Specialità Napoletano

CARLO TECCE

Faccia a faccia a distanza. Stesso salotto, stesso anfitrione, diversi commensali.
Walter Veltroni e Silvio Berlusconi si sono avvicendati sugli scranni di “Porta a Porta”: brandelli di programma, promesse ardite e rinunce compite. Niente di nuovo. Tranne un particolare, a pensarci bene. Un direttore distinto e corpulento, costipato nel suo completo blu, scoperto nel 2006 durante il confronto-scontro tra Berlusconi e Prodi. Roberto Napoletano lavora per Il Messaggero, uno dei giornali della catena di Francesco Caltagirone, l’onnipotente imprenditore del mattone, suocero di Pierferdinando Casini, fresco marito di Azzurra. Nel politicamente preistorico 2006, Napoletano era un alfiere del centrodestra: uno schieramento senza trattino, tanto consunto quanto compatto. Il successore di Gambescia, passato alla carica di onorevole con l’Unione, è stato pizzicato dalle telecamere di “Striscia la Notizia” nella notte del 10 aprile 2006. Nelle concitate ore dello spoglio, Napoletano parlava accorato al telefono con un alto dirigente dell’Udc, nel vano tentativo di spiegargli la posizione del giornale e la struttura del menabò, la direzione del timone e il taglio in pagina. Serviva un intervento immediato, un richiamo all’ordine per i giornalisti. «Ho fatto fare una valanga di commenti ai nostri editorialisti, dove tutti sottolineano i valori moderati dell’Udc. Abbiamo fatto: “L’Udc raddoppia i consensi, vicino al 7 per cento”, questo è il titolo di dentro…», rassicura ai vertici del partito di Casini (citazione da “La scomparsa dei fatti” di Marco Travaglio, il Saggiatore editore). Il titolo del giorno seguente sarà fedele alle spinose trattative notturne: «Exploit dell’Udc. Bene Ulivo e FI». Il fatto riaffiora alla mente guardando il Napoletano furioso, a tratti incontinente, sempre indisponente nel porre le domande a Berlusconi: un intervistatore a stento trattenuto da Vespa, qualcosa che proietta la televisione alla terza, quarta Repubblica. Un futuro ignoto, insomma. E pensare che soltanto 23 mesi fa, quando Casini era alleato di Berlusconi, il buon Napoletano era stato scelto – e poi si comporterà in ossequio – per il suo spirito mansueto e le sue idee conformi alla Casa delle Libertà. La coerenza non sarà una virtù della politica, ma nemmeno di alcuni giornalisti.

Il voto. O la gita


SERENELLA MATTERA

Piccole tragedie da campagna elettorale. Quelle degli esclusi dalle liste. O, peggio ancora, quelle dei candidati perdenti in partenza, perché tanti altri hanno la precedenza. Per alcuni di loro, i suoi, Marco Pannella ha iniziato uno sciopero della sete. Per denunciare un’ingiustizia, il mancato rispetto dei patti, il venir meno alla parola data. «L’accordo era per nove candidati radicali eletti e quindi in posti sicuri», ha detto. Veltroni gliene ha piazzati solo sei, «forse sette». E Pannella smette di bere. Chissà se avrà emuli tra gli esclusi dalle liste del Popolo della libertà.
Intanto la casella delle e-mail inizia a intasarsi di inviti a non votare, a boicottare la Casta, perché tanto sono tutti uguali. Ma c’è chi alle urne non vuole mancare. Perché «andare a votare è importante». Più importante anche della gita di fine anno, prima della maturità, quella che si ricorda per tutta la vita. Possibile? Pare proprio di sì. Un gruppo di studenti della V D dell’istituto tecnico commerciale Pareto di Milano è pronto a rinunciare al viaggio di istruzione a Berlino, dall’11 al 15 aprile, per poter andare alle urne per la prima volta. «Hanno dato per scontato che a noi non interessasse votare» ha detto Silvia ad Annachiara Sacchi, del Corriere della Sera. E il problema ora per i ragazzi è grosso, perché se rinunciano alla gita, perdono i cento euro di caparra. Vai a credere agli adulti. Gli avevano assicurato: «Potrete votare in ambasciata». Niente da fare, naturalmente. E ora loro ci stanno pensando, a rinunciare alla gita. Vogliono votare. A dispetto dell’antipolitica. A dispetto del fatto che i candidati sono nominati dai partiti. A dispetto del fatto che già si sa chi di loro sarà eletto e chi no. A dispetto di questo e tanto altro. Ma forse è proprio così che deve essere. Perché da giovani si va dritti per la propria strada, fregandosene di tutto e tutti.

