ALFABETO – LUCA MERCALLI. Il nostro secolo sarà quello dei profughi climatici

luca_mercalliTra qualche tempo conosceremo un’altra figura di migrante: il profugo climatico. Sarà la siccità o l’inondazione, l’uragano o la tempesta tropicale a trasformare gli uomini in sventurati. E la sventura avrà la solita rotta: dal sud verso il nord del mondo. Con Luca Mercalli, senza alcun dubbio il più lucido analista delle nuvole, parleremo dei tempi funesti che ci aspettano e anche della nostra sordità, dell’indifferenza davanti ai grandi temi della vita e dell’ossessione invece per il dettaglio.

A nessuno frega molto se l’oceano si innalza, ma quotidianamente siamo ossessionati dal tempo che fa. Neve, grandina, piove? Tutti a fare clic col mouse, meteo da tutte le parti. E quando non è acceso il computer c’è la tv, quando non siamo in casa ecco la radio che ci insegue con le previsioni.

È un fatto certo che i ghiacciai della Groenlandia si sciolgono progressivamente, ed è certo che ogni anno gli oceani si ingrossano di tre millimetri. È anche sicuro, pronosticato senza alcun margine di errore, che da qui al 2100 il livello dell’oceano aumenterà di mezzo metro. Intendiamoci: il mezzo metro è la misura minima, a condizione che gli impegni assunti alla conferenza sul clima di Parigi siano tutti rispettati. Se così non sarà, avremo un metro e anche più di acqua.

Davanti a questa previsione catastrofica noi siamo invece occupati a conoscere istante per istante se sulla nostra testa piove fiacco o sostenuto, se il sole è lucente oppure ombrato dalle nuvole. Siamo giunti alla pornografia della meteorologia.

È proprio così, il meteorologo si è convertito in un allarmista quotidiano. Non ha scienza da vendere ma clic da incassare per la pubblicità. Più clic sul sito, più aumenta il valore della pubblicità. Quindi i fenomeni climatici vengono descritti in modo sempre estremo, traumatico, foriero di sciagure. Spinti all’insù del caldo o all’ingiù del freddo. Hanno distrutto questa professione, questa è la verità.

La sciagura nostra mi sembra un’altra: tra un po’ saremo sommersi d’acqua.

Volendo iniziare dall’Italia la costa adriatica, da Venezia a Rimini e oltre, sarà inguaiata. E anche Shanghai, New York, Miami avranno problemi seri. Ma i danni veri l’acqua li farà in quei posti come il Bangladesh che è abitato da cento milioni di persone e ha una costa che è a un metro sul livello del mare. È matematico che quelle popolazioni scapperanno. Tutti gli abitanti di economie povere e fragili faranno fatica a resistere alle prove estreme del clima. L’abbandono è già realtà in alcuni atolli del Pacifico. Piano piano la gente emigra. Ha iniziato e proseguirà.

Nascerà la figura del profugo climatico.

Ricordi che la vicenda siriana, con gli esiti che conosciamo, è stata generata anche per colpa di una siccità che è durata quattro anni (2010-14) producendo un abbandono delle campagne, un massivo inurbamento delle città con una caduta verticale delle condizioni di vita. Da questa nuova povertà la rabbia, la contestazione e poi la guerra.

Sappiamo con certezza quel che ci aspetta?

Con assoluta certezza. L’oceano mangerà terra, la terra sarà più calda di almeno due gradi, e gli eventi estremi imporranno transumanze umane che affaticheranno ancora di più le società industrializzate.

Eppure queste società sembrano indifferenti, sorde, distratte.

Come crede che sia stato possibile immaginare di fare la linea Tav in Val Susa, o quella di Genova? Grazie all’indifferenza, alla costruzione di un claim: la scelta è irreversibile, non muteremo l ’ indirizzo politico, l’Europa ce lo chiede. Tutti le argomentazioni che vengono svolte per confutare la bontà di questi investimenti non solo non sono prese in considerazione ma neanche si ritiene necessario opporre una ragione contraria più solida e convincente. Praticamente non frega nulla che l’opera sia incongrua, piuttosto stupida, enormemente dispendiosa. Non frega alla politica rispondere perché la società civile non spinge la classe dirigente ad avere responsabilità, non ingiunge un comportamento, una serie di doveri cui adempiere, e la politica, pressata dagli interessi economici, cede ai secondi, più forti delle isolate proteste di uno schieramento tutto sommato minoritario.

Siamo soli con il nostro computer.

È il secolo dei soli.

Da: Il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2016

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