Per un pugno di dollari

Come si scrive in cifre un miliardo di euro? Lo sapresti scrivere? E sapresti come spenderli quei soldi? Nel mondo ci sono 1900 miliardari e quest’anno la loro ricchezza è aumentata di novecento miliardi di dollari, circa 2,5 miliardi al giorno. E nello stesso mondo ci sono 3,4 miliardi di poveri e poverissimi. In Italiail 5 per cento dei suoi abitanti è così tanto ricco da possedere quanto il 90 per cento dei concittadini.

Queste cifre sono contenute nel rapporto sulla povertà (e sulla ricchezza) che Oxfam, la più nota tra le organizzazioni non governative, annualmente rende pubblico. Oxfam non tiene solo il conto della diseguaglianza che cresce, dell’enorme e oramai irresolubile ingiustizia di miliardi di affamati contro un pugno di affamatori. Non ci dice solo che questa è una strada cieca, che ci porta allo scontro frontale. Oxfam, come tanti altri, si occupa e si preoccupa di aiutare gli africani a casa loro, proprio così. A casa loro. Con i contributi e le donazioni di tante migliaia di cittadini, con il lavoro volontario di persone meravigliose. E la responsabilità più grande che imputo a questo governo è quella di aver fatto immaginare che le Ong siano organizzazioni che, più o meno, trafficano con gli esseri umani, che si arricchiscono sulla loro disperazione.

Oxfam tiene anche il conto di quanti milioni di ettari sono conquistati (la media è di 10 dollari l’anno per l’affitto di un ettaro) in Africa dai ricchi ai danni dei poveri, di quale sia il livello di depredazione (il cosiddetto land grabbing) e quanto sia esso colpevole, perché spinge i diseredati a migrare, e noialtri a tenere il conto dei morti affogati, perché certo, l’Europa non può ospitare tutti, men che meno l’Italia, già troppo generosa, vero? Quando la falsità, l’ipocrisia, le cattive pratiche giungono a questo livello allora è chiaro che il mondo è depredato della sua civiltà.

da: ilfattoquotidiano.it

Se il sindaco raccomanda la pulizia agli immigrati e dimentica la sporcizia degli italiani

Il sindaco di Palma Campania, alle porte di Napoli, per favorire, cosi dice, l’integrazione oggi ha fatto distribuire alla sua comunità bengalese un opuscolo “per insegnare a loro come si vive da noi”. Il decalogo, opportunamente tradotto, invita a “lavarsi i denti ogni sera, farsi una doccia al giorno, usare il sapone e il deodorante per il viso e per il corpo, lavare gli abiti che vengono indossati, tagliare i capelli ogni 4/8 settimane, pulire casa, tagliare le unghie di mani e piedi, coprirsi il naso e la bocca quando si tossisce e si starnutisce, non condividere rasoi, asciugamani o trucchi con altre persone”. Il giovane sindaco, Nello Donnarumma, spiega che “curare il proprio aspetto”, aiuta a vivere meglio e nega ogni intento razzista: “Intendo comunicare un codice di comportamento comunemente rispettato dagli italiani. Ed è giusto che i nostri ospiti lo sappiano e si adeguino”.

Al sindaco facciamo i nostri complimenti: la pulizia innanzitutto. Consigliamo però, se volesse riflettere sul tema e allargarlo anche ad altri aspetti, che una società puzza non solo per via della saponetta che non c’è. Perché è possibile, per esempio, che negli uffici pubblici i visi siano puliti, le unghia tagliate e i capelli in ordine, ma le mani comunque sporche di mazzette. E può sempre darsi che sui nostri balconi si senta il profumo dei gerani e delle rose, ma se esistono le discariche abusive l’aria pulita non sarà. Trovandosi, il sindaco e anche i suoi colleghi di tutt’Italia, potrebbero ricordarci – con un decalogo di pari cortesia – che la Costituzione, sulla quale pure giurano, dice che le tasse devono essere pagate da tutti, per avere la coscienza pulita e non sporca. E infine, se proprio volessero essere pignoli, che chi ha le mani zozze di sangue, come gli affiliati ai numerosi clan che compongono la geografia criminale del nostro bel Paese, dovrebbero essere esclusi dal consesso civile, emarginati, condannati. Che la dignità non è biodegradabile, non può essere salvata con una doccia quotidiana.