Web al posto del depuratore

Botricello, dunque, 4742 abitanti in provincia di Catanzaro, vuole diventare “Comune globale”. Cosa vuol dire comune globale? Leggiamo il bando di gara, capiremo certamente. I botricellesi vogliono che il loro paese diventi una “iCity: una città virtuale per costruire identità attraverso la realizzazione, mediante l’utilizzo della rete, di ambienti di apprendimento e costruzione collaborativi, di una città digitale con spazi dedicati alla riflessione sul sé, sia lungo una dimensione temporale (il presente e il futuro) sia lungo la dimensione sociale del confronto con l’altro”.
Per “riflettere sul sé”, servono un milione e centomila euro. Era già vasta la casistica dei progetti dal tratto originale scaturiti dalla generosità dei fondi europei. Ma mai si era vista, nel quadro del sostegno comunitario allo sviluppo economico, una proiezione così filosofica dei soldi di Bruxelles. Invece il municipio calabrese ha deciso di affrontare anche la profondità dell’Io. Nel bando, che ha per oggetto forniture e servizi per fare di Botricello un “comune globale”, si indica uno degli obiettivi essenziali dell’appalto: “sviluppare, identità digitali nella scuola: “Chi sono”, “Chi sarò”, “Noi siamo” “Come mi vedono gli altri/come vedo gli altri”.
Se l’impossibile è certo, il fatastico è alla portata di mouse. Un clic sarebbe dovuto servire a collegare le istituzioni ai cittadini, le imprese ai burocrati, i turisti agli alberghi. In cinque anni, e diversi milioni di euro stanziati, il clic nel sud Italia illumina, per adesso, solo diversi filoni di indagini giudiziarie. Portare internet nella pubblica amministrazione è stata una fatica di Sisifo: computer spesso imballati, portali nati già morti, reti civiche in disuso, home-page dimenticate.
Il disastro, dovuto alla assoluta inesistenza di qualunque interesse da parte della classe politica verso il mondo e la complessità della rete, è stato acuito dall’obbligo di spendere comunque. La tagliola della revoca infatti propone una soluzione ritenuta logica: dobbiamo spendere in fretta? E noi spendiamo. Il progetto, l’idea, non necessita più di alcuna coerenza o convenienza. Non c’è obbligo alla ragione, né di dare senso alle cose (riflettere su di sé?). Nulla è dovuto alla prudenza. Bisogna spendere. Ecco dunque spuntare Botricello e la sua idea. A prescindere, diceva Totò.
La riffa dell’innovazione l’ha così vinta Botricello. Sarà un comune “globale”. Lui solo. E perché? E’ più virtuoso dei vicini di casa? Sembrerebbe di no a confrontarlo con gli altri centri della sua stessa classe nella sua stessa regione. Dei 79 comuni calabresi della classe demografica che va dai 4mila ai diecimila abitanti, il premiato raggiunge il 61° posto per percentuale dei laureati, tra le più basse dell’universo di riferimento. E’ al 53° posto per reddito pro capite e l’età media è piuttosto avanzata. Anche l’efficienza amministrativa del nostro “comune globale” potrebbe essere oggetto di molti commenti: il paese, che si affaccia sul mare, è pieno di seconde case ma l’autonomia finanziaria (la quota di entrate che il Comune si procura da sé) non supera il 20° posto della classifica. Aggiungere che ha gravi problemi di depurazione delle acque, precisare che c’è anche chi abita case senza fogne, dà il quadro delle ragioni che hanno spinto la regione a dare precedenza a questo progetto.
Al posto del depuratore un bel computer. Si spenderanno 230 euro pro-capite contro i 6,5 euro (cifra già giudicata sproporzionata) della media nazionale.
Botricello avrà un mare un po’ zozzo, liquami al sole, strade piene di buche, palazzi cadenti forse. Conti in disordine. E può darsi. Ma gli scolari rifletteranno “sul sé”, la biblioteca sarà digitale, chi vorrà leggerà da casa, dal bar, dalla spiaggia si connetterà e, clic!, sfoglierà l’e-book. Gli amministratori si vedranno, è un ulteriore risultato del progetto in costruzione, sollecitati a cooperare tra di loro, a incontrarsi di più e a parlarsi, anche in videoconferenza. E in pizzeria il tavolo finalmente prenotato con un altro clic. Sì, Botricello sarà collegato al mondo, e il resto del mondo collegato a questo paese attraverso “totem informatici, ubicati in alcuni posti strategici (stazioni, aeroporti)”. E quando finalmente saremo lì, avremo “chioschi informativi per accedere ai diversi servizi della pubblica amministrazione”, e potremo godere finalmente di una “segnaletica digitale: schermi a touch screen da parete o pavimento in grado di offrire al tempo stesso visualizzazione e interattività ai servizi e alle informazioni”.
Contabilizzata la spesa, valorizzata l’impresa: “La realizzazione del progetto rappresenterebbe una boccata d’ossigeno alla preoccupante situazione occupazionale della comunità”. Tra le nuove figure che scenderanno in campo, “tecnici chiamati ad operare in caso di guasti o temporanei disservizi, garantendo un tempestivo intervento”. Tutto si tiene, il progetto è fantastico.

