ALFABETO – MASSIMO ALVISI. Il progettista: “Un edificio osceno può costare quanto una costruzione viva, degna. Non è un problema di soldi”

massimo_alvisiCos’è la periferia? La coda perduta di una città? Il luogo degli avanzi urbani? L’esposizione permanente del brutto? La periferia finora è stata considerata come il recinto delle vite abusive, malmesse, poco considerate. Massimo Alvisi è uno dei nomi emergenti dell’architettura umanista, sentimentale, cooperativa. L’architettura considerata come attività di promozione del bello, come tecnica di inclusione sociale, sguardo di frontiera.

La periferia pare sempre una città perduta, una sfida in cui gli uomini sono soccombenti. Una disgrazia e un problema.

Cambiamo punto di vista e iniziamo a vedere anzitutto cosa di bello ha la periferia.

Il bello, finalmente.

Se è frontiera è un luogo aperto a un orizzonte, agli sguardi vicini. In periferia ci sarà più luce che al centro della città, ci sarà posto per gli alberi e i prati. Dunque per la vita sociale, per l’identità territoriale, per la diversità culturale.

Perché le periferie sono brutte allora?

Per la mediocrità dei progettisti. Un edificio osceno può costare quanto una costruzione viva, degna, bella. A volte si spende molto per l’orrido.

Tra le migliaia di bufale distribuite a piene mani c’è dunque anche quella dei talenti che in Italia si sprecano. Molti asini, sembrerebbe.

Consideri che lo scempio a volte è figlio di forme di narcisismo intellettuale. Il talentuoso non ha occhi per il luogo in cui sta lavorando, non ha rispetto per il codice di civiltà di quel posto. Disegna pensando alla carriera, al progetto come tema da università, oggetto di sperimentazione concettuale. Le forme dell’edificio, l’ampiezza degli spazi sono pensate come virtuose esibizioni specialistiche.

Sono come quei medici che si leccano i baffi quando hanno un malato da squartare.

L’architettura diviene eccentrica, non si cura di chi la abita, si sollazza, si specchia e si commenta da sola. È una architettura autistica.

La politica clientelare spesso affida ad asini matricolati progetti complessi oppure cade nella rete delle star patinate.

La politica non ha cura, interesse, speranza nella vita bella. Non controlla, non si ferma a dire: ma cosa stai facendo?

Lei è tutor di uno dei progetti di rammendo urbano promossi dall’architetto Renzo Piano.

Piano ha voluto devolvere i suoi emolumenti di senatore a vita in sei borse di studio annuali affidate ad altrettanti giovani architetti che hanno il compito di esibire una cura, attraverso quel che lui ha chiamato rammendo, delle periferie. Io sostengo il gruppo che si occupa del progetto romano: rendere usufruibile, condiviso e riutilizzato lo spazio oggi fratturato da un viadotto tranviario abbandonato nel quadrante est della Capitale. Abbiamo scelto tre città (Torino, Roma e Catania) e tre periferie per mostrare come piccoli interventi possano generare molte buone azioni. È un’attività volontaria, una spedizione culturale prima che progettuale.

Avete chiamato a discutere del rammendo associazioni, cooperative di giovani, sigle diverse.

Tutti devono contribuire a dare corpo all’idea di trasformare, anche in piccolo, luoghi disperanti. Con ottomila euro – a tanto ammonta lo stanziamento del Comune di Roma – abbiamo realizzato una piazza da seicento metri quadri sotto quei viadotti. Abbiamo imbiancato, reso vivibile, accessibile, persino decoroso un pezzetto di luoghi prima ostili. Noi vogliamo lasciare segnali, piccole spie luminose che dicano: guarda che si può fare. Si può persino trasformare il brutto in bello.

Il governo sembra avere buone intenzioni.

Sì, devo dire che Renzi si è accorto che la periferia è una grande questione civile. E il grado di vivibilità misura anche la possibilità di rendere pacifica la coesistenza tra diversi. Un primo stanziamento di 200 milioni di euro, un secondo di 500 milioni. È niente rispetto alle necessità, all’armatura di cemento che strangola le città e le rende pericolose. È tanto rispetto al niente degli anni precedenti.

Sperando che lo stesso ceto politico poi non dissemini questi soldi tra i clientes.

È questo il grande rischio. Per dirle: sono stato chiamato dal commissario del Comune di Battipaglia, comune sciolto per gravi irregolarità, per stendere le linee guida del nuovo piano urbanistico. L’ho fatto, mi sono state saldate solo le spese, e sono orgoglioso di quel lavoro. Abbiamo occupato una scuola che secondo le intenzioni doveva essere abbattuta (intenzioni assassine naturalmente) e ci siamo messi al lavoro aprendo le porte a chiunque volesse entrare e vedere, capire o solo ricordare come fosse la sua città trent’anni fa. Il lavoro si è concluso, in primavera ci saranno le elezioni. Chi governerà confermerà questo ridisegno oppure lo inizierà a storpiare, mutilare, azzannare?

Temo molto che la sua domanda abbia già una risposta.

Lo temo anch’io.

 

da: Il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2015

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