da: ilfattoquotidiano.it

Racket, oggi è toccato al negozio di Grazia. Ogni giorno una bomba. La malavita è dentro di noi

E’ la seconda volta che il suo negozio salta in aria. E’ la seconda bomba che il racket mette davanti alla serranda del negozio di Grazia, specializzata in forniture per parrucchiere. A Foggia, come purtroppo in tante città del resto di Italia, la malavita va all’incasso imponendo un sopruso orribile, ineguagliabile. O paghi il pizzo, oppure sparisce il lavoro e il tuo avvenire. Grazia già ieri ha deciso insieme a suo marito Giuseppe di riaprire subito: “Non ci fermeranno, rimettiamo le cose a posto e riapriamo. Però non ce la faccio proprio più”, ha detto.

Questo episodio sarà una breve di cronaca. Simile a cento altri che ogni mese si contano. Non ci riguarda, o se ci riguarda, ci interessa poco, ci indigna ancor meno. Se una quota della nostra attenzione, anzi della nostra ossessione, per i migranti fosse destinata a questi fenomeni, se dieci minuti del suo tempo il ministro dell’Interno li destinasse ad aiutare questi italiani disperati e a chiedere conto alle forze dell’ordine perché non vengono fermati questi altri italiani farabutti che spadroneggiano, devastano, intimidiscono, sarebbe un bel giorno.

Se infine la stampa non seguisse lo show della politica, e obbligasse invece la politica a seguire la realtà, a occuparsi di ciò che non vuole vedere perché non fattura simpatia e quindi voti, tante vite come quelle di Grazia e Giuseppe sarebbero più tranquille, tante fatiche più produttive, tanti criminali meno impuniti. L’aria più pulita e l’Italia più civile.

da: ilfattoquotidiano.it

Non ci basta un annegato. Per farci piangere abbiamo bisogno di più

E se quel naufrago di 14 anni fosse stato trovato morto, denudato e con la pancia gonfia, come i suoi compagni di sventura? Come quelli che ogni giorno muoiono sotto i nostri occhi, bimbi e adulti, maschi e femmine. Se Cristiana Cattaneo, medico legale, al momento dell’autopsia non avesse ritrovato ancora i suoi vestiti e miracolosamente intatta, cucita in una tasca, la pagella scolastica con tanti bei voti, segno insieme di identità e di sincerità dei suoi buoni propositi, noi saremmo stati così colpiti? Avremmo cioè provato la commozione, il dispiacere, la pietà che oggi, anche grazie alla struggente vignetta di Makkox che l’ha rappresentata, sentiamo per questa vita perduta, per l’oltraggio che le istituzioni dell’Occidente compiono, per la regressione e l’immoralità di decisioni politiche così ciniche?

Oppure, e purtroppo, stiamo divenendo così crudeli, cosi tanto abituati alla morte di questi sventurati, che l’indignazione e la commozione si provano solo quando qualcosa di straordinario accade, essendo l’ordinario, cioè la strage quotidiana di innocenti, oramai acquisito e indiscutibile.

Abbiamo bisogno di strazi spettacolari, di morti indicibili, come quella del piccolo Aylan, il bimbetto di due anni, un bambolotto vestito di rosso riverso a terra sulla spiaggia di un’isola turca. Siamo abituati e anzi giustifichiamo persino queste forme di sopraffazioni e ingiustizie. Al diritto preferiamo il rovescio, l’abuso o la omissione. Siamo divenuti così tanto crudeli che per scuoterci dal torpore abbiamo bisogno di una dose sempre maggiore di raccapriccio, qualcosa di ultra sconvolgente.

Non un annegato qualunque, ma un annegato coi fiocchi.

da: ilfattoquotidiano.it

Operazione contro i caporali di Latina: abolire la schiavitù o la lattuga?

Vi piace la lattuga? E il rafano? Le fragole sono buonissime, anche il fiordilatte è sopra la media. L’agro pontino ci riempie di soddisfazioni a tavola. E gli imprenditori agricoli sono soddisfatti perché Fondi, città a sud del Lazio, è il più grande mercato ortofrutticolo del Mezzogiorno, uno snodo commerciale che fa divenire Latina capitale dello smistamento dei beni da mangiare. Purtroppo stamane, e davvero non si capisce perché, la polizia ha arrestato alcuni bravi lavoratori chiamati ingiustamente “caporali” che trasferivano la merce, in questo caso uomini con la barba lunga, dai luoghi di ristoro e di residenza ai campi di lavoro. I sikh, che vengono dal Punjab, lontana regione che non conosciamo nemmeno, fanno a meraviglia il loro mestiere: sono per metà uomini e per metà animali.

