“Non c’è soluzione, bisogna solo resuscitare Agnes”

Mettiamo Renzo Arbore al governo. Destiniamolo a Palazzo Chigi per un pomeriggio, sulla poltrona di Matteo Renzi. Pieni poteri sulla Rai, scriva lei il decreto legge. “Rintraccerei in paradiso Biagio Agnes, il grande Biagione democristiano. Di televisione ne capiva. Mettere uno che ne capisce non sarebbe male”.
Siamo però al de cuius.
Noto un filo di sarcasmo. Mi rifarò nel prosieguo dell’articolato.
Articolo 2.
L’auditel sta imbarbarendo la Rai, a sua volta inquinata da Mediaset. Urge rottamazione. D’ora in avanti ai dati di ascolto devono essere associati quelli del gradimento.
Alto gradimento come la trasmissione di Arbore e Boncompagni? Incorreremmo in un gravoso conflitto d’interessi.
Il capo di gabinetto troverà un sinonimo. Anzi, eccolo qua: indice di affezione. Tu telespettatore mi devi dire ciò che vedi e quanto ti piace ciò che vedi. Da uno a dieci quanto ti piace? Ci sono schifezze che fanno ottimi ascolti. Ma schifezze rimangono.Continue reading

Condannano il figlio, si candida il padre

Cosa può fare un padre per il proprio figlio? Candidarsi, per esempio. L’amore filiale ci conduce fino a Patù, nel Salento più luminoso e nascosto, appena dietro Santa Maria di Leuca. Nel destino di un uomo, in questo caso il giovane Gabriele Abaterusso, imprenditore e vicesindaco del paese, si staglia la figura paterna di Ernesto, papà accorto e misericordioso. Gabriele, molto attivo negli affari, ha subito una condanna (in appello) per bancarotta e insieme a Michele Emiliano, il suo leader oggi candidato governatore della Puglia, ha riflettuto, valutato e poi deciso di rinunciare alla corsa. Non sarebbe stato bello per l’immagine di Emiliano, comunque ancora magistrato, e per quella del Partito democratico. Gabriele è stato irremovibile: non mi candido. A questo punto nella testa di Emiliano la lampadina si è accesa: ha chiesto al papà una firma in sostituzione. Una surroga come quella per i mutui. Ed Ernesto, in una memorabile lettera che il Quotidiano di Puglia ha pubblicato e di cui daremo ampi stralci, seppure a malincuore e con l’animo ferito e il fisico provato, ha accettato. Ernesto, il papà, è già stato deputato e sa quali sofferenze si debbano sopportare in politica. “Michele Emiliano mi chiede di dare una mano per preservare questo progetto e pur tra mille remore che mi derivano dagli impegni lavorativi e personali già assunti, rispondo: il partito chiama e io, onorato, obbedisco. Come sempre”.Continue reading

Marco Pannella: “La fame non mi ha mai lasciato, il digiuno conserva”

Marco Pannella è l’unico leader a far parlare il corpo in sua vece. Obbliga cioè il corpo malgrado una lingua torrenziale a monumentali battaglie politiche. E così rinsecchisce o ingrassa, si espande (a volte si moltiplica) o si riduce. Lo fa vivere o lo asseta nello stile singolare che lo ha condotto per mezzo secolo a guidare da padre-padrone il Partito radicale. Un partito che poi non è esattamente un partito.
(Al caffè Sharì Varì, tre del pomeriggio). L’idea di morire a volte mi arrapa. Mi rapisce, mi fa sognare. Perché il presente ha due forme: c’è quello dei morti e l’altro dei viventi. Sapere che le mie idee, i miei amori, la mia vita, i miei vizi saranno vivi dopo di me mi consegna a un benessere spirituale, a una condizione di entusiasmo. Ciascuno è corpo e storia e noi siamo seme che cresce. Al liceo nella mia classe eravamo in quarantatré. E in tutta la scuola l’unico Marco ero io. Negli anni ho visto fiorire un gran numero di Marchi. Un po’ di merito secondo te, ce l’ho? Ci sono amici cattolicissimi, che dunque credono nell’aldilà, nella vita oltre la vita, e mi raccomandano sempre: Marco, riguardati. E infatti credo di aver avuto un singolare riguardo per il mio corpo, per tutto quello che gli ho dato e soprattutto per quel che gli ho tolto. I nutrizionisti sono delle teste di cazzo, io credo nell’autofagia. La mia longevità (ho 85 anni e come vedi mi reggo ancora in piedi) è data anche dal digiuno e proprio grazie all’autofagia: le cellule ripuliscono il corpo, assetato o affamato, sacrificano quelle ossidate dallo stress o dagli anni e danno propulsione invece alle altre, capaci ancora di vita sana.Continue reading

