Rom e associazioni, quando il filtro diventa tappo

romfoto

MARCO MORELLO

Anche se una serratura vera e propria non esiste, le chiavi dei campi rom della capitale sono saldamente
nelle mani delle associazioni. Una costellazione fitta fitta di enti, un florilegio di sigle a volte improbabili, spesso evocative, comunque legittimate a entrare dove altri, amministrazione comunale in testa, trovano porte sbarrate e inviti a girare alla larga. Enti di volontariato soltanto di nome, che dietro il velo del buonismo nascondono i loro interessi economici, foraggiati da bandi a volte cuciti su misura e determinazioni dirigenziali tanto generose quanto superficiali e omissive nei meccanismi di controllo.
Sono 100mila gli euro che sono stati dati alla sola Arci per occuparsi del campo di via Candoni, sorveglianza
notturna inclusa. Più di due milioni quelli spesi nel 2006 per gestire appena quattro strutture, divisi in fette disuguali tra Opera Nomadi, un paio di Onlus e una cooperativa. Gli stessi stanziati nel 2008, con risultati sempre deludenti, per la scolarizzazione in tutta la città dei giovani rom, per provvedere alla loro igiene personale e ad accompagnarli a scuola. Tre milioni e 800mila erano già pronti all’uso per i quattro mega villaggi della solidarietà, progetto alla fine rimasto nel cassetto, mentre fino a 3.600 euro a persona sono serviti a coprire voci vaghe come «corsi di formazione» o «borse-lavoro». Esempi micro e macro di un vero e proprio business della falsa solidarietà, intorno al quale tanti enti hanno lucrato e continuano a lucrare.Continue reading

Cristina e Violetta

romannegate

 

MANUELA CAVALIERI

Guardate queste foto.
Osservatele attentamente per qualche secondo.
Sono state scattate sabato scorso sulla spiaggia di Torregaveta, in provincia di Napoli.
Il punctum, come direbbe Barthes, è lì, sospeso a mezz’aria tra i bagnanti e i cadaveri.
È quello spazio immateriale, vuoto. È l’indifferenza.
Corpi e storie che si intrecciano. Corpi languidi stesi al sole, corpi tumefatti coperti da un telo compassionevole o stretti in una bara.
I bagnanti non hanno neppure la decenza di levarsi un attimo.
Solo una mano vezzosamente portata al volto per difendersi dal sole di luglio.
Mi chiedo se è la verità quella che vedo.
Un dubbio mi assale: e se fossi vittima di un gioco perverso, costruito ad arte per indignarmi?
Ma l’occhio non si stacca da quelle immagini.
Forse questi signori vanno devotamente in chiesa la domenica, si fanno la croce quando passano davanti ad un cimitero, hanno un santino adesivo appiccicato ai finestrini dell’auto. Forse hanno dei figli, magari adolescenti.
Cristina e Violetta erano al mare sabato con due amiche. Vendevano cianfrusaglie ai turisti. Avevano deciso di fare un bagno, ma il mare le ha inghiottite ed uccise.
Sono morte tra le braccia dei bagnini e degli operatori del 118.
Il resto della gente non ha visto, non ha sentito, non ha provato nulla.Continue reading

Bambino Rom muore, Viareggio paga i funerali

FLAVIA PICCINNI

L’ora, come un vasto fiume, trascina ogni cosa,
Il popolo dei mortali e la razza delle rose.
Renè Maran

