A come Artigiani

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PRIMA di giungere a Gioiosa Ionica, quando la piana di Rosarno si allarga verso est, la radio informa che i carabinieri hanno appena sequestrato nelle campagne di Rizziconi, un paese del primo entroterra, dodici micidiali kalashnikov, il pacchetto bomba quotidiano. Nulla di che meravigliarsi: nella Locride ci sono più armi in circolazione che bambini all’oratorio, più poliziotti nelle caserme che educatori nelle scuole, più case abusive che legali. La Locride infatti, prima di essere una fetta d’Italia, è la sede dell’Authority della ‘ndrangheta, con San Luca capitale. È il territorio del più vasto carosello di ’ndrine alleate, ora anche federate, comunque cooperanti per il male comune.

Disoccupato il 75% dei giovani

Conta 140 mila abitanti, comprende 42 comuni, ha il 75 per cento della disoccupazione giovanile. La Locride ha perciò smesso di essere una parola e si è trasformata in una malattia. È divenuta un’infezione del nostro corpo, piaga purulenta, dannazione pura. “Io sono scappato, non ce la facevo più”, dice Carmelo al telefono. Vive a Milano ora, fa il pubblicitario, ma è nato a Caulonia, davanti allo Ionio, alle coste greche, a quella che fu la civiltà di Pericle e ora è la radice quadrata del male. Eppure cangiari si può.

Bisogna presto allenarsi allo stupore, ma resistervi perché in questa terra, custode dell’ortodossia malavitosa, le cose stanno finalmente cangiando, cambiando. “La Calabria è ammalata di destino che la inchioda all’immutabilità del presente, all’idea che nessun sogno è possibile, nessun cambiamento praticabile, nessuna rottura è sostenibile. Ecco, noi siamo partiti con la voglia di sfidare il destino, di essere felicemente temerari, dare ordine alle nuvole in cielo per far splendere il sole”. Era il 1995 quando Vincenzo Linarello avanzò l’idea della sfida. Oggi Linarello presiede Goel, nome dalle radici bibliche, vuol dire “il riscattatore”, che è filiera produttiva, consorzio artigianale, gruppo attivo locale, cooperativa sociale.

Un sogno di taglio biblico

Goel è l’esatta, magnifica dimensione di un sogno che ha ridato senso alle parole e le ha trasformate. Cangiari oggi è un brand di alta moda, una griffe nata dalla sapienza delle nonne della Locride, dalle loro mani di tessitrici d’altura, magiche e invisibili (appunto maghistre), monache nere dei paesi dell’Aspromonte. Linarello e i suoi compagni di avventura hanno succhiato il talento riascoltando le nenie, il libretto d’istruzione vocale (le donne erano quasi tutte analfabete) con il quale veniva tramandata la tecnica, suggerito il talento necessario, illustrata la fatica con dovizia. Ne è nata una collezione di gonne e giacche, lane intrecciate, ricami, merletti, stoffe d’alto rango per gente facoltosa. Cangiari è griffe con sede a Milano, primo marchio di moda eco-etica di fascia alta, disegnata da Paulo Melin Anderson, un creativo già nel team di Martin Margiela, poi con Chloè e design-director di Marni.

Incredibile, no? L’alta moda della legalità, il fashion anti ‘ndrangheta è chiuso in duecento metri quadrati alla marina di Gioiosa, quaggiù. Dietro una casa sbrecciata, un balcone affacciato sul cemento e un parallelepipedo di pilastri inutili, vuoti tecnici dell’urbanistica abusiva, scheletri poggiati in terra e lasciati marcire.

Rossana è sarta, e taglia e cuce, e finalmente riceve uno stipendio, una busta paga perfetta, contributi sicuri, contratto osservato: “Faccia mo cose bellissime e anche se non potremo mai permettercele siamo orgogliose di quel che produciamo. Sono veramente belle queste stoffe, e straordinari i disegni. E, insomma, è un’altra vita questa”.

Milano e poi New York

A Milano lo show room. Imminente lo sbarco a Roma. Collezione naturalmente presentata a Parigi. Cangiari si può, New York aspettaci. Tutto nacque nel 1995 grazie a una chiesa attenta e partecipe. Il vescovo allora era monsignor Bregantini, un vulcano buono di preghiere e opere, senza alcuna omissione. Lo trasferirono a Campobasso come per punirlo, per segnalare alla comunità cristiana che la convenzione e la prudenza sono parametri vitali, elementi che contano nel curriculum di un prelato. Eppure Bregantini qui è ancora fiore di primavera, pulito e profumato. Tutti si ricordano di lui, e ricordano ciò che fece. Lui spinse il circuito cattolico di cui Linarello è leader a organizzare l’economia di base, lui galvanizzò, sostenne e difese questi giovani temerari. Oggi Goel commercializza anche arance e mandarini e conserve rigorosamente bio. “Paghiamo le arance 40 centesimi al chilo contro i 4 di quelli che sfruttano. A patto che gli imprenditori rispettino le leggi, paghino i raccoglitori secondo il contratto e non manomettano la terra, non la tradiscano con i veleni”.

