Alfabeto – Walter Tocci: “Preferisco perdere Il Pd è diventato un franchising”

tocci-walterAmava così tanto la politica da esserne ossessionato. “Si insinuava in me la diffidenza verso questo demone che mi costringeva a non avere altra vita, altro interesse, altri piaceri”. A quel punto decise che bisognava combattere il demone: “Mi iscrissi a Filosofia e iniziai a leggere i grandi pensatori tedeschi. La mia lotta contro la miseria del presente prendeva forma al mattino. Iniziavo a studiare alle sei e finivo alle otto, poi mi recavo in ufficio”. Walter Tocci è stato l’amministratore pubblico che ha coniugato due valori oggi sconosciuti: l’onestà e la competenza. Per sette anni vicesindaco di Rutelli e assessore alla Mobilità di Roma, poi deputato e oggi senatore. Ha scelto di passare dalla prima linea alla retrovia. Un gambero isolato nella desolazione della vita pubblica.

A lei vengono riconosciute doti ormai rare. Eppure nessuno bussa alla sua porta.

Perché il costume politico esige l’autocandidatura, la vita di relazioni, l’avanzamento in cordate. Non è un problema di ambizione che mi manca, quella ce l’ho anch’io, e neanche una questione di timidezza (anche se è vero, sono timido). È proprio che io non so fare quel che fanno gli altri. Ho un’età, e sono cresciuto in un modo diverso, tra persone diverse. Sono cresciuto in un partito che ti rimbrottava se alle elezioni prendevi più preferenze di quanto s’era ipotizzato. Al netto di quell’atteggiamento eccessivo, il rimbrotto costituiva una buona base per una terapia antinarcisistica.

Lei ha scelto di perdere.

Quando capisco che si realizza la struttura del partito in franchising, con un notabilato locale che detiene il consenso e un leader che gestisce il brand, capisco che è finita per me. Il franchising ha vent’anni, non è una novità renziana, per capirci.Continue reading

LA QUERELA È A CAVOLO, MA IN NOME DEL POPOLO

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Il politico brandisce la querela come il guerriero la spada. È insieme difesa e attacco, intimidazione e tutela, finzione e realtà. La querela è una tipica attività d’azione per la quale e nella quale l’uomo politico si concede anche una pausa fantastica. Nel senso che nella querela prima si crogiola poi – esaminati gli effetti collaterali – si atterrisce. Infine rinuncia, ma in silenzio. Oppure l’annuncia ma non la fa. Invece è molto galvanizzante, anche se spesso dagli esiti incerti, la querela in nome del popolo disonorato, della città discriminata o vilipesa o mortificata. Il sindaco si fa santo patrono e lancia la sfida, cioè la querela. Ora qui non siamo a discutere dell’estetica linguistica di Giletti né del suo pensiero che allinea Napoli alla puzza (rendendo così un po’ puzzolente più che la città la propria riflessione). Per quanto sgradevole, il suo è un giudizio. Possiamo discuterne, naturalmente dissentire (oppure perfino acconsentire), ma querelare no. Chi scrive si trovò a fronteggiare tempo fa una querela di un sindaco di Messina che pensò di risolvere in tribunale l’inabilità sua e delle amministrazioni che l’avevano preceduto a rendere decente la vita dei propri cittadini. Avevo detto che quella città appariva una cloaca a cielo aperto, volendo naturalmente denunciare le troppe abitazioni ancora prive dei servizi minimi essenziali come le fogne. Il sindaco fece il pesce in barile e intese come offesa alla città quella denuncia, chiedendomi un risarcimento milionario. Risultato? La contesa è giunta fino in Cassazione: cloaca e nessuno s’offenda. Al più si vergogni. Tornando a Napoli, De Magistris sembra a suo agio quando fa il capo tribù. È un populista devoto e questa querela appare un po’ ad capocchiam.

Da: Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2015