A VERBANIA LE DONNE HANNO PRESO IL POTERE

Verbania, trentunomila abitanti, la volle nel 1939 Benito Mussolini. È divenuta prima capoluogo di provincia (del Verbano-Cuso-Ossola dal 1992) che città (titolo ottenuto nel 2007). Ha dato i natali a Cadorna e la casa delle vacanze al grande Toscanini. Verbania adesso è diventata una città totalmente femmina. Amante del rovescio ha impresso alla politica una nota trasgressiva e dunque ha deciso, senza far torto ai maschi, che fosse di gran lunga meglio tradirli. Tanto che la sindaca, Silvia Marchionini, una sociologa quarantenne, è stata voluta dalla popolazione in municipio trascinandola dal vicino paesino di Cossogno dove lei per dieci anni (2004-2014) era stata prima cittadina.

A Cossogno hanno così liberato il posto al signor Doriano Camossi, maschio, ma è evidente che il confronto non regge. Verbania è la capitale del lago, Cossogno una briciola, un muretto con una stradina e 600 abitanti che la circondano. A Verbania poi a donna è stata aggiunta donna e così la sperequazione è persino aumentata. La sindaca ha deciso di imporre in giunta quattro femmine per i sei posti disponibili, lasciando vagare la quota celeste nel consiglio comunale che, come si sa, dopo l’elezione diretta del sindaco è divenuto un organo pieno di cipria, sonnacchioso, spesso nullafacente.

Silvia invece, e con lei le assessore Marinella, Laura, Monica e Cinzia, si sono impossessate del governo, della cassa e di tutto il resto. Rosa chiama rosa e infatti nella città delle donne è stato istituito il premio letterario “Verbania for women”, ed è donna la garante comunale dei detenuti, il cui numero non conosciamo ma sembrerebbe significativo, e la rappresentanza nel consiglio di amministrazione della municipalizzata Vco Formazione è ugualmente a netto vantaggio del genere femminile.

Così è, se vi pare. La legge è legge, ma qui, per fortuna, no.

Da: Il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2017

I concertini di Loguercio per il Sud che non sa di mare

canio-loguercioLA PAROLA gli esce di bocca ammaccata, come lamiera di auto che bacia un guardrail. E canta con sussulti, litanie, mezze mosse ritmate. La canzone napoletana con Canio Loguercio si trasforma, trasfigura. Tossisce, s’inquarta, erutta in una melodia di rara raffinatezza. Loguercio non è noto al grande pubblico, ma la sua chitarra e l’organetto con il quale Alessandro D’Alessandro lo accompagna compongono come nell’ultimo cofanetto (Canti Ballate e ipocondrie d’ammore) melodie originali, uniche, così spiazzanti da potersi definire insieme poetiche e triviali. I suoi li chiama “concertini d’ammore”, e sono fantastiche cantilene, misurate ninnananne, o anche rabbiose invocazioni all’amore conquistato o perduto. Canio canta una vita viva, ma feroce e una ipocondria permanente, l’ombra che ogni giorno ti insegue e ti stranisce. La sua musica è teatro, non soltanto melodia. Canio Loguercio canta il Sud che non affaccia sul mare, quel Sud che parte da Napoli e sbuca tra le montagne lucane, conosce i tratturi, le stradine della transumanza, il pianoro pugliese. È il Meridione interno, perduto tra i monti, dove i paesi boccheggiano. Loguercio è cantore di rara raffinatezza, i suoi concertini sono perle preziose che bisogna ogni volta saper cercare e poi assaggiare. Lentamente, come fosse vino d’annata.

I numeri uno dei giornali lastricati d’oro

Se i giornali fossero un’opera di intelligenza collettiva, l’intelligenza di tutti si metterebbe per tempo all’opera e si impunterebbe davanti a ogni furbizia e reagirebbe quando il potere nelle redazioni esonda oltre i confini naturali. Fa impressione la drammatica decisione presa dal comitato di redazione del Sole 24 Ore di proclamare uno sciopero ad oltranza. Cioè fino a quando la società editrice non avrà rimosso dalle funzioni il direttore Roberto Napoletano, coinvolto nell’indagine della magistratura relativa proprio ai conti del giornale e indagato perciò di “false comunicazioni sociali”. I direttori passano mentre i giornali restano, ma mica è sempre vero? A volte i giornali non resistono ai propri direttori.

