Rom e associazioni, quando il filtro diventa tappo

romfoto

MARCO MORELLO

Anche se una serratura vera e propria non esiste, le chiavi dei campi rom della capitale sono saldamente
nelle mani delle associazioni. Una costellazione fitta fitta di enti, un florilegio di sigle a volte improbabili, spesso evocative, comunque legittimate a entrare dove altri, amministrazione comunale in testa, trovano porte sbarrate e inviti a girare alla larga. Enti di volontariato soltanto di nome, che dietro il velo del buonismo nascondono i loro interessi economici, foraggiati da bandi a volte cuciti su misura e determinazioni dirigenziali tanto generose quanto superficiali e omissive nei meccanismi di controllo.
Sono 100mila gli euro che sono stati dati alla sola Arci per occuparsi del campo di via Candoni, sorveglianza
notturna inclusa. Più di due milioni quelli spesi nel 2006 per gestire appena quattro strutture, divisi in fette disuguali tra Opera Nomadi, un paio di Onlus e una cooperativa. Gli stessi stanziati nel 2008, con risultati sempre deludenti, per la scolarizzazione in tutta la città dei giovani rom, per provvedere alla loro igiene personale e ad accompagnarli a scuola. Tre milioni e 800mila erano già pronti all’uso per i quattro mega villaggi della solidarietà, progetto alla fine rimasto nel cassetto, mentre fino a 3.600 euro a persona sono serviti a coprire voci vaghe come «corsi di formazione» o «borse-lavoro». Esempi micro e macro di un vero e proprio business della falsa solidarietà, intorno al quale tanti enti hanno lucrato e continuano a lucrare.Continue reading