanità” magari da associare di striscio a fatti e nomi di malavita organizzata con qualche puntatina nel malaffare pubblico o privato che sia , concludendo con la ricercata e trovata “connessione” con la politica nella persona dell’architetto Stasi, vicepresidente della Regione Calabria dal 2010 ( non dal 1978)!
    Non le importa affatto invece se il Gruppo Marrelli è tra i pochi (pochissimi dalle nostre parti) con dirigenti e collaboratori con età media da Silicon Valley, non importa se Marrelli è un imprenditore (non prenditore!) sicuramente illuminato ma, soprattutto, che ha saputo discernere il bene dal male, no quello che importa e poter applicare questa sorta di metodo Boffo “ammorbidito” ad uso e consumo, magari anche privato.
    Cordiali saluti

  3. Disperazione, impotenza, tristezza, sono questi i sentimenti che ho nel cuore dopo aver letto l’ articolo. La disperazione per una Italia dove non è più possibile tornare in dietro. Impotenza, l’unico modo con cui potevo dimostrare il mio dissenso era il voto. Non so più chi votare, spero nella modifica della legge elettorale per poter continuare a farlo ( ci sono ancora bravi politici). Tristezza, questo sentimento è per mio figlio, è per i giovani che come lui che, caparbiamente, stanno tentando di dare un senso alla loro vita qui nella nazione dove sono nati!!!!

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