Pubblicato su Repubblica.it

Indifferenti

“Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. L’indifferenza è il peso morto della storia.

L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.
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Daniela sì, Piero no. Candidati e famiglie

Mai entusiasmarsi troppo. Solo due sere fa, scrivendo il mio post, valutavo che il moto d’indignazione popolare fosse servito a qualcosa. Ritenevo, e tuttora ritengo, che la sorte capitata a Clemente Mastella e al suo partito-famiglia, liquefatto in quattro settimane, fosse il sintomo che qualcosa sta cambiando. Cambiando, forse sta cambiando. Ma, c’è da dire, non troppo.
Oggi sono state pubblicate le candidature del Partito democratico. E Veltroni, dietro la scintillante prima fila, ha accettato di imbarcare, imbucare, traghettare, un bel po’ di parenti, portaborse, segretari vari. Ho letto che ha detto no al deputato siciliano Salvatore Cardinale, ma ha detto sì a sua figlia Daniela. Peggio è capitato al deputato salernitano Vincenzo De Luca, sindaco della città, ricordate? fiero avversario di Antonio Bassolino. Lui, De Luca, uomo tutto d’un pezzo. Che infatti ha accettato di non ricandidarsi e però ha consigliato: prendete Piero, mio figlio. Veltroni, chissà perchè, gli ha detto no.
Nell’attesa delle liste elettorali del centrodestra, vi consiglio la lettura di questo articolo pubblicato oggi da dagospia.
http://www.dagospia.com/
Quando Rino Formica nel 1991 coniò la fortunatissima espressione “corte di nani e ballerini” in riferimento all’assemblea del Partito Socialista piena di soubrette e personaggi dello spettacolo, credeva di fare un dispetto al suo arcinemico Bettino Craxi. E invece non fece altro che contribuire alla sua santificazione postuma. Ma oggi il modello craxiano sembra ancora più maestoso in confronto allo spettacolo desolante regalato dalla chiusura delle liste del Partito Democratico, che ieri ha visto riuniti per tutta la giornata Walter Veltroni, Goffredo Bettini e Dario Franceschini alla sede della Margherita per la limatura finale. Perlomeno i nani sono divertenti e le ballerine per definizioni so’ bbone. Invece dagli elenchi di candidati/nominati che sono usciti dal Loft emerge una mirabolante lista della serva con forte incentivo al mercato della verdura e degli ortaggi. Sì, per posizionarsi davanti a Montecitorio e tirarne a più non posso a chi entra ed esce. Pagina per pagina, dai nomi piazzati nelle postazioni sicure viene fuori una lunga sequela di “figlie di”, “mogli di”, amiche delle “mogli di”, grigi addetti stampa e portavoce, sconosciute segretarie, collaboratori vari e avariati, capi segreteria. Leader e mezzi leader del Pd hanno passato le ultime ore a trattare per imbottire il nuovo parlamento dei propri famigli e collaboratori. Da Veltroni a Prodi, da Franceschini a Fioroni fino a Visco, non manca praticamente nessuno all’appello. Fabio Martini sulla “Stampa”, in maniera apparentemente pudica e in quindi ancora più maligna, la chiama “valorizzazione senza precedenti degli staff”. Almeno il Cavaliere ha sempre avuto il buon gusto di infarcire le proprie liste con stuoli di avvocati che popolano gli studi legali che lo difendono. Insomma, gente