La crisi di governo toglie alla politica la radice della sua funzione: rappresentare la società

Provocare la crisi di governo adesso, pur mettendo uno sull’altro tutti gli errori compiuti, è contro la logica, la banale comprensione, il minimo senso della misura. Questo, prima che ogni altra considerazione, resta il chiodo a cui sono appese le responsabilità di Matteo Renzi.

In qualunque modo vada, lo spettacolo di Montecitorio – riunito in seduta straordinaria, con l’ansia dei presenti e quell’eccitazione di chi coglie nella giornata un evento campale – disconnette la politica dalla società, le toglie la radice della sua funzione: rappresentarla.

Sono 82mila i morti e se quei morti fossero oggi vivi non riuscirebbero tutti a trovar posto a San Siro. E sappiamo che domani saranno di più, dopodomani ancora di più, e chissà per quanto tempo ancora. E tanti altri, troppi altri sono stati piegati, se non dalla salute, nella loro condizione economica, nelle loro speranze.

Solo oggi, ma perché c’è la crisi, il Parlamento riempie i suoi spalti. Solo oggi.

Da: ilfattoquotidiano.it

Renzi parla senza dire, si propone senza fare. Una doppiezza insopportabile

Foto Ettore Ferrari/LaPresse

Un’ora e le ministre che si dimettono e non sono “segnaposto” rimangono zitte facendo appunto da segnaposto. Sessanta minuti per accusare Giuseppe Conte di badare ai like, alle dirette Facebook, alla politica pop, a fare mister Simpatia. Esattamente ciò che l’Italia ha imparato da lui: dalle sue dirette, dai suoi modi pop, dalle sue enormi capacità di essere un giocoliere spericolato nel potere e del potere. Sessanta minuti – gli ultimi sessanta di una serie di ore interminabili di enunciazioni, illustrazioni, ultimatum – per dire che il premier è accentratore. L’ha detto proprio lui, l’ex premier, che nel suo governo accentrava anche la decisione di dove mettere i cucchiaini da thè. Ora chiede di rispettare la liturgia del Palazzo, come un novello De Gasperi, lui che ha sfondato ogni regola, e sconvolto ogni prassi. Oggi, per dirne solo una, è contro i decreti legge, ieri ne sfornava a decine.

C’è qualcosa di allarmante nella misura con la quale Matteo Renzi avanza, senza memoria e anche senza prudenza, che lo porta a una doppiezza francamente insopportabile. E’ vero: la politica rispetta le regole del teatro, e questa interminabile, incomprensibile, incredibile crisi, che si svolge mentre il Paese si avvia nella più cruenta ondata della pandemia, pare proprio una grande prova di teatro, un palcoscenico sul quale finalmente si parla senza dire, si propone senza fare, si costruisce distruggendo.

Un notabile democristiano del secolo scorso, Luigi Gui, spiegò cosa fosse la vita politica. Disse: “E’ fatica senza lavoro, ozio senza riposo”.

Da: ilfattoquotidiano.it

I tre paradossi della crisi di governo: Matteo Renzi, Giuseppe Conte e il contesto in cui è maturata

Nella catena dei paradossi che alimenta questa crisi di governo, almeno tre sono fuori dell’ordinario e assumono l’aspetto di fenomeni parossistici. Primo paradosso: il contesto. La crisi si apre non semplicemente nel pieno di una pandemia ma nel periodo più oscuro, difficile e rischioso, in quella che sembra una vera e propria emergenza umanitaria. Il virus si è messo così tanto a correre che proietta su numeri “esorbitanti”, come ci annuncia la vicina Germania, il saldo della sue infezioni. Al punto che la Baviera oggi rende obbligatoria la mascherina FFP2 perché evidentemente quella chirurgica non difende più, o non difende abbastanza. Sempre oggi le Poste londinesi riducono in molti distretti della città le consegne. Nei quartieri più a rischio sono addirittura sospese per via del timore che anche quel minimo gesto che riduce le distanze possa provocare contagio.

Secondo paradosso: Renzi. Non c’è alcun dubbio che Matteo Renzi non conterà mai in nessun altro governo con nessun altro premier quanto conta con questo che sta buttando a mare. Quel che ha ottenuto non è poco: le correzioni al Recovery, l’apertura alla possibilità di avere un terzo ministero di peso, la gestione, non più diretta da parte del premier dei servizi segreti. Ma senza Giuseppe Conte, con un esecutivo di unità nazionale o di “scopo” la presenza di Italia viva e la sua utilità marginale sarebbero azzerate. Entrerebbero altri attori in campo e con una maggiore dimensione numerica, sempre ammesso che nel Parlamento si trovassero le disponibilità a realizzare questo esecutivo di salvezza nazionale. Nel caso invece, a mio avviso più probabile, che la strada fossero le elezioni anticipate il costo dell’operazione per Matteo Renzi sarebbe ancora più salato. Sparirebbe o quasi dalla circolazione.

Terzo paradosso: Giuseppe Conte. Sta imparando adesso che il dosaggio delle mediazioni, che fino a qualche mese fa gli sarà parso elisir di lunga vita, non allunga l’esistenza ma anzi l’accorcia. Le mezze misure, i mezzo altolà, la diluizione continua dei contrasti hanno dato sponda a colui che non aspettava altro di dire: non lo faccio per le poltrone, ma per il Paese. Come per la revoca della concessione autostradale ai Benetton, anche la discussione e la correzione di questo benedetto Recovery andava anticipata. Conte dice che ora bisogna correre. L’avesse detto ad ottobre adesso forse la corsa si sarebbe già conclusa.

Da: ilfattoquotidiano.it

Trump bloccato da Facebook e Instagram: ma se fosse lui a decidere chi silenziare sui social?