Vicienz, il rottamatore anziano alla guerra dei cafoni

Non è soltanto un cortocircuito etico e politico a rendere la candidatura a governatore di un condannato un atto – pur se formalmente legittimo – tecnicamente sovversivo. Dimostra ancora una volta che chi ha i voti non ha bisogno di rispettare la legge, nella conferma eterna che la sovversione, specialmente a Sud, è pratica comune e assai apprezzata. Vincenzo De Luca, che di anni ne ha sessantasei, da oggi è non solo la personalità del Pd campano più votata, ma anche il leader della rottamazione, del “cambiaverso”. Tempo poche settimane e sarà lui – non altri – il capopopolo che chiamerà tutto il Mezzogiorno alla riscossa. In effetti De Luca è avanti a Renzi di molti passi. Trent’anni fa, quando Matteo era ragazzino di parrocchia, Vincenzo (Vicienz, secondo il registro popolare) iniziò a rottamare la lingua italiana. Le parole colte di una sinistra che lui già intravedeva come minoritaria e perdente furono collocate nell’albo della memoria. Si era accorto che per interpretare una società schiettamente clientelare, allergica alle regole, ai doveri (e alla cultura), doveva utilizzare un frasario contiguo e omogeneo. L’antipolitica nasce con lui. Giunto alla poltrona di sindaco di Salerno, amministra attraverso un colloquio televisivo con i cittadini. Parla, accusa, decide, incita, oltraggia o ingiuria via etere.
CAFONE DIVIENE la parola clou del vocabolario. Cafone è colui che imbratta e colui che contesta. Cafone è il diverso, cafone è chi non rispetta le regole e – cafoni o figli delle chiancarelle (figli di puttana, cioè) – coloro che invece esigono il rispetto delle regole.
In una città abituata all’anarchia dei comportamenti, alla radice clientelare della propria carriera, la proposta di De Luca di scambiare quel po’ di democrazia che rimane con più efficienza pubblica è accolta immediatamente con grida di giubilo. Ieri su facebook la signora Rubina, sua sostenitrice, ha commentato: “Grande sindaco De Luca, da sempre votato a Salerno da destra e da sinistra. Perchè chi lavora bene, nel segno del fare, chi è concreto e propositivo e – perchè no! sapientemente autoritario, ha preferenze trasversali. Detrattori invidiosi, mi dispiace: stasera zittitevi”. La signora coglie nel segno: De Luca è uomo del fare. Salerno è zeppa di opere pubbliche. Ed è autoritario, come una società cieca e con una inclinazione intimamente fascista ha voglia di immaginare il suo leader. “Detrattori invidiosi, zittitevi!”. Visto? Come i gufi di Renzi. A Salerno le strade sono pulite, i marciapiedi in ordine, il lungomare uno splendore. Ma Salerno è anche la città delle ingiustizie, delle camarille dei potenti, degli affaristi di sempre. Città che ha visto edificare un mostro urbanistico, il cosiddetto Crescent, nel silenzio connivente. Il vergognoso mutismo della Sopritendenza, la sonnolenta presa d’atto di una magistratura spesso distratta, la coscienza sporca dei cittadini che al mercato nero della politica avevano delegato al sindaco ogni potere in cambio di favori ha fatto erigere un monumento degno di una democrazia sudamericana.
De Luca dunque è stato proclamato oggi il rottamatore più anziano in attività. Come Matteo, uomo del fare. E come lui né di destra né di sinistra. Al centro del centro. La Campania degli indifferenti (quando non dei collusi) affiderà il suo riscatto a chi chiede il rispetto delle regole ma per sé dispone una deroga. A chi sbraita contro il clientelismo ma avanza davanti una corte di cortigiani. A chi discorre di civiltà e dignità, ma poi urla e dileggia.
De Luca è un ultras del paternalismo e infatti gli ultras lo amano. Tra un po’ a Scampia diranno quel che dicono i ragazzi salernitani: Vicienz è patr a me. Vincenzo è mio padre.

