Francesco Rutelli: “Mattè, lascia il treno e cammina. E prima o poi torno anch’io… ”

“La politica deve ritrovare la fatica fisica. Più del treno io userei i piedi”.

Francesco Rutelli vorrebbe che Matteo Renzi per emendarsi agli occhi degli italiani intraprendesse per la campagna elettorale una versione ridotta ma nostrana della via Francigena. O anche pellegrino tra gli sfortunati, viandante tra gli ultimi.

Ti prendi qualche pernacchia e qualche fischio magari. Ma incontri gente vera, stringi mani vere e capisci chi sono gli italiani. Vada col treno dove vuole ma gli ultimi dieci chilometri li compia con le sue gambe.

Possibilmente senza truccare con le scorciatoie.

Il fisico ce l’ha, è giovane.

Il treno fu una sua invenzione ai tempi dell’Ulivo. Nel 2001 Rutelli, candidato premier, scelse le rotaie.

Forse fui consigliato da Paolo Gentiloni. La campagna elettorale è un viaggio dentro il Paese che vuoi governare. Il treno ci sembrò la scelta più coerente, anche la più ecologica. E poi a Roma avevamo investito tanto nella cura del ferro.

Berlusconi scelse la nave.

Ognuno porta con sé i simboli che ne segnano l’identità. La nave ti fa venire in mente sale da ballo e casinò. Era sintonizzato con la sua gente.

Nella stiva della nave, a ogni attracco, nominava i guerrieri della libertà sollevando lo spadone e poggiandolo simbolicamente sulla spalla di ciascuno.

Fa sorridere, eppure…

Scusi se mi permetto, ma chi non la stima tantissimo ritiene che i politici contemporanei – molti dei quali cresciuti alla sua scuola – siano così scarsi che fanno figurare persino lei come una superstar.

Vabbè… ma non mi sembra che Gentiloni stia sfigurando.

Renzi però un po’ sì. E di Matteo lei si è ritenuto padre putativo, ha avuto parole di elogio.

È vero che ha talento e una formidabile energia. Ed era e ancora è molto difficile, nonostante tutto, insidiarlo nella leadership del Pd.

Si è repentinamente afflosciato.

L’ego si deve tenere a bada. Altrimenti si ripercorrono le vicende di uno stupendo film di Alessandro Blasetti del 1966 che si intitolava Io, io, io… e gli altri.

L’ego.

La politica si è corrotta parallelamente alla corruzione che ha divorato la società. E la reputazione è andata in malora quando la legge elettorale ha fatto sì che nessun cittadino conoscesse il volto del suo deputato. Chieda in giro, si fermi da un fioraio: scusi, chi è il deputato del suo quartiere? Le risponderà con un boh. In Inghilterra anche l’ultimo distratto avventore del pub sa il nome, conosce il volto. Perdendo il legame ha perso ogni credibilità e quindi ha spinto sull’idea della palingenesi continua come salvezza metafisica. Un nuovissimo a sostituire un altro nuovo ma già vecchio. Quanti premier italiani hanno incontrato Angela Merkel? Lei lì ferma e solida, e per fortuna direi, e noi a spruzzare faccine nuove.

Qui siamo alla critica della ragion pura della rottamazione.

Ho la fortuna di aver dimostrato di sapere fare altro, di stare facendo altro, di non aver appeso la mia giacca alla politica per sempre. Il potere non mi ha trasformato la vita, non mi ha fatto più ricco, non mi ha dato una casa nuova.

E se dovesse capitare che le si chiedesse un nuovo impegno pubblico?

Mai dire mai. Perché non ha senso e perché ciascuno può ritrovarsi in sfide nuove, persino quelle che oggi sembrano così lontane. Ho 63 anni, un passato riconoscibile e la libertà di accettare o meno. Finora ho detto no.

Finora.

Ecco, finora. Gli italiani devono capire che la competenza non è una variabile indipendente e l’esperienza non è un sacco di patate che si ripone in cantina. La competenza è fatica quotidiana, è dimostrazione che tu fai un sacrificio in favore degli altri. Ai miei tempi i grandi della politica a cui noi guardavamo con suggestione erano Martin Luter King, oppure i fratelli Rosselli, o Gobetti o Gramsci, che hanno dato la loro vita. O anche Enrico Berlinguer. E se Marco Pannella ha appassionato tanti di noi è perché si capiva che credeva nelle cose che diceva e faceva.

Il filosofo Aldo Masullo dice che questa è l’età della stupidità al potere. La storia è movimento, ma i suoi tempi non sono quelli della nostra vita, quindi per adesso siamo fritti.

Ma non per questo possiamo dire che non c’è nulla da salvare.

Renzi lo salva?

Se cambia, se si emenda, se trasforma radicalmente l’immagine che – a torto o a ragione – gli italiani hanno di lui…

Intanto al comando ora c’è il suo fraterno amico Paolo Gentiloni, stessa scuderia.

Paolo è sobrio e dimostra che governare è gestire con sufficiente discrezione ed equilibrio il potere.

Gentiloni è lento.

Ma fa le cose. Poi sa che le dico? Proprio in questi giorni sto terminando un libro che avrà per titolo “Contro gli immediati”.

Qui siamo in piena età del Nazareno.

Il tweet al posto di un’analisi approfondita, il selfie in luogo di un’amicizia che dura. La tua gente ti deve sentire sincero, non puoi atterrare per un brindisi e poi ripartire.

Berlusconi ha l’aereo personale. Vola e sorvola.

Raccoglie il senso di una leadership il cui valore simbolico coincide fortemente con il suo lifestyle. Ma quello è il suo campo: ricorda poi il successo della campagna delle dentiere?

Rutelli ritornerà in campo.

Di certo ora no.

Domani invece sì.

Potrebbe anche accadere.

No tweet, no selfie.

Fare sul serio qualcosa per gli altri.

 Da: Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2017

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