La timida e la sgobbona, dai banchetti al Comune

appendino-raggiChiara ha trentuno anni, Virginia trentasette. Chiara è una ragazza borghese, casa in centro a Torino e studi di economia internazionale alla Bocconi. Virginia ha studiato Giurisprudenza a Roma Tre, vissuto nell’Appio Latino, a ridosso delle mura, e poi con il compagno si è trasferita ad Ottavia, periferia nord.

Virginia e Chiara sono le due nuove first ladies italiane, due giovani donne che si sono prese tutta la scena, occupando in novanta giorni ogni spazio. Virginia Raggi conquista il Campidoglio con un vantaggio inverosimile per la sua straordinaria ampiezza: trenta punti quasi su Roberto Giachetti. Un distacco, secondo i primi dati, che non ha pari nella storia della Capitale e tinge l’Italia di un colore nuovo: l’arcobaleno pentastellato. Chiara Appendino in quindici giorni ha recuperato venti punti a Piero Fassino bruciando – oltre ogni aspettativa – le attese che erano tutte a favore dell’antica roccia del Pd: l’usato sicuro che non ti lascia mai per strada.

CHIARA E VIRGINIA non sono gemelle siamesi. La prima ha venti centimetri in più della seconda, ha quaranta di piedi, capelli a caschetto e viaggi in mete lontane e pericolose. “Non sono moralista, non sono populista, non ho chiamato Casaleggio, non dico bugie”, ha spiegato presentandosi.

La bugia, l’omissione è invece stata la corda a cui è stata impiccata Virginia Raggi. Dapprima per non aver ricordato di essere stata praticante nello studio Previti, la seconda volta, poche ore prima del voto, accusata di aver omesso gli introiti ottenuti come legale dell’Asl di Civitavecchia. “Voi giornalisti siete come Pm: non ascoltate le risposte. Continuate a fare la stessa domanda, sempre quella, solo quella finché uno non cede”. Virginia ha liquidato come “fango” le accuse e la sua campagna elettorale è stata molto più dura di quella che è toccata in sorte alla sua amica Chiara. La torinese sorride e fa comunella con tutti, la romana diffida anzitutto: “Ho questa difficoltà e la riconosco. Se non ho confidenza non riesco a trovare il feeling giusto”.Continue reading

Guido Bertolaso: “Ma quale ritiro, io resto (perché so come si asfalta)”

guido-bertolaso-candidato-sindacoAppena mi vedono restano un po’ freddini, distanti, come se indugiassero nel sorriso.

Spernacchiano, ironizzano?

Niente di tutto questo, semplicemente restano sulle loro. Poi mi vedono all’opera, riconoscono nel mio linguaggio il tipo pratico che sono, la capacità di aggiustare le cose. E i romani vogliono vedere aggiustata la loro città. Perciò nel prosieguo dell’incontro si aprono, hanno in me l’artigiano che manca, il falegname che non c’è, l’asfaltista che li assilla, l’operaio che latita.

Guido Bertolaso è l’uomo del fare ante litteram.

Un sindaco che sa quanti centimetri di asfalto bisogna dare, sa cos’è il tal quale, sa come si riempie una buca, si fa camminare un bus, si apre una scuola, si costruisce una casa.

Non parliamo di case che penso a L’Aquila.

Convengo che sul punto ci possono essere differenti valutazioni tra me e lei.

Sorvoli su L’Aquila.

Ho risolto i rifiuti a Napoli.

Sorvolerei anche su Napoli.

Mica possono ricordarsi di come ho organizzato i funerali del Papa?

Tutti dicono che si ritirerà dalla corsa. I sondaggi non le danno scampo.

Tutti chi?

Tutti tutti. Non c’è uno che creda a Bertolaso sindaco.

Tutti quelli che mi vogliono fottere.Continue reading

La scommessa di Alfio: “Io, unico argine a Grillo”

alfio-marchiniIl primo sindaco del partito della Nazione sarà lui. Un metro e ottantanove centimetri per settantanove chilogrammi di peso, per sei anni (2003-2010) il giocatore di polo non professionistico più forte al mondo. Lui è Alfio Marchini, cinquantenne, l’imprenditore romano che sul cemento e dal cemento – il cemento unisce –avanza come interprete della politica del fare, il verbo che cuce amabilmente il ventennio berlusconiano con l’età renziana. Lui dice: “Di qua noi, di là i cinquestelle”. La joint venture tra Pd e Forza Italia che la ministra Beatrice Lorenzin ipotizza per far fronte alla   “deriva”grillina nella quale potrebbe essere trascinata Roma, capitale d’Italia e sede del Papato, simboli di una crisi drammatica e contestuale, è alle porte.

ALFIO GONGOLA: “Già tre anni fa immaginavo, appena ho messo piede nel campo della politica, che avesse al centro un confronto democratico tra il movimento di Grillo e un movimento che sapesse coniugare civismo e ideali, bandiere della nostra storia e modernità. Siamo adesso giunti al punto di svolta, bisogna sostituire al consociativismo un nuovo bipolarismo: noi da una parte, i cinquestelle dall’altra”. È più di un patto del Nazareno in versione capitolina, è la formula che dà concretezza a quel vettore politico che può coniugare gli interessi del centrosinistra e del centrodestra, risolvere le antitesi e arrivare alla sintesi: il potere. “Quel patto del Nazareno ha miseramente fallito a Roma. Sarebbe un onore per me essere considerato uno che può aggregare, anche se sento forte la puzza di un trappolone. Essere l’unico candidato in campo è un oggettivo rischio del tiro a piccione. Siamo al punto che persino la nomina dei sub commissari, che devono traghettare Roma alle elezioni per qualche settimana, diviene un parto difficile. In queste condizioni i falchi si avventano su di me, ma io rassicuro tutti: non userò le sigle politiche come taxi. Continue reading