LA QUERELA È A CAVOLO, MA IN NOME DEL POPOLO

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Il politico brandisce la querela come il guerriero la spada. È insieme difesa e attacco, intimidazione e tutela, finzione e realtà. La querela è una tipica attività d’azione per la quale e nella quale l’uomo politico si concede anche una pausa fantastica. Nel senso che nella querela prima si crogiola poi – esaminati gli effetti collaterali – si atterrisce. Infine rinuncia, ma in silenzio. Oppure l’annuncia ma non la fa. Invece è molto galvanizzante, anche se spesso dagli esiti incerti, la querela in nome del popolo disonorato, della città discriminata o vilipesa o mortificata. Il sindaco si fa santo patrono e lancia la sfida, cioè la querela. Ora qui non siamo a discutere dell’estetica linguistica di Giletti né del suo pensiero che allinea Napoli alla puzza (rendendo così un po’ puzzolente più che la città la propria riflessione). Per quanto sgradevole, il suo è un giudizio. Possiamo discuterne, naturalmente dissentire (oppure perfino acconsentire), ma querelare no. Chi scrive si trovò a fronteggiare tempo fa una querela di un sindaco di Messina che pensò di risolvere in tribunale l’inabilità sua e delle amministrazioni che l’avevano preceduto a rendere decente la vita dei propri cittadini. Avevo detto che quella città appariva una cloaca a cielo aperto, volendo naturalmente denunciare le troppe abitazioni ancora prive dei servizi minimi essenziali come le fogne. Il sindaco fece il pesce in barile e intese come offesa alla città quella denuncia, chiedendomi un risarcimento milionario. Risultato? La contesa è giunta fino in Cassazione: cloaca e nessuno s’offenda. Al più si vergogni. Tornando a Napoli, De Magistris sembra a suo agio quando fa il capo tribù. È un populista devoto e questa querela appare un po’ ad capocchiam.

Da: Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2015