Nel senso che possono essere collocati anche in una stalla dove riescono incredibilmente a trovare refrigerio e infatti la chiamano casa. E non fanno casino, non hanno il sindacato, non hanno bisogno di mangiare molto, non si stancano, e si accontentano della paga. Tutti stranieri, tutti senza permesso di soggiorno. Una vergogna, vero? Con questo stratagemma – trasformarsi in schiavi, cioè – rubano il lavoro agli italiani. Almeno settemila posti di lavoro, molto ben retribuiti: due anche tre euro l’ora, dal momento che fa luce al momento che fa buio più l’alloggio gratuito e il trasporto. Mi domando, ma sono sicuro che ve lo domandiate anche voi: perché loro sì e gli italiani no? Perché loro devono essere i primi? E noi? Non abbiamo per caso braccia a sufficienza da impiegare nell’agricoltura? La polizia ha appena fatto una retata e gli imprenditori, che puntano tutto sulla crescita, non aspettano altro che nostri connazionali a cui concedere ciò che finora è stato tolto: il lavoro. La pacchia è finita. Ma resta insoluta la questione: se si abolisce la schiavitù poi la lattuga (e il rafano, e le fragole, le melanzane, i finocchi, i cetrioli, eccetera eccetera) chi li raccoglie da terra?

da: ilfattoquotidiano.it

Sempre sia lodato lo chef Rubio

Sempre sia lodato lo chef Rubio. L’unico cuoco che non abbia solo farina in testa, e granchi e sgombri e filetti, e tagliate con l’ananas e frutti di bosco, ma anche idee e una dignità. Tra i pochi professionisti che fatturano esattamente e completamente. Rubio si domanda: prima gli italiani? Dobbiamo fare posto a tavola a tutti, ma proprio a tutti gli italiani? Anche a quelli che ieri notte hanno messo una bomba nella storica pizzeria di Gino Sorbillodi via dei Tribunali a Napoli? Anche a quelli come Flavio Briatore, che è dovuto scappare a Montecarlo dove ha portato anche il suo 730? Prima gli italiani, dunque? Tutti gli italiani? Anche quelli che ieri si abbuffavano di provvidenze dello Stato e oggi protestano perché la legge finanziaria non prevede investimenti per la crescita? Anche quelli che fregano i disabilifottendosi l’indennità prevista dalla legge 104? Anche quelli che vedono scialare 49 milioni di euro di finanziamenti pubblici in spese pazze e poi fanno finta di non sapere, non ricordare? E dicono: prima gli italiani. Prima gli italiani? Tutti tutti?

da: ilfattoquotidiano.it

Cesare Battisti, se da criminale diviene preda su cui banchettare

C’è qualcosa di esagerato nella tragica vicenda del pluriomicida Cesare Battisti, ora assicurato alla giustizia. Perché l’esultanza, legittima ed opportuna, delle autorità italiane che sono riuscite a catturare un latitante che ha goduto di così tanti sostegni, sta deviando verso forme gradasse di euforia. Trasformare Battisti in una preda, consumare il pasto (un tiramisù dice Salvini) intorno al suo arresto, utilizzare parole da stadio (“ora marcisca in galera”) fanno venire il dubbio che del profilo criminale dell’arrestato in fin dei conti interessa poco. Molto di più cercare il dividendopolitico di questa brillante operazione di polizia. Intendiamoci, anch’esso è un conto legittimo ed è giusto che chi ha avuto il merito di consegnare alla giustizia colui che per anni altri inutilmente hanno inseguito, adesso raccolga i frutti del proprio impegno. Ma c’è un contegno, un limite, una forma che se si fosse rispettata non avrebbe ridotto il senso di questa operazione, insieme giudiziaria e politica. Che due ministri, quello dell’Internoe quello della Giustizia, debbano correre all’aeroporto per timbrare il cartellino del vincitore e fare in modo che l’uno (il leghista) non si abbuffi troppo di onori a spese dell’altro (il pentastellato) fa appunto venire il dubbio che Cesare Battistida criminale sia divenuto già preda. Pietanza gustosa da apparecchiare al banchetto della politica.