Fa ancora più impressione leggere il contratto top secret nel quale l’ex presidente e l’ex amministratore delegato del Sole pattuiscono con il direttore una indennità extra pari a due milioni e 250 mila euro (non comprensiva delle altre indennità stabilite per legge) nel caso di suo licenziamento e una indennità extra di un milione e mezzo di euro (oltre a tutto il resto) nel caso di volontarie dimissioni. Vero, Napoletano ha rinunciato da tempo a far valere ogni pretesa su quel patto ma resta forte questo odore di soldi che annerisce le pareti delle redazioni e la coscienza di chi le frequenta.

Di soldi parlano da giorni Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, direttori rispettivamente di Libero e de La Verità , in una contesa che – in nome dell’on ore che ciascuno invoca per sé – conduce purtroppo in un mesto altrove . Vagano –come le poltrone direttoriali scambiate fino a ieri – milioni di euro da una tasca all’altra proprio mentre la crisi che ha investito l’editoria si è fatta così profonda e feroce da condurre migliaia di colleghi alla disoccupazione, molti altri a decurtazioni significative dello stipendio tutta la categoria e a un impoverimento progressivo e purtroppo inarrestabile, con i più giovani costretti a raccogliere oramai solo briciole da una fatica quotidiana che non trova più gratificazione. Vagano tra Feltri e Belpietro montagnole di quattrini (“Dieci milioni di euro in sette anni”, accusa Feltri. “Tu a Libero hai il mio stesso stipendio”, replica Belpietro), ora corrisposti per il lavoro svolto, ora ottenuti a prestito (due milioni e ottocentomila euro dagli Angelucci a Belpietro, rivela Feltri) e viaggia su un binario parallelo anche la scelta orribile dei due di pensionarsi anticipatamente: il primo a 55 anni e il secondo a 58 anni. Certo, tutto è a norma di legge. Ma tutto sproporzionato, terribilmente ingiusto per chi ha il talento di poter lavorare con passione fin quando crede e ai livelli più alti, e proprio per questa ragione remunerato così lautamente.

Poi si dice: vatti a fidare dei giornalisti…

Da: Il Fatto quotidiano, 12 marzo 2017   

RENZI, DENTRO LA MATRIOSKA IL NULLA

Esiste una relazione tra andamento politico del leader e suo giro vita? Matteo Renzi vive su di sé il principio dell’inversione proporzionale osservando l’aumento della distanza che separa il suo peso fisico da quello politico.

Scusate il dettaglio, ma i chili guadagnati durante la forzata vacatio dagli impegni di governo, frutto evidente di un esercizio quotidiano alla pastasciutta, corrispondono quasi esattamente ai punti percentuali che il suo partito ha perso dal 4 dicembre ad oggi, e sempre grazie alla tenacia di Matteo. Un po’ più grasso di ieri si è presentato al suo popolo, ritrovato – per l’appunto – un po’ più magro di ieri. Quattro chili fa, eravamo ad ottobre, Matteo Renzi – taglia 48 immaginiamo – governava il partito e dominava l’Italia con il pugno di ferro. Infatti sbucava da ogni dove, in tv a ogni ora del giorno e della notte e preparava l’appuntamento della vita: il 4 dicembre o si fa l’Italia o si muore. La dieta invernale, ricca di carboidrati, ha iniziato a farsi sentire nei sondaggi quando il Sì – dapprima indicato quasi alla pari col No – è andato franando. Fino alla tragedia di dicembre, con l’arrivo del panettone.

Consumato tutto quel ben di Dio di zuccheri Matteo ha allungato – si era appena dopo la Befana – di una tacca la cintura. Appesantito di qua e puntualmente alleggerito di là. Infatti sotto la neve il fermento scissionista ha preso forma, e in febbraio –quando la dieta è andata totalmente fuori controllo – la separazione si è resa ufficiale. Ad ottobre premier e segretario, a dicembre solo segretario, a gennaio segretario a tre quarti.

La scissione è coincisa con le sue dimissioni. Il peso forma, già difficile nei giorni di festa, è andato a farsi benedire con l’inaugurazione del congresso. Matrioska Renzi: aveva un governo e un partito a dicembre, a gennaio solo il partito, ma di circa due terzi rispetto all’originario. A febbraio si è ritrovato ulteriormente assottigliato, essendo in campo altri due concorrenti, Orlando ed Emiliano. Il notevole fuggi fuggi dall’area renziana che ieri il presidente del Piemonte Chiamparino ha bollato come segno di viltà, ha reso alla perfezione la tesi dell’inversione proporzionale. Al Lingotto, dunque nella metà di un partito già purtroppo ubbidiente a metà, il pingue Renzi sta conoscendo i disagi del dimagrimento politico, giacché i sondaggi ora dicono nientemeno che rischierebbe alle prossime primarie addirittura di andare al ballottaggio. Siamo forse in presenza del noto dualismo anima-corpo? Fossimo in Renzi chiederemmo consiglio a Platone.

