Il Senato non vuole farsi il funerale (e pensa al futuro)

DESTINATI A ESSERE SOSTITUITI DA ESPONENTI DI REGIONI E COMUNI, GLI ULTIMI ELETTI DELLA CAMERA ALTA RESISTONO
Aprirò un ristorante. Voglio provarmi in cucina, ho un amore finora taciuto ma intenso con i fornelli. Sarò cuoco, e con orgoglio”. Sic transit gloria mundi. Ora che il Senato degrada a palazzo di secondo grado, e si riduce per effetto del renzismo, ad ospizio delle regioni d’Italia, l’indimenticato Roberto Calderoli, un pezzo di marmo leghista di palazzo Madama, proietta il federalismo a basso costo tra i vitigni delle Langhe, “la mia compagna è di lì, vivo a un passo da Barolo, amo i tartufi”. Esiste una secondlife per tutti e adesso è tempo di pensarci, di valutare, di soppesare. Resistere o arrendersi? “Negli occhi dei miei colleghi noto quel bagliore triste, quel fondo di malinconia che accompagna l’idea di lasciare. Con me, intossicato di politica fino al midollo, nessuna alternativa è praticabile. Vorrà dire che mi acconcerò a fare le primarie (la prossima volta saranno vere non quegli accrocchi che abbiamo messo in campo lo scorso anno)”. Vorrà dire che Nicola Latorre ritornerà nel collegio di Fasano in Puglia, gli toccherà andare di casa in casa e chiedere, promettere, rassicurare.
SI RITORNA ALL’ANTICO. Alla terra, alla zappa. “Un rapporto con la mia gente lo coltivo ancora, seppure a bassa intensità”.
I senatori aspettano che l’ora scocchi, che la travolgente cavalcata del giovane Matteo Renzi, qui ineleggibile per difetto d’età (sta sotto i quarant’anni), giunga a lambire il portone d’ingresso. Bisogna resistergli, ma come? Nell’attesa di valutare la disobbedienza hanno proclamano lo stato di agitazione. Se si dovrà battagliare qualche bagliore di fuoco amico si metta in conto. Perchè è vero che Renzi vuole tracimare, “ma noi non siamo tacchini” (Calderoli) e qui, in queste magnifiche stanze acquistate a rate da papa Leone x nel 1505, la voglia di lottare non manca. Quelli di Ncd, il piccolo gruppo di Angelino Alfano, non ne vogliono sapere di alzare da subito bandiera bianca. “Loro sono per il bicameralismo perfetto, e dovremo ragionarci, riflettere e convincerli perchè una riforma costituzionale di queste dimensioni non deve subire l’ansia della propaganda”, dice Miguel Gotor.
Vivere è meglio che morire, “ed esserci è molto più bello che non esserci”. Banale ma vero. Angelica Saggese, segretaria comunale di Agerola, sui monti Lattari, la criniera della penisola sorrentina, giusto l’anno scorso mise piede per la prima volta qui. Ha affittato un appartamento a campo dei Fiori, al mattino raccoglie le cose e con una breve passeggiata raggiunge il lavoro. Pigia, parla, contesta, asseconda, ubbidisce. La vita di una senatrice ha ritmo e una sua propria metrica. In gruppi si dividono, prevalentemente soggiacciono felicemente alle indicazioni del capogruppo, che è come un capoclasse. E insieme sembrano scolari in gita. “Alla sera alcune volte invito a casa i senatori e cucino per loro”. Potrebbe essere felice Angelica di vedere distrutto un inizio, chiuso l’orizzonte, finito un amore? Dunque, la sua impellenza: “È davvero utile chiudere il Senato?”. Il suo segretario dice di sì “Mah, vedremo. Parlano solo di risparmi, ma questo è populismo”. Ad ogni modo alla senatrice Saggese dispiacerebbe davvero un po’, “e sì cavolo!”, invece all’intramontabile Roberto Formigoni l’idea di traslocare, perchè è chiaro, lui malgrado il trentennio di poltrone occupate si trasferirà a Montecitorio, non si affligge, non s’arresta nè si cura di un gesto d’amicizia verso i colleghi morituri. Era e resta Formigoni. “È un palazzo senza luce, abbiamo il filtro continuo di quella artificiale, e senz’aria, la somministrano con una pompa meccanica. E poi guardi, gli scranni sono disegnati per corpi del Settecento, quando gli individui non misuravano oltre i 165 centimetri. Io non ci sto!”. Vedremo alla fine come e quanti ci staranno, e se ci staranno. “I senatori sono probi viri ma non hanno le zampe di un tacchino. Hanno artrigli e li mostreranno”, riassicura Calderoli.
LO CHOC È INTENSO, la Repubblica vive della gloria di questo palazzo e anche dei suoi momenti peggiori: le scazzottate, la mortadella strusciata sul velluto delle poltrone per una ultima profanazione eccitata della caduta di Prodi, la testa piegata di Spadolini al momento di contare la sconfitta per la presidenza dell’aula con l’homo novus berlusconiano, il senatore Scognamiglio poi scomparso dalla scena. Senza giungere ai grandi, fermando il tempo al dettaglio di questo ventennio, il Senato ha dato prova di essere la Camera a più alto tasso di trasformismo. Si sono comprati e venduti tra loro, e sembrerebbe con grande soddisfazione. Ma è cronaca, la storia alta la rievoca il grillino Andrea Cioffi: “Quando entri qui per la prima volta subisci uno choc emozionale. C’è voluto un anno per imparare il mestiere. E appena mi sono sentito pronto per fare la rivoluzione, bum!, ti tolgono la poltrona da sotto il culo”. Che rabbia, che dolore, che ingiustizia. “Stare qui fa sentir bene ma fa stare anche male”. Ingegnere eri e ingegnere ritornerai, caro Cioffi. “Io invece lo considero un onore grandissimo poter mettere la mia firma sul testo che decreta la fine del bicameralismo perfetto. Un riformista deve solo gioire e quando sarà tutto finito per me ci sarà la soddisfazione di aver reso un servizio civile”. Non lacrima Miguel Gotor, il lume che fece luce a Bersani prima che la traversata verso la conquista di palazzo Chigi si inabissasse, e non freme Annamaria Bernini di Forza Italia. “Il Senato non morirà mai. Puoi eliminare i senatori ma non l’apparato. È un po’ come le auto blu: vendi i catorci ma ti restano sul groppone gli autisti, per di più sfaccendati”.

da: Il Fatto Quotidiano 15 marzo 2014

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