Facebook e Instagram hanno bloccato a tempo indeterminato gli account di Donald Trump. Tutti noi siamo consapevoli dell’atteggiamento eversivo che ha condotto il presidente uscente degli Stati Uniti a fomentare la rivolta barbarica, pienamente golpista, che ha sconvolto gli Usa e il mondo intero.

Eppure anche in queste ore, anche noi che siamo fieri di avversare ogni sillaba di quest’uomo pericoloso, abbiamo il dovere di giungere fino al fondo della questione: è possibile che un uomo detenga il monopolio assoluto di tutta l’informazione che corre sui social network? E’ possibile che decida, a suo insindacabile giudizio, chi ammettere e chi estromettere? E’ possibile che il suo giudizio lo fondi sulle proprie convinzioni politiche o religiose? E se domani Mark Zuckerberg, il padrone del vapore, vendesse a un altro ricchissimo e potente, la sua merce? Se domani fosse un altro, per esempio Donald Trump, a impossessarsi del vapore? E se costui usasse il suo potere per deviare, manipolare, disinformare, ostruire la libera partecipazione dei cittadini alla vita democratica del proprio Paese?

La conoscenza è il bene indiscutibile e inalienabile della democrazia. Il fatto che gli Stati non la sottraggano al monopolio di privati, non costruiscano una rete di regole trasparenti e chiare, una serie di garanzie che diano la possibilità a ciascuno dell’esercizio del diritto alla difesa delle proprie opinioni, a vederle almeno discusse, a conoscerne l’epilogo, è il pericolo più grande e più grave.

Oggi siamo contenti che il fanatismo criminogeno di Trump sia stato messo a tacere. Domani potremmo essere feriti se uguale sorte, secondo gli insindacabili giudizi di un padrone assoluto, toccasse a chi – a nostro avviso – non la merita affatto.

Da: ilfattoquotidiano.it

Colpa d’Arcuri: il ritornello delle opposizioni (anche) sui vaccini. Ma avere antipatico lui è comprensibile, avere sulle scatole la logica no

Non vi è dubbio alcuno che Domenico Arcuri, il commissario straordinario all’emergenza, ce la metta tutta per risultare antipatico. Nello sviluppo altezzoso del lessico, pieno di subordinate ad ampio spettro borbonico, nel tono di chi invece di spiegare le cose illustra la sua sapienza e nell’illustrarla svicola spesso dalla linea retta della realtà. Dunque, ripetiamo: non è un ammaliatore. Eccede in autostima (per sfotterlo narrano che, nel salutare un amico, lui dica: “Ciao, come sto?”) tanto da ritenersi capace di raccogliere sotto la sua mano tutte le emergenze d’Italia, dal Covid all’Ilva.

Ma la presunta antipatia di Arcuri non è un motivo ancora sufficiente per prendersela con lui. E invece, come in queste ore, frotte di accusatori lo convocano sul banco degli imputati a rendere conto delle lentezze del piano vaccini. Molti Capezzone (dal nome del re del pensiero ad capocchiam) si fanno avanti e domandano, increduli, come sia possibile che Arcuri sia ancora al proprio posto. Per l’efficientista Carlo Calenda (e quelli di Italia Viva e tutta l’opposizione) andrebbe licenziato su due piedi. Per tutto ciò che ha combinato prima e sta combinando adesso. Cioè? Incredibilmente, goccia che farebbe traboccare il famoso vaso, ancora non sono al lavoro i vaccinatori, la squadra dei 15mila medici e infermieri appena reclutati che dovranno somministrare agli italiani il vaccino. “Solo dal prossimo 1 febbraio inizieranno a prestare servizio!”. Vergogna!

Ora, santa pazienza, le dosi dei vaccini per gli italiani rinchiusi a casa arriveranno solo a febbraio e in quantità purtroppo limitate. Quelle giunte la settimana scorsa sono destinate all’organico della sanità e agli ospiti delle Rsa protette. E le dosi, nel numero di 470mila settimanali, sono tutte giunte nei luoghi di somministrazione. Quale colpa dovremmo dunque imputare ad Arcuri? Di aver fatto giungere le dosi nei luoghi esatti della somministrazione nei tempi stabiliti e anzi con sette giorni di anticipo? O di non aver arruolato un plotone di medici e infermieri per inoculare il vaccino ad altri medici e infermieri? Sarebbe stata questa una buona spesa? Avremmo di sicuro fatto ridere il mondo. E allora qual è il problema? Mancano le siringhe? Non sembra affatto. Le dosi? Sono esattamente quelle preventivate. E allora? E allora Arcuri.

La verità è che le direzioni sanitarie degli ospedali italiani avevano tutte in agenda l’arrivo dei vaccini il 4 gennaio, e predisposto i turni di somministrazione da quel giorno. L’anticipo è stato valutato da quelle direzioni come un inconveniente e non come un aiuto in più per avanzare nell’immunizzazione della prima linea. Tutte le regioni avevano infatti comunicato al commissario i piani per completare quotidianamente la somministrazione di 65mila dosi, cifra utile per raggiungere il totale settimanale in arrivo da Pfizer.

I turni dei vaccinatori interni non sono stati però rimodulati nella settimana a cavallo tra Natale e Capodanno. “Non li richiamo certo dalle ferie”, ha dichiarato per esempio lo stupefacente assessore lombardo Gallera. Gli altri suoi colleghi hanno avuto la prudenza di non dirlo così sfacciatamente ma più o meno hanno fatto uguale. E allora? Allora Arcuri.

Avere sulle scatole lui è anche comprensibile, ma avere sulle scatole la logica no.

Da: ilfattoquotidiano.it