ALFABETO: SALVATORE SCALZO. Rischiavo di vincere a Catanzaro. Così il Pd mi ha rottamato

salvatore scalzo
salvatore scalzo

Oggi che Salvatore Scalzo, 32 anni, è a Bruxelles e non a Catanzaro, nell’ufficio della Commissione europea e non nel municipio, a fare il funzionario e non il sindaco della città, possiamo misurare la distanza dell’apparenza dalla realtà. Di come trituriamo i giovani, li sbeffeggiamo e infine li cacciamo dalle nostre case. Di quanta ipocrisia sappiamo vantare quando inneggiamo al ritorno dei cervelli fuggiti all’estero. La storia di Salvatore è emblematica: convocato, spremuto ben bene e poi espulso dal potere.

Chi ti chiama e quando.

È il 2011. Ho appena vinto una selezione a Bruxelles e il Pd mi chiede se voglio provare a battermi contro il centrodestra, a difendere i colori del partito e della sinistra. Lo chiedono a me perché il partito è commissariato, morto sotto le lenzuola della clientela e della malapolitica.

Lo chiedono a te perché la sconfitta è certa.

Essenzialmente è così. Altrimenti perché ricordarsi di me che ho solo 27 anni e sono solo un animatore di un’associazione che spinge per il recupero della legalità?

Tu accetti.

Penso che valga la pena perdere ma combattere, ripulire il volto sporco del mio partito e affrontare a viso aperto, gagliardamente e avventurosamente, una coalizione di centrodestra che lega il ceto maggiorente e affluente all’agio dell’interesse di casta.

È una gara senza speranza.

Ne sono consapevole. Ma facciamo baccano nelle piazze, nelle strade, nelle case. Dobbiamo rendere tumultuosa la nostra presenza e provocare in una piccola città della clientela e della sofferenza civile come Catanzaro uno choc.

La cura riesce?

Si può dire di sì. Ripuliamo il partito dalle sporcizie e le liste dei candidati dai fantuttoni, dai tromboni, dai promotori della sclerosi politica. Mettiamo idee in campo, forza nello spingerle verso la città e affrontiamo la sconfitta. È certa ma dev’essere degna del nostro coraggio, dei sacrifici e delle passioni che raduniamo nelle piazze.

Perdete.

Perdiamo. Il mio partito parte da una soglia del 10 per cento. È divenuto un’entità marginale, soporifera, inutile a ogni cosa. Lo portiamo al 17 per cento. Io raggiungo il 33 per cento dei consensi. Sono 16 punti di distacco, sono il candidato che in Italia ottiene il maggior consenso nel voto disgiunto.

Poi cosa succede?

Succede che dopo un anno si ritorna al voto. Il sindaco eletto, che è anche deputato, sceglie il Parlamento e dice bye bye a Catanzaro.

Sei tu pronto a ripartire.

Invece si fanno vivi i babbioni delle clientele e mi spiegano che c’è bisogno delle primarie, dobbiamo attivare un gioco democratico altrimenti sai il vulnus! Sono persone che hanno ridotto a brandelli il Pd e spiegano a me, a noi, che dobbiamo, ora che è passato il vento della necessità, confrontarci magari a colpi di tessere e voti di scambio. Perdo due mesi in triccabballacche, discussioni inutili, speciose, di pura ipocrisia. Alla fine vinciamo noi e costruiamo l’alternativa nelle liste al centrodestra che si presenta nella sua formazione usuale: tutti i maggiorenti, di ogni ispirazione e inclinazione (e deviazione), fanno fronte.

Ma voi avete le carte per vincere.

Noi abbiamo le carte per vincere. Ma c’è una quota del partito, la cresta solita degli intramontabili, che naturalmente non ci sostiene. Bersani ha simpatia per me, ma con la simpatia non si cantano messe. È un atteggiamento a metà tra il paternalistico e l’ipocrita: Catanzaro non conta nulla, come la Calabria. E il suo destino è immerso nella valutazione antropologica. In fondo in fondo i calabresi sono gente per male.

Si vota.

Il centrodestra sa che se riesco ad andare al ballottaggio li freghiamo. Vinciamo noi. E mette in campo tutte le risorse politiche (e non) perché questo risultato venga scongiurato. Per 129 voti strappano la vittoria al primo turno. Facciamo ricorso: sappiamo di pacchetti di voti acquistati e venduti, di corti e processioni, di schede ballerine. Ricorriamo al Tar e chiediamo l’annullamento. Il Tar fa ripetere lo spoglio solo nelle otto sezioni che noi avevamo indicato con certezza. Ma le nostre forze, la nostra vigilanza non era tale da documentare e vagliare tutte le irregolarità. È un modo per farci perdere congratulandosi del risultato.

E voi riperdete.

Chiaro, non era possibile che perdere.

E dunque?

Vedo che in Calabria tutto ritorna ai soliti noti, ai soliti nomi. C’è Renzi, chiamo la sua segreteria, mi risponde Lotti: guarda che le candidature per le Politiche sanno di muffa! Lui mi fa capire di farmi gli affari miei ché alla rottamazione ci pensano loro.

E allora tu riprendi l’aereo per Bruxelles.

Lì avevo vinto una seconda selezione, qui avevo perso una seconda volta. Lì si apriva una vita che qui mi era appena stata chiusa.

Da: Il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2015

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