che in ogni caso un mestiere ce l’ha. I nuovi gruppi parlamentari del Pd, invece, avranno il proprio pilastro su fenomenali personaggi che fino ad oggi hanno sguazzato nel sottobosco politico e tra due mesi saranno onorevoli e senatori della Repubblica. Nella categoria delle “figlie di” non c’è solo l’ormai arcinota Marianna Madia, il cui padre era amico di Veltroni e consigliere comunale della lista civica che in Campidoglio ha portato il suo nome, e il cui zio è il celebre avvocato (tra gli altri di Mastella) Titta Madia. Per non parlare poi della celeberrima trimurti che sponsorizza la fighetta del Loft: Enrico Letta-Giovanni Minoli- Da segnalare, infatti, nel collegio Sicilia 1 alla Camera il caso di Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Salvatore Cardinale cui è stato impedito di candidarsi personalmente. “Adesso è tutto ha posto. Lafamiglia conserva il seggio a Montecitorio. E noi sappiamo che, nel 2008, si può diventare deputati anche per diritto ereditario”, chiosa sarcastico non Feltri su “Libero” ma Sebastiano Messina su “La Repubblica”.Sul fronte “mogli di” si è riproposto lo scenario del 2006. Anna Serafini, la battagliera Lady Fassino che aveva sputato veleni corrosivi contro Veltroni quando per la regola dei tre mandati rischiava di rimanere fuori, viene tranquillamente confermata con un seggio sicuro al Senato in Sicilia. Stesso destino per Anna Maria Carloni, al numero 3 nella circoscrizione Senato in Campania: Veltroni dice di voler fare fuori il marito, Antonio Bassolino, ma intanto si tiene stretta la moglie.Vanno forte segretarie e segretari. Il ministro dell’Istruzione e mariniano storico, Giuseppe Fioroni, ha imposto la sua segretaria Luciana Pedoto in un posto sicuro niente meno che in Campania 2 alla Camera, certamente per le sue proposte forti in tema di rifiuti, soprattutto per quanto riguarda la pulizia degli uffici… La dura e pura Rosy Bindi non ha voluto sentire storie: il suo collaboratore Salvatore Russillo figura al quarto posto nella circoscrizione Basilicata alla Camera.Sotto la casella “addetti stampa e portavoce” figura, oltre al solito Silvio Sircana, portacroce di Prodi transitato dalla Camera al collegio senatoriale della Campania, anche Piero Martino, portavoce di Dario Franceschini piazzato nella circoscrizione Sicilia 1 alla Camera. Sandra Zampa, invece, è a metà tra questa categoria (come capo ufficio stampa di Palazzo Chigi) e un’altra, quella delle “amiche delle mogli di”, in quanto candidata alla Camera Emilia Romagna anche come intima confidente di Flavia Franzoni Prodi. A proposito del Professore, il suo staff è stato infilato al completo: il delegato alle questioni di San Marino, Sandro Gozi, alla Camera in Umbria; il responsabile “contegno british”, Ricky Levi, alla Camera Sicilia 2; l’ex “saggio” del Pd in quota prodiana, Mario Barbi, alla Camera Piemonte 2. Anche il segretario Veltroni ha deciso di promuovere un mazzetto dei suoi collaboratori: il capo segreteria Vinicio Peluffo alla Camera in Lombardia 1; il responsabile del sito internet Francesco Verducci alla Camera nelle Marche; lo storico capo segreteria prima a Botteghe Oscure e poi in Campidoglio, Walter Verini, in Umbria diretto anche lui a Montecitorio.

