SILENZI E SORDITÀ: C’È D’ALEMA E NIENTE PIÙ

Massimo D'Alema, alla presentazione del libro 'CONFITEOR. Potere, banche e affari. La storia mai raccontata' di Cesare Geronzi e Massimo Mucchetti al Palazzo della Cancelleria, Roma, 11 Dicembre 2012. ANSA/SAMANTHA ZUCCHI

Dovremmo poter fare a meno di Massimo D’Alema. Dovremmo poter dire, dopo oltre un trentennio delle sue cure, che la stagione è tramontata, la sua esperienza è chiusa, la sua personalità ininfluente. Se il suo giudizio resiste agli anni e persino alle sue colpe è perché, malgrado tutto, non sembra esistere nessun’altra altra voce capace di suscitare interesse e attenzione.

Questo è il tempo della sordità civile. Quante volte e con quale quantità di argomenti, per fare solo l’esempio più eclatante, si è sottoposta a critica la riforma costituzionale? E cosa è accaduto dopo? Il nulla. Un governo di sordi e una società di sordi hanno lasciato che la nuova Costituzione fosse scritta come un qualsiasi decreto milleproroghe, ha giustamente ricordato Gustavo Zagrebelsky.

Gli intellettuali dormono, il conformismo culturale non li tocca. E la crisi del Pd, che certo non nasce ieri, con quale puntiglio e attenzione è stata affrontata, denunciata, illuminata dai padri fondatori del partito? Poche, smozzicate frasi inserite in interviste e dialoghi sui massimi sistemi. Di più non s’è visto. Walter Veltroni è divenuto un puntino nero all’orizzonte. Si interessa di cinema e basta. Quel poco che pensa di Renzi dev’essere estratto da miscugli di retroscena, brevi sorsi di indiscrezioni. Romano Prodi affronta i problemi del mondo. Non parliamo di Piero Fassino, il predecessore di Veltroni alla segreteria. È utilmente impegnato ad allungare la sua maratona politica a Torino e come contropartita offre al premier-segretario il suo silenzio. Enrico Letta, il più giovane dell’ancien régime, è volato a Parigi, degli altri – del corale muto ossequio – sia steso pietoso velo.

Il nuovo è Renzi, ma del vecchio cosa c’è da salvare? Almeno le parole e i giudizi di D’Alema hanno il pregio di non essere finti, balbettanti e ipocriti.

Da: Il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2016

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4 Comments

  1. Non ho mai amato Massimo D’Alema. Provengo da quella vituperato sinistra extraparlamentare e non ho mai cambiato idea, radicalizzatasi peraltro nel tempo anche alla luce delle varie politiche succedutesi nell’arco di questi ultimi trent’anni.Ho fatto questa premessa per meglio sviluppare il mio pensiero senza preconcetti o i fingimenti. Provengo anche da quella sempre piu risicata schiera che riconosce e distingue tra gli “orecchianti arruffoni ” e chi si intende di politica e l’ha praticata per mezzo secolo sanno e D’Alema è uno che quando parla, sa almeno quello che dice…….c’è il buio oltre la siepe ,oltre al silenzio e la sordità. C’è l’arroganza del potere, soprattutto quella conquistata a spallate e l’insipienza o l’incapacità di chi avrebbe dovuto vigilare affinché non si verificasse un vero e proprio potiri rerum.

  2. Che i giudizi di D’Alema non siano ipocriti, lo può dire solo una persona di parte,che vede le cose di parte. Antonello non puoi essere ipocrita anche te in questo modo

  3. Condivido il tuo pensiero,sono un vetero comunista,e non voglio morire democristiano.Sono un tuo fan ,ti seguo in tutti i dibattiti televisivi e fattoo .quotidiano .

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