Zobar ama l’acqua e ha due anni e mezzo. È un bambino rom, ha origini rumene ed è cresciuto a Viareggio. Anche lunedì pomeriggio era vicino Viareggio. A Massarosa, per la precisione. Era con i suoi genitori e il cuginetto a giocare nella piscina dell’azienda agricola “La Ficaia”. Lo immagino mentre si schizza con il cugino, nuota nella piccola piscina con i braccioli azzurri e bianchi, si stringe in vita il costumino verde.
Lo immagino mentre è contento, ma la cronaca mi dà torto. Perché Zobar da quella piscina non ci è mai uscito.
La ricostruzione dice che Zobar è andato insieme ai genitori a trovare i nonni, ospiti della struttura gestita da don Bruno Frediani, fondatore del Ceis, il Centro italiano di solidarietà. La ricostruzione dice che il piccolo, all’insaputa di tutti, è entrato nella piscina insieme a un cuginetto di quattro anni, nonostante l’impianto fosse chiuso e che insieme, i due, si siano tuffati da uno scivolo. La ricostruzione, la cronaca, le urla di paura, ansia, conferma spiegano poi come siano andate le cose: il più grande dei due è stato salvato da un addetto alla manutenzione, mentre il più piccolo è rimasto nascosto sotto un materassino e, quando è stato scoperto, i soccorsi si sono rivelati inutili. Ancora una volta lo spazio fra l’immaginazione e la realtà.Continue reading

Rom

rom

MANUELA CAVALIERI

Vi presento Ana. Chiede l’elemosina al parcheggio più frequentato di Salerno. Per pochi centesimi ti aiuta a ritirare il biglietto dalla macchinetta per la sosta a tempo. Ha lunghi capelli neri e un piccolo dente d’oro, forse un regalo di nozze. Sempre lì. La solita litania. Una preghiera ripetuta all’infinito: “Bella, tu dai qualcosa, la Madonna ti benedice. C’ho bambino piccolo”. La voce è melliflua, una nenia. Ana ha quattordici anni. Il piccolo che ha in braccio è suo figlio. Cencioso, un sorriso splendido. Salerno è torrida, l’afa rende insopportabile l’odore che esala dai due corpi. Un misto di sporcizia e sudore. Mi chiedo cosa ne pensi della schedatura dei rom. “Hai paura?” Lei non sa neppure di cosa io stia parlando. Poi, mi guarda e dice inclinando la testa: “Italiani no tanto bravi!”. Niente rabbia, solo rassegnazione. Ana sarà schedata, ma nessuno l’accompagnerà a scuola, nessuno la porterà dal medico, nessuno le cercherà una casa decente. Qualche settimana fa il sindaco Vincenzo De Luca, in un’intervista rilasciata a Sky Tg24, dichiarò che sui Rom “Non è possibile fare poesia”, piuttosto bisognerebbe ammettere che “la maggior parte di loro delinque”. Intanto il bimbo continua a sorridermi.
E penso che forse la poesia potrebbe essere l’ultima speranza di salvezza.

Gilurí
Ti ho inventata,
tra la notte e l’alba
ti ho creata.
Sei la poesia più bella
perché parli dal profondo del cuore.
Cosa farsene di una poesia?
la si dona al mondo.
Va’ oltre! Piccola poesia,
inebria il cuore di altri
come hai fatto col mio;
sussurra le parole più dolci,
sorridi a coloro che soffrono.
Vai! Reca ai figli
le parole dei padri
e scolpisci nel tempo
l’esistenza zingara!

Santino Spinelli
 

Prima le donne e i bambini

maroniFRANCESCA SAVINO

«Il diverso è reciproco»
Stefano Benni

Ci ha rassicurato subito, Roberto Maroni. Nella nave dell’accoglienza che affonda, la precedenza va alle donne e ai bambini. Il capolavoro comunicativo presentato dal ministro dell’Interno nell’audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera fa risuonare le note dei migliori spartiti padani. Respinta l’idea di dare permessi alle donne “irregolari” impiegate come badanti per gli anziani, Maroni rilancia. Infilando nel suo pacchetto sicurezza non soltanto i sentimenti, il cuore impaurito del Paese. Ma anche i numeri: quelli in cui incanalare gli “stranieri”, o presunti tali. Obbligo di iscrizione all’anagrafe, censimenti, creazione di banche dati del dna e delle impronte digitali. Si parte dai campi nomadi: per proteggere i bambini, si prenderanno anche le loro impronte, almeno dai sei anni in poi*. Per non farli convivere con i topi, si butterà fuori chi, anche da cittadino di uno stato membro dell’Unione europea, vive in precarie condizioni igienico sanitarie. Per tutelare la nazione, spunta anche il reato di immigrazione clandestina.Continue reading