La rivoluzione delle clementine

Non c’è niente di più rivoluzionario e contundente quaggiù di ciò che questa cooperativa sociale fa. Il rifiuto del clientelismo, nessuna segnalazione è accettata, è la proposta antagonista del principio cardine su cui si sviluppa una società precaria e arretrata. Dove c’è lavoro saltuario e malpagato c’è dipendenza cronica. E la dipendenza produce la teoria del bisogno sospeso: nessuno è mai salvo del tutto. Il lavoro si guadagna a colpi di suppliche e le suppliche non finiscono mai perché il lavoro si consuma nel tempo breve del ringraziamento. Sei precario apposta, devi sentirti in eterno sospeso tra la necessità e la disperazione. Il bisogno deve martellarti fino ad annullare la tua coscienza. Questo è il modo con cui la ‘ndrangheta impone il suo comando, la tecnica con la quale lo conserva. La gestione della clientela, la distribuzione della corruzione è la terra feconda del malaffare, il fondale davanti al quale la politica avanza le sue ipotesi scambiste: dammi i voti e io ti aiuterò. “La ‘ndrangheta uccide la Calabria – dice Linarello – depredandola ogni giorno. Noi spieghiamo e dimostriamo come la nostra regione sia sempre più povera mentre la ‘ndrangheta è sempre più ricca. E questa operazione economica di contrasto contiene un valore pedagogico eccezionale: dimostra che si vive meglio e con più soldi se si sta lontani da quelle sirene, se si capovolge il modo di vedere le cose”. Goel adesso ha una quarantina di dipendenti, dodici imprese e un fatturato che raggiunge i 5 milioni di euro, investimenti che vanno dal turismo responsabile alla ristorazione, dai servizi sociali (assistenza anziani, case comunità) alla moda, all’agricoltura biologica, allo scambio no-euro. Con aiutamundi (aiutiamoci in dialetto) le prestazioni sono negoziate senza soldi. Il valore di ciascuna (sono imbianchino e ti ho ripulito la cucina) produce un corrispettivo equivalente nell’obbligo del socio beneficiario (vieni nel mio negozio di alimentari e ti rendo in natura quel che ti devo).

Business vero con orgoglio

È una catena ancora fragile ma già ben delineata nell’impianto produttivo e nel principio che la riassume: si può fare business senza perdere l’etica, senza pagare con la vergogna una vita difficile. “L’etica deve dimostrare di essere non soltanto giusta ma concreta. E quando abbiamo avviato i bandi per la selezione del personale presso due nostre comunità sanitarie abbiamo avvertito che non avremmo accettato raccomandazioni. Chi avrebbe tentato di far segnalare il suo nome non sarebbe stato ammesso al colloquio. E le selezioni sono state serene, ha vinto chi meritava. Noi partecipiamo con lo stesso spirito ai bandi con cui la Regione distribuisce le sue risorse. Mai una telefonata fatta né ricevuta”.

Andiamo a mangiare al ristorante Amal, speranza nella lingua del Maghreb, altro mattoncino della cooperativa, la speranza di chi è emigrato dall’Africa e su queste coste ha trovato riparo. Il ristorante è sulla strada che porta a Caulonia, cucina pesce e riassume nel menu la voglia di integrazione. Una bomba alla vigilia dell’apertura non ha evitato la sua inaugurazione: doveva aprire ed è stato aperto, malgrado l’attentato, la paura, il solito destino di Calabria. Questo piccolo esercito di liberazione dalla ‘ndrangheta è ancora isolato ma dà conto di come la società civile esprima vitalità, coraggio, talenti che la politica non riconosce. Oggi Reggio Calabria è commissariata e sull’orlo di un perenne fallimento. La Regione in crisi, il governatore Scopelliti condannato a sei anni di reclusione (sentenza di primo grado). Il centrodestra è impresentabile, ma il centrosinistra pare il luogo immobile di notabilati perenni. Le facce di sempre, le lotte intestine di sempre, le carriere dei soliti noti, le furbizie dei soliti noti. Eppure è dimostrato che cangiari si può.

da: Il Fatto Quotidiano 12 aprile 2014

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