Parla Barbato, l’ultimo della diaspora

«Ma come? Proprio Clemente ci ha riunito venerdì sera e ci ha detto: io vado con la Dc di Pizza, voi siete liberi di fare ciò che volete». L´Italia ha conosciuto Tommaso Barbato per via di quel proiettile di saliva indirizzato – durante la seduta che piegò il governo Prodi – al volto del collega Nuccio Cusumano, il “traditore” di Mastella. «Ancora con quella storia. E basta, e fatemi la cortesia!». Mai Mastella avrebbe potuto pensare che lei… anche lei, Barbato? «Anche io cosa?». Quoque tu. «Non ho tempo da perdere». Lo tradisce finanche il più fedele dei dirigenti, il più fermo e intransigente tra i pretoriani. «In effetti sempre con Clemente sono stato: Ccd, Cdr, Udr, Udeur». Perciò fa molto impressione che proprio un combattente del suo spessore…«Ho un mio progetto politico». È anche vero che se il segretario vi ha dato libera uscita… «Con la Dc di Pizza lui va, a quanto ne so». Quindi lei si è solo difeso. Si è trovato a piedi. «È così». A piedi un po´ tutti. «Ho un mio progetto politico». Mastella si è messo a ridere quando ha letto questo suo proposito. «Non mi faccia dire altro». Appare davvero molto sereno. «Ho dato tanto al partito, queste sono scelte dolorose». Lei è molto radicato sul territorio. «Faccio politica da sempre a Marigliano». Berlusconi promise che non avrebbe mai riproposto gli intemperanti. Lei però si candida con Raffaele Lombardo. «Non so se mi candido. Voglio solo dire che per Mastella ho faticato tanto, ho dato tutto me stesso». Si è visto senatore, si è visto eccome. «Una trottola al Senato: di qua e di là». Lei non ha nemmeno pienamente condiviso il voto contro Prodi. E però si è comportato da soldato. «Non mi faccia parlare». Al momento dell´addio a Mastella ha ceduto alla commozione?«A che serve?». Difatti non serve commuoversi: la politica è sangue e arena. «Volevo intendere: a che serve dirlo?». Di Barbato si ricorda solo lo sputo, il senatore dello sputo. Invece appare sottotraccia questo suo tratto di umanità. «Al Senato mi hanno voluto tutti bene». Ne parlano, vero. «Destra e sinistra». Di lei si rileva la grande duttilità.«Sgobbavo».Abbiamo già detto, era una trottola. «Nel senso pieno». All´Udeur ha dato veramente tutto: anima e corpo.«Da quando è nato a quando è morto».