Da: Il Fatto quotidiano, 12 marzo 2017  

LORENZO SOMMO – AD di Saint Vincent: “Web e slot hanno spedito i Casinò nel dimenticatoio”

saintvincentAddio croupier. Anche il tavolo verde finisce nello scantinato del Novecento e il Casinò, simbolo della belle époque, slargo capitalista, recinto nel quale era permesso ai ricchi di consumare i soldi attraverso altri soldi, bruciarli vivi sotto la sorveglianza ineffabile, compassionevole o comprensiva del croupier, declina verso una fine attesa e purtroppo giunta. Dei quattro Casinò funzionanti in Italia, non a caso posti agli estremi geografici del settentrione (Sanremo, Saint Vincent, Campione e Venezia) quello valdostano è messo peggio.

Lorenzo Sommo, lei è l’amministratore delegato.

Sono stato chiamato un anno e mezzo fa quando la crisi era già avanzata.

Organico appesantito dalle amicizie, e sempre meno ricconi – veri o presunti – a sedersi al tavolo.

Il nostro bilancio oggi è di 64 milioni di euro. E il 70 per cento è assorbito dagli stipendi. Una cifra troppo elevata. Dobbiamo scendere da questo tetto e pure di corsa.

In dieci anni il cash si è dimezzato: negli anni d’oro Saint Vincent faceva 125 milioni. E lei ha dovuto firmare la lettera per 264 licenziamenti. Tanti se si tiene conto che i dipendenti sono 648.

Faccio l’avvocato, e sono qui per tentare di tenere i conti in ordine.

L’hanno chiamata quando il tavolo verde è rimasto al verde.

Subiamo la crisi del gioco online, la forza immateriale e violenta delle macchinette.

Nel Paese della ludopatia a chiudere sono i Casinò. Oggi si gioca in casa, si perde in casa, si piange da soli. Tutto online, e anche il vizio si smaterializza.

Si dice sempre della robotica che rimpiazza. Nel gioco il mondo nuovo è già arrivato. Tutti a comprare slot machine. L’investimento iniziale è salato, poi però i soldi che si ricavano garantiscono il sacrificio iniziale e lo compensano. Ne compri cinquanta e ti basta una sola persona a gestirli.

È l’età della solitudine. Al poker i gomiti si toccavano. I pokeristi sono stati una classe sociale. Resteranno i film a ricordarceli.

Internet cambia il mondo e noi ce ne stiamo accorgendo per primi. Dalle slot ricaviamo il 75 per cento degli introiti da gioco. Solo un quarto si fattura sui tavoli, dove c’è organizzazione, struttura e lavoro. Dove si esplica principalmente la qualità del croupier.

Una professione allettante fino a dieci anni fa.

Economicamente piuttosto considerata.

Quanto guadagna in media un bravo croupier?

Sui 4.000 euro mensili. È un lavoro di alta specializzazione. Ma qui da anni non si assume più, l’età del croupier volge al termine.Continue reading

Il Vernacoliere, Il direttore Cardinali: “Bistecchine e potere, gli ‘Amici Miei’ di Matteo”

mario-cardinaliIn Toscana tutto nasce e tutto muore, prima si fa poi si disfa e si sbeffeggia. Il Giglio magico ricondotto a un piccolo territorio, il quadrilatero che cuce Rignano (di babbo Tiziano e mamma Laura) con Pontassieve (casa di Matteo), Laterina (Boschi family) ed Empoli (Lotti and Co.), e lo sberleffo più cruento e sapido al potere costituito lanciato dalla vicina Livorno, patria di Mario Cardinali, fondatore ed editore e naturalmente direttore del Vernacoliere. È un po’ commedia all’italiana, un po’ impiccio di provincia, un po’ consorteria politica. In una parola: è genius loci. “Sa quante cattedre universitarie ci hanno offerto? Ma noi siamo gente perbene”. La prossemica ha cospirato contro Matteo Renzi quando ultimamente ha raccontato il rifiuto per l’alto incarico accademico che sembra sia giunto a lui e persino a sua moglie Agnese. Non sappiamo dove e non sappiamo quando, ma ci crediamo. Infatti da Livorno – al tempo in cui Matteo era über alles – il Vernacoliere titolava: “Lecca anche te il culo a Renzi”. Satira eccedente la misura, espressività di certosina trivialità, linguaggio decisamente greve, con una percussione semantica stabile sul sesso e le sue virtù.