da: ilfattoquotidiano.it

Claudio Baglioni e la corte dei pavidi

Quanti, pur avendone le capacità e lo status, rinunziano a dire la propria opinione in pubblico per timore di intaccare la carriera? Quanti calciatori, allenatori, critici televisivi? Quanti scienziati, quanti filosofi, quanti imprenditori, quanti giornalisti, quanti politici, quanti cantanti, quanti dirigenti? Claudio Baglioni ha detto quel che pensa, e se lo può permettere. Merita un plauso non foss’altro che per questa considerazione. Sono tanti, troppi che pur avendo la forza economica e la reputazione in ragione del proprio talento, si riducono in un miserevole silenzio per non essere costretti a fronteggiare ipotesi di contrasti o eventi futuri ostili.

La pavidità è un effetto collaterale dell’ambizione. Il male che arreca è enorme, ancorché essa spesso venga contrabbandata come illuminata prudenza.

La pavidità va a braccetto con l’ipocrisia. Sono merci stoccate in quantità industriali al mercato dell’opinione pubblica.

da: ilfattoquotidiano.it

Atac, per una volta da Roma una buona notizia (senza esagerare)

Non dovrebbero farci schifo le buone notizie. Il fatto che Atac, la disastrata azienda dei trasporti romani, sia stata ammessa al concordato, abbia cioè trovato un accordo con i creditori storici, ripulisce il suo bilancio (1 miliardo e 400 milioni di euro la massa debitoria concordata) e la fa respirare un po’. L’esercizio di bilancio 2018 si chiude per la prima volta con un utile (2 milioni e 181 mila euro). Il suo amministratore delegato Paolo Simioni promette per questo anno 350 nuovi bus e (intervista al Sole 24 ore) garantisce che i dirigenti sono già stati ridotti del 25% e riallocato in ruoli operativi il 33% dei dipendenti “inidonei”.

In una città allo sbando, molto più sporca e assai più rotta di quanto potessimo mai immaginare, è un piccolo sollievo sperare che almeno qualcosina funzioni meglio e riconoscere, quando sarà, sia il buono che si è fatto come il cattivo a cui si assiste.

da: ilfattoquotidiano.it

Giornalisti de l’Espresso aggrediti, chi manganella e chi guarda. La replica di Franco Gabrielli

Il pubblico ufficiale deve obbedire soltanto alla legge. Chiederne il rispetto e farla rispettare. Il pubblico ufficiale che garantisce l’ordine pubblico ha a disposizione mezzi di coercizione di cui deve fare uso nei casi previsti dalla legge. Chi si trova in pericolo, perché minacciato, aggredito, insultato, deve poter contare sull’ausilio, anche armato, delle forze dell’ordine. Abbiamo la fortuna di avere un sincero democratico a capo della polizia.

Il prefetto Franco Gabrielli si opporrebbe con tutte le sue forze, impugnando la legge, se l’autorità politica per disgrazia dovesse mai chiedergli di violarla. Perciò, prima ancora che interpellare il ministro dell’Interno, la cui disinvoltura a usare i fatti per denigrare le sue stesse parole è ormai nota (una per tutte: selfie con l’ultras violento e poi dichiarazioni contro la violenza degli ultras) bisognerebbe chiedere al capo della polizia perché ieri i poliziotti in servizio per garantire l’ordine pubblico durante un ritrovo commemorativo neofascista, abbiano atteso che due persone venissero prima accerchiate, poi insultate, infine picchiate e venissero loro sottratti e distrutti gli strumenti di lavoro (macchina fotografica e telefonino) senza intervenire. Le due persone sono giornalisti dell’Espresso ed erano lì per compiere il loro lavoro: testimoniare, documentare, raccontare.

Questa inerzia delle forze dell’ordine diviene clamorosa, e fuori dai confini della legge, se confrontata alla sollecitudine, anch’essa frutto di un abuso, di cui hanno dato prova l’8 dicembre scorso due agenti in borghese che in piazza del Popolo, dov’era in corso la manifestazione leghista, hanno prima strattonato e poi condotto fuori dalla piazza, obbligandolo a una umiliante identificazione di polizia, un manifestante pacifico e silente che impugnava il seguente cartello: “Ama il prossimo tuo”.Continue reading