(da La Repubblica del 4/3/2008)

I fondi del terremoto per l’abuso edilizio

MARCO MORELLO

Almeno non la si potrà accusare di non avere fatto galoppare l’immaginazione. Perché c’è qualcosa di tragicamente geniale nella trovata della proprietaria di un terreno lungo la costiera amalfitana che, solleticando l’ingordigia di otto professionisti e impiegati comunali, ha ricevuto il placet per costruirsi un bell’appartamentino di 140 metri quadri ai danni dello Stato. La “signora”, per reperire i soldi necessari allo scopo, anziché ricorrere a un mutuo o vendere qualche Bot come fanno tutti, ha infatti avuto modo di attingere ai fondi pubblici per la ricostruzione stanziati dopo il terremoto dell’Irpinia. Naturalmente non esisteva nessuna abitazione abbattuta dal sisma di 28 anni fa, quindi tantomeno uno status da ripristinare, eppure in maniera truffaldina i suoi complici sono riusciti a fare apparire vero il contrario e a intascare il denaro. Si sono però dimenticati di un particolare per nulla trascurabile: il terreno su cui sono iniziati in fretta e furia i lavori si trova in un’area vincolata in cui è impossibile edificare, quindi terremoto o non terremoto non era ipotizzabile che lì ci fosse qualcosa. Colta con le mani nel sacco, o forse sarebbe più corretto dire con la cazzuola nel cemento, la proprietaria si è guadagnata una denuncia per falso ideologico vista la palese infondatezza della sua istanza, mentre i componenti della Commissione per il terremoto del 1980 sono stati denunciati per abuso d’ufficio. Si tratta di un caso limite ma non isolato che conferma come nell’Italia degli sprechi non ci voglia poi molto per approfittarne. Il tutto mentre, a quasi trent’anni da una tragedia di enormi proporzioni, tanti cittadini vivono stipati in un container. La loro colpa? Forse quella di non avere trovato una commissione benevola come quella capitata alla “signora”.

Il lato B. Quando l’antipolitica fa bene

Per antipolitica si intende un moto greve, distruttivo (da qui l’anti) incapace di cogliere l’idea che l’azione politica possa essere destinata al bene comune. L’antipolitica come spirito qualunquistico, raggrumato nella parola d’ordine plebea “è tutto un magna magna”.

Vero. E’ vero che il disconoscimento di ogni forma di partecipazione democratica, il disinteresse a qualunque attività, produca poi giudizi sommari e scontati, accuse indimostrate, considerazioni del tutto approssimate e vuote.
Ma c’è, come possiamo chiamarlo?, un lato B dell’antipolitica: la civile indignazione. L’operosa indignazione. La giusta indignazione.
Non mi sognerei mai perchè penso che sia del tutto fuori luogo, chiamare Berlusconi “psiconano” e Veltroni “topogigio”. Sono gli sfregi inutili di Beppe Grillo, l’effetto collaterale del “grillismo”.
E però dobbiamo dirla tutta, e per bene. Il moto di indignazione che ha suscitato, e anche la forma organizzata di tutta questa indignazione popolare, ha contribuito a produrre effetti in qualche modo benefici in un tempo più ravvicinato di quanto si potesse ritenere.
7 settembre 2007-7 febbraio 2008. In cinque mesi è per esempio imploso il partito-famiglia di Clemente Mastella, a cui l’Unione aveva tributato la più degna delle accoglienze offrendo al capostipite Clemente la poltrona di ministro della Giustizia, Guardasigilli della Repubblica. Il 7 settembre, mi pare, la data in cui a Telese, luogo della festa politica a cui nessuno poteva mancare (e infatti nessuno, da Fini a Bertinotti, è mai mancato), Roberto Benigni, il grande Benigni, suggellò con la sua presenza (a pagamento, s’intende!) lo status di leader nazionale di Mastella.
Cinque mesi dopo Mastella è divenuto un senzacasa, un appestato, isolato. Berlusconi l’ha dovuto buttare a mare.
Mastella paga più dei suoi demeriti, è vero. Ma la sua sorte, su questo non vi è alcun dubbio, ha allarmato e reso più prudenti altri uomini politici che in nome del potere e della propria visibilità hanno calpestato ogni forma di coerenza e di dignità. Prima degli altri Antonio Di Pietro, sempre pronto, fino a qualche settimana fa, a distinguersi, accusare, vivere in una dorata irresponsabilità il suo ruolo. Veltroni gli ha chiesto, e c’è una ragione, di verificare nome per nome il cursus honorum dei suoi candidati. Di Pietro ha detto sì. Ed è un risultato. E Alfonso Pecoraro Scanio sembrerebbe aver deciso di chiedere a suo fratello senatore di scendere da cavallo: troppo imbarazzante la parentela.
Se c’è un moto, ancora timido, che rafforza il principio che le liste elettorali debbano essere pulite, cioè ripulite dai troppi nomi sporcati da vicende giudiziarie ed episodi criminali di una qualche gravità, lo si deve appunto al lato b dell’antipolitica: la giusta e civile indignazione. L’indignazione manifestata, comunque esplosa nelle settimane e nei mesi scorsi.
Nonostante tutto possiamo dire che qualche risultato l’abbia già ottenuto. Non è un risultato da poco.