da: Il Fatto Quotidiano 3 marzo 2015

Milena Gabanelli “Nomine Rai, non è il governo che deve scegliere i migliori”

Ai piani alti c’è il potere. In quelli bassi i telespettatori e i lettori. Milena Gabanelli – giornalista investigativa tra le più apprezzate – esamina le ragioni di una questione cruciale della democrazia: perchè l’informazione fa così spesso rima con la manipolazione. Perché spesso si avventura a trasformare la realtà fino ad erigerne una di comodo, adeguata ai bisogni del momento.
Il piano Gubitosi è stato approvato. Un’unica newsroom, telegiornali tematici. Meno dirigenti in Rai, meno burocrazia. Ora ti tocca esultare.
È auspicabile che in futuro ci sia un’unica newsroom, per il momento è un passaggio intermedio che a mio parere è giusto perseguire. Prima di esultare aspettiamo di vedere quali saranno i direttori. Il nodo cruciale è soprattutto lì.Continue reading

Molise, una metro “in famiglia” (del Governatore)

24 MILIONI PER I 40 KM TRA MATRICE E BOJANO: IL VIA LIBERA GRAZIE ALLO STUDIO DELLA SOCIETÀ DI FRATTURA, PRESIDENTE DELLA REGIONE, E DEL SUO SOCIO, OGGI DIRETTORE GENERALE
Adora il Molise, la regione che governa. Ha molte idee e progetti nel cassetto (insuperabile l’incipit della sua biografia: “Amo l’etica e l’estetica della professione di architetto”) e adesso che è governatore, dopo aver immaginato una bellissima metropolitana leggera se la finanzia. Paolo Di Laura Frattura è un caso speciale di conflitto d’interessi, una stellina lucente e imperdibile tra le mille che popolano il cielo d’Italia. Frattura è un figlio di papà e in una regione abituata a consacrare i notabili, omaggiarne virtù e vizi, l’anagrafe profuma quanto un glicine in primavera.
Frattura nelle vesti di socio della Proter srl, viene incaricato nel 2003 da un ente di derivazione regionale (guidata dall’allora amico Michele Iorio) di studiare un sistema di mobilità veloce tra il comune di Matrice (1071 abitanti) e il comune di Bojano (ben 7946). Una quarantina di noiosi chilometri con attraversamento di Campobasso. La Proter immagina di ritmare corse metropolitane ogni mezz’ora nelle fasce orarie più acute, di un’ora in quelle morte. Garantisce che saranno almeno settemila pendolari, secondo calcoli piuttosto orientativi, a farne uso quotidiano. Provvederà una società privata a gestire la tratta. Sarà un successo molisano! Comprare quattro Minuetto diesel, costruire dodici pensiline per altrettante stazioni o fermate, far scorrere tutto sul tracciato storico delle ferrovie. E il gioco è fatto. Oggi il sogno finalmente è realtà: con soli 24 milioni di euro sarà possibile scollinare senza l’incubo del traffico paesano. La Regione finalmente ha deciso. Frattura presidente ha accolto l’idea che Frattura progettista propose senza successo dieci anni fa.Continue reading

La minaccia di Minzo: “Torno al giornalismo, non ho mai leccato B.”