Lei ha ottant’anni, Matteo neanche la sua metà.

Chi, il Bomba? I fiorentini sono gradassi per costituzione. Diciamoci la verità: i Medici erano arroganti fino al midollo e i toscani, che hanno imposto all’Italia la lingua, hanno ereditato questa particolare amicizia con l’eccesso di sé. Renzi è stato un perfetto interprete della toscanità come anche la sua corte.

Il renzismo ha il quartier generale nel quadrilatero che lambisce Firenze senza però toccarla, lontano pure dal vostro mare livornese.

Ha fatto cose da Amici miei. Sembra una pellicola del cinema degli anni Settanta, lo vogliamo dire?

Ma il Vernacoliere quanti titoli gli ha riservato.

Non moltissimi, ma quel che bastavano.

Lei usa un linguaggio che non ha paratie.

Non commetta l’errore di giudicare volgare la nostra espressività che invece è popolare, forse plebea, sicuramente antipotere. Il Vernacoliere usa la lingua del popolo che non conosce altre modalità e altre parole.

Il Vernacoliere è di sinistra?

Sicuramente di sinistra e sicuramente libertario. Antifascista e antirazzista. Renzi cià rotto il cazzo noi l’abbiamo titolato a caratteri cubitali. D’altronde era un sentimento popolare. Noi non lo traduciamo. Ha stufato con la sua arroganza, e la teoria della velocità al governo – come diceva? Una riforma al mese? – noi l’abbiamo tradotta con Troppa velocità: Renzi s’è cagato addosso.Continue reading

Guglielmo Epifani: “Il Pd renziano è una casa crollata, forse ne siamo usciti troppo tardi”

gugliemo-epifaniIl Pd resterà il partito della Nazione, i Cinque Stelle saranno il movimento della Nazione. Figurarsi la destra così a suo agio con l’idea di raccogliere di tutto sotto l’egida del nazionalismo. Solo la sinistra nel prossimo Parlamento rischierà di non avere la forza e la voce che la sua storia per tanti anni le ha consegnato”.

E di chi sarà la colpa? Lei, Guglielmo Epifani, è stato segretario del Pd, Pierluigi Bersani pure, Massimo D’Alema ha guidato i Ds, l’ex socio di maggioranza. Il vostro addio quasi scivola via nel silenzio. Temo che gli elettori di sinistra si sono accorti prima di voi che quel partito stava prendendo una brutta strada.

Forse abbiamo ritardato la decisione. Ma chi ha avuto una responsabilità così grande ha anche una difficoltà grandissima a giungere alla soluzione senz’appello. Il tempo è passato e non ricordiamo oggi quel che costò non votare – per esempio – la fiducia sulla legge elettorale.

Ma un leader se è tale indica agli altri la via, non se la fa indicare, ascolta gli umori della società per tempo, non si stupisce d’un botto del disastro.

Lei non si accorge di un’altra grande difficoltà: il serbatoio della sinistra non ha più benzina anche perché quelli che un tempo sollecitavano un pensiero, stimolavano il partito, non ci sono più. Gli intellettuali sembrano spariti. La classe operaia sta cambiando volto, la borghesia sta scomparendo. Come sparite sono le riviste, spariti i luoghi associativi. Esistono voci che non hanno però la forza di quelle di un tempo.

Ora c’è il mondo che si ritrova in internet che dovrebbe fare quel lavoro.

La rete non costruisce comunità. Semplicemente collega singoli. Singoli che parlano con altri singoli ma, a dispetto del nome della struttura che li contiene, non producono una rete, una dimensione collettiva di pensiero. Si va al computer ma non si ascolta e spesso nemmeno si parla. È venuta a cadere anche l’abitudine alla riflessione più approfondita, persa la fatica di leggere e imparare. Si svolazza di qua e di là. Un commentino, un altro… un emoticon.