I Must

CARLO TECCE

Larghi manifesti verdi. Pugni chiusi verso il cielo. Scudo crociato. Rialzati, Italia! Il Paese dei balocchi si ricopre di belle parole, delle solite promesse, prova a respirare democrazia, rincorre il mito americano. Per un mese e mezzo, soltanto un mese e mezzo, la gente si sente decisiva: una testa, un voto.
In Russia fanno finta di rinnovare un rito democratico, le elezioni politiche. In America aspettano il cambiamento. Israele e Hamas si ammazzano. Cuba lava i panni vecchi e si riveste. In Venezuela ti sparano un nemico su commissione, bastano un migliaio di dollari. In Brasile costruiscono grattacieli sulle favelas. In Africa ci sono tre emergenze: fame, genocidio, discriminazione. E noi possiamo. «I can, we can», urla Veltroni, sorridente e silente (contro Silvio) verso le telecamere. Noi possiamo poco. L’Italia è bistrattata in Europa, figurarsi nel Mondo. Certo, la moratoria sulla pena di morte. Fosse una ferrea legge, sarebbe un vanto da protrarre per secoli. No. In Cina, negli stati indipendenti e negli stati canaglia: no, lì si muore in nome della giustizia (?). E noi possiamo. Lo Stato tassa, accumula, spende male. I politici sperperano, alimentano il nepotismo, giurano e spergiurano. I dirigenti intascano sempre, non rispondono mai. Alcuni concorsi sono pantomime. E noi possiamo. Guardare, almeno. Interessarci, per dovere morale. Preoccuparci, se abbiamo la presunzione di avere un cuore. Possiamo reagire, magari. Cominciando dal nostro palazzo, passando nel nostro quartiere, inoltrandoci verso la strada opposta, sbirciando la città vicina, immaginando un’altra nazione. L’Italia che cammina storta, ricurva e adusa a qualsiasi fregatura. L’Italia è raccontata, per fortuna si può raccontare: è scritto nella Casta di Rizzo e Stella, è scritto in Gomorra di Saviano, è scritto in Impuniti di Caporale. E noi, la gente, cosa siamo? Vittime, spesso. Conniventi, a volte. Il tema è serio. Proviamo con una citazione colta. Platone: «Il più grande dei mali è commettere ingiustizia». Eppure sembra il più grande dei vizi italiani. Per correggere la Russia si può partire anche da Corleone, il paese della mafia. L’Italia può essere raddrizzata. Non perché possiamo, semplicemente perché dobbiamo. Altro che «I can», meglio «I must». Dovere civico, regola numero uno. Un dovere verso se stessi, un dovere verso gli altri. La libertà si conquista con il dovere. Fine del monologo incessante alla Joyce. Perché il blog? Per provare a praticare il motto «I must», parlando, discutendo, denunciando il marcio. Fare quattro chiacchiere tra amici. Provare a fare qualcosa, soprattutto.