SULLA CONDANNA PER LA CARTA DI CREDITO RAI DICE: “ERO A FAVORE DELL’IMPEACHMENT DI NAPOLITANO, HA PESATO”
Augusto Minzolini, romano, 56 anni, è separato con un figlio. Giornalista politico tra i più influenti, è stato direttore del Tg1 su indicazione dell’allora premier Silvio Berlusconi. Per vicende legate all’uso della carta di credito aziendale è stato processato e assolto in primo grado. Sentenza ribaltata in appello (27 ottobre 2014) con una condanna a due anni e sei mesi per peculato continuato. È pendente il ricorso in Cassazione. È stato eletto senatore nelle file di Forza Italia alle ultime elezioni politiche.
COM’È che si dice? “Non sono io un campione, sono quelli a essere brocchi”. È una delle ragioni, non certo però la principale per cui ho deciso di ritornare a fare il mio mestiere. L’esperienza politica mi è servita eccome, però la mia passione è il giornalismo. È ciò che voglio fare ed è quello che farò. Non so ancora come (sono direttore degli uffici di corrispondenza della Rai) e dove, ma qualcosa mi inventerò. L’offerta di candidarmi mi è venuta da Silvio Berlusconi, io non sono il tipo che chiede, e l’ho accettata perché mi pareva utile: era una sorta di completamento della mia professione. Dopo aver raccontato da esterno la politica avrei avuto la possibilità di guardarla da dentro. Mi è bastato un mese del governo Letta per capire che dovevamo immediatamente tornare alle urne. Tre forze quasi alla pari: il Pd da una parte, noi in mezzo e poi i Cinquestelle. Ce la saremmo potuta rigiocare, tentare il colpo. Mi presero per pazzo, ça va sans dire. Continue reading

Civiltà 2.0 Tra le lamiere niente aiuto, meglio farsi qualche selfie

Un incidente in un incrocio romano, due auto che urtano violentemente, uno dei due autisti che resta ferito e intrappolato. In strada solo un passante. Così almeno pensa la signora Daniela che dalla finestra di casa – riferisce al Messaggero – assiste a quel triste rituale metropolitano. S’accorge però presto che il soccorritore invece di provare a estrarre il ferito dalle lamiere prende dalla tasca un cellulare.
INVECE DI TENTARE di modificare la scena, aprire un varco al malcapitato o soltanto recargli conforto nell’attesa di un’ambulanza, inquadra. Fotografa. E scatta, scatta, scatta. Tutta roba buona per Facebook, Twitter oppure Instagram. A tanto è giunta questa nostra sottomissione ai social network. Un potere onnipotente e disumano che ci costringe, per farvi parte, di esserci a qualsiasi costo. È come se internet ci avesse cavato dalle budella un desiderio insopprimibile di segnare la nostra presenza per qualunque ragione, in qualunque contesto. In questo processo di progressiva schiavizzazione dai nuovi riti che la community ci assegna, la nostra identità è ridotta alla misura minima della presenza inconcludente, a cui non è chiesto un atto di responsabilità, di partecipazione, di solidarietà ma di testimonianza muta e piuttosto spaventosa. Io c’ero e ho scattato la foto.
GIÀ QUESTO COSTUME di filmare e fotografare ogni dettaglio della nostra vita ha un che di abnorme, di efferato, di irriguardoso verso un minimo, essenziale dovere di riservatezza che dovremmo agli atti privati della nostra esistenza. Se poi l’ossessione si manifesta nei riguardi degli altri, di chi conosciamo e di chi nemmeno conosciamo, di chi è in piedi e in buona salute e di chi invece ferito giace per terra, allora il nostro comportamento diviene vera e propria devianza, disabilità civile. Una angosciosa forma di narcisismo collettivo della quale c’è solo da atterrirsi. da: Il Fatto Quotidiano 11 febbraio 2015

Michela Marzano, l’onorevole incompresa: “È la legge del Parlamento, se non sei fedele sei invisibile”

Cosa ci fa una filosofa in un Parlamento senza pensieri? Scrocchia le dita, sbuffa, s’annoia. Michela Marzano è deputata in sovrannumero. È un’intelligenza in esubero, un corpo in più a cui hanno detto di stare buona e lasciare fare agli altri. “Mi hanno subito spiegato, appena ho varcato il portone, che in politica la competenza non è una qualità oggettiva, un dato certo, il risultato di una fatica. Buffo, no? Perché so che non esiste talento senza fatica, applicazione, studio”.
Lei sta per lasciare Montecitorio. Arrendersi, esporre bandiera bianca e dire: scusate, sono entrata nell’edificio sbagliato.
Io sarei fuggita già un anno fa, non ora. Appena ho capito che qua dentro sei invisibile, che ogni tipo di investitura risente dell’obbligo della fedeltà, di avere truppe nel contado, armi di scambio a disposizione. Sa come mi hanno catalogata al tempo della schedatura dei grandi elettori per il voto? Indipendente a rischio. Essendo indipendente, cioè pensando con la mia testa, ero obbligatoriamente un voto ballerino.
Lei fuggirà da questo Palazzo.Continue reading