La sinistra non ha più birra in corpo. Ed è depressa.Continue reading

Gianni Cuperlo: “L’èra del fiorentino è finita, ma anch’io sono all’ultimo giro”

gianni-cuperloQuando ho udito quella parola mi sono detto: ma io che ci faccio qui?

Gianni Cuperlo era in tv a spiegare che – a suo giudizio – il ministro Luca Lotti avrebbe fatto bene a fare un passo indietro quando Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale (proprio lui!) l’ha accusato di sciacallaggio.

Una ferita enorme, un senso di straniamento.

Il mondo alla rovescia. L’accusa arriva dal direttore del quotidiano berlusconiano, seguita a ruota dalle parole di Emanuele Fiano, suo compagno di partito.

Fiano ha fatto un post di scuse e precisazioni.

Il punto qui mi sembra un altro: la sua posizione appare così eccentrica rispetto alla linea generale che un giudizio, grave ma misurato, viene sfregiato da una offesa.

Ho condotto tutte le battaglie, magari alcune le avrò sbagliate, ma non ho mai consumato parole che non sentissi adeguate, senza nessuna voglia di essere ridondante, di esorbitare dal contesto e appunto dalla misura. Avrò ecceduto comunque? Quel che vedo invece è il senso di umiliazione che questa e altre vicende hanno fatto vivere a tanti compagni. Non soltanto coloro che sono andati via, ma a quelli che ci hanno abbandonato, o che noi abbiamo lasciato per strada, durante questa marcia dissennata verso lo smantellamento di ogni connessione sentimentale con il nostro popolo, con l’ambiente che in noi vedeva l’avvenire, il nuovo, la possibilità di un riscatto. Io è a questo che voglio reagire.

In 3 anni Matteo Renzi ha consumato ogni dote?

Ma all’inizio la speranza accesa era fortissima, e non ho mai nascosto che il suo cambio di passo ci abbia condotto a quel risultato strabiliante del 40 per cento alle Europee. E quella parola, rottamazione, che io stenterei a usare anche se dovessi parlare della mia automobile ha avuto il suono di un ultimo avviso, un po’ simile al comizio che Nanni Moretti tenne 15 anni prima. Quell’invettiva dal grande spessore etico con cui il regista sferzò la sinistra, la costrinse a pensare anche se non riuscì a correggerla.Continue reading

Elena Puccini: “Mani Pulite è stata inutile, oggi il potere politico è ancor più vorace e disinibito”

elena-pucciniStudiosa dell’antropologia politica e delle dinamiche sociali del potere, Elena Pulcini ha in dote il destino di vivere a Firenze. “La Toscana è più provinciale di quel che ci si aspetterebbe e incistata di un clientelismo reticolare”.

La vicenda del babbo Renzi e di amici, figlioli e padri che scambiano poltrone e posizioni è il ritratto familiare, sembra quasi l’Italietta degli anni Settanta. Per un verso mi fa ricordare Amici miei.

E anche nel film la Toscana aveva una parte. Io però vedo un passaggio in più, un limite che la politica ha ormai oltrepassato, e qui non sto giudicando la vicenda Renzi che non conosco ma un contesto pulviscolare, questa nebbiolina fitta di malaffare.

Il limite superato, diceva.

Ecco: il pudore, la vergogna. Non è bastata Mani Pulite, non sono bastati gli arresti, non è bastata alcuna misura per rinunciare all’idea che il potere tutto può. E se ieri si nascondeva, si imbarazzava, gridava bugiardamente al complotto, oggi non porta nemmeno la pena di coprire la malefatta. È un potere disinibito e vorace, persino ingenuo nella propria dimensione. E lega familisticamente il destino.

Il legislatore ha prodotto un nuovo reato per allinearsi al nuovo mondo: traffico di influenze.

Due parole illuminanti. L’influenza, che in sé non ha alcun giudizio negativo, in questo contesto è l’arma dispiegata dal potere perché in ragione della propria forza possa acquisirne di altro, in territori non suoi ma contigui. Il potere è per definizione influente. E poi la parola traffico: si usa per la droga, per la mafia. Associato a influenza fa pensare a questo andirivieni di favori e richieste, azioni e dazioni. Siamo lontani anni luce all’Italietta, al neorealismo cinematografico.

È un potere insieme nazionale e territoriale. La vigilessa che viene portata a Palazzo Chigi, l’avvocatessa condotta a riformare la Costituzione, l’amico che si dà da fare, così sembrerebbe, per conquistare l’appalto. Si è detto di Renzi: veloce, furbo, scaltro. Eppure…

Se ti fai trascinare da altri sentimenti, tipo l’avidità, ne rimani soggiogato. Parlo naturalmente in generale: ma ciò che più mi colpisce, penso all’inchiesta sui consiglieri regionali del Lazio, o a Mafia Capitale, è la assoluta assenza di pudore. Così il potente sviluppa l’idea che si possa vivere in modo incivile, si possa avere atteggiamenti che un minimo senso del limite si riterrebbero pregiudizievoli. L’ostentazione assorbe la furbizia, la devianza prevarica sulla misura. Com’è possibile che chi gode di privilegi già piuttosto ampi, possiede belle case, conduce una vita senza preoccupazioni ed esercita il potere non si preoccupi di comprendere perché il proprio status, già così diverso dalla condizione generale, non lo soddisfi.

Forse perché il potere non basta mai, non è una misura assoluta.

Ma la deturpazione civile è terribile! Quale fiducia puoi più avere nei partiti, con quale animo ti disponi all’impegno nella gestione della cosa pubblica? Quale interesse e passione conduci in cabina elettorale?

Lei che dice?

Io dico che non voterò. Non ci riesco proprio in queste condizioni.

Da: Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2017

Antonio Pizzinato: “Miei cari Max e Bersani, è tardi per uscire dal Pd”

antonio-pizzinatoEra il primo della fila ora – disciplinato – accetta di stare in coda. È stato segretario generale della Cgil, ora è membro del direttivo del suo circolo. Ha avuto potere, oggi è un felice nullatenente. Chi è abituato a immaginare la politica solo come comando vada a lezione da Antonio Pizzinato. Ottantacinque anni tra qualche mese. È stato garzone, poi operaio, quindi sindacalista. È stato segretario generale della Cgil, poi deputato e senatore. Oggi militante semplice.

Pizzinato, vogliamo ricordare quando la indicarono come successore di Luciano Lama?

Era il 1986. Ringraziai i compagni ma chiesi comprensione. Non ero preparato a quell’incarico e lo dissi: mi serve un po’ di tempo per formarmi meglio. Sa, un salto di quel genere. I compagni rifiutarono. Mi dissero che avrei dovuto accettare senza se e senza ma. E così feci.

A rileggere ora le sue preoccupazioni viene da sorridere.

E perché mai? Quel che manca alla sinistra è l’umiltà e la concretezza. Il potere per il comando è una traiettoria di vita che non ci appartiene. Anche per questo ho rifiutato di iscrivermi nel Pd. Non mi convinceva. Ho preso la tessera della Sinistra italiana.

Ma umiltà può anche significare modestia, assenza di talento.

Per fare politica ci vuole passione e poi talento. Se il talento manca nelle dosi giuste bisogna ricorrere a un impegno meticoloso. Bisogna prepararsi, leggere e studiare.

Quando era operaio della Borletti condusse una battaglia, che vinse, per la scuola serale.

Così si cambia la società. Noi volevamo imparare, eravamo a corto di studi e volevamo sopperire. Perciò facemmo una battaglia perché le aziende agevolassero il nostro compito e ottenemmo una piccola ma decisiva riduzione dell’orario di lavoro e il finanziamento dei corsi.

Oggi sarebbe incredibile, forse impossibile.

Partiamo dalla realtà, vediamo cosa dice alla sinistra questo dato. Solo nella mia Lombardia ci sono 343 sezioni aperte e attive dell’Anpi. E il 40 per cento degli iscritti ha un’età inferiore ai cinquant’anni. Non essendo un’associazione di reduci in procinto di essere tumulati, chiedo: esiste un altro partito o movimento che possa eguagliare queste cifre? E qual è il motivo di questo entusiasmo verso i partigiani? Rispondo: è la Costituzione. Hanno combattuto per dare all’Italia una carta di diritti che sollevasse l’ultimo dalla sua condizione. La stella polare è l’articolo 3: “…è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale e via dicendo…”.

Bastava che la sinistra la tenesse a mente.

Esatto. Prendere alla lettera il dettato costituzionale significa fare una rivoluzione nel costume, nei rapporti di forza sociali. Rimuovere gli ostacoli è un obiettivo tecnicamente rivoluzionario. Invece questi pensano solo a raggiungere il comando nel più breve tempo possibile.

Non apprezza la scelta di Bersani e D’Alema di lasciare il Pd?Continue reading