Il tramonto dal Quirinale

D’ALEMA, CASINI: IL PICCOLO MONDO ANTICO SI RITROVA PER IL LIBRO DI NAPOLITANO
È un mondo antico e in qualche modo declinante. Vederlo riunito, come ieri è accaduto a Montecitorio, consegna la foto di un gruppo che è fuori dal registro anagrafico dell’attuale classe politica, in difficoltà crescente nel guidarla e con il disagio di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato.
Ieri Giorgio Napolitano ha convocato Massimo D’Alema e Pier Ferdinando Casini per presentare “La via maestra”, un suo dialogo sull’Europa firmato da Federico Rampini. Doveva essere, nelle intenzioni, un libro postumo alla sua permanenza al Quirinale. Il capo dello Stato è invece in carica e regge con qualche affanno “i sommovimenti” di questo tempo. La sua leadership politica è messa in crisi dalla inconcludenza di uno schieramento politico (le larghe intese poi divenute strette) sul quale, accettando la rielezione, aveva puntato tutto. E l’Europa, l’altra frontiera che Napolitano ha sempre visto come la sola capace di tenere unita l’Italia nello sviluppo della sua democrazia e della sua economia, fallisce miseramente la sua missione. Crisi interna e internazionale. Crisi politica, economica e adesso anche sociale. Napolitano che doveva garantire la exit strategy, registra, come un notaio, l’assoluta inconcludenza del Palazzo, il suo autismo, la separatezza con una società azzoppata.
È parsa, forse oltre le intenzioni, una commemorazione dell’Europa che sarebbe dovuta essere, un memorial nel quale Napolitano figura con la divisa da reduce, da sconfitto. Qual è la via maestra, scusi? E a officiare il rito, per disgrazia temporale, è stato chiamato Massimo D’Alema. Lui, la bussola ideologica del Pd fino solo a qualche mese fa, oggi esangue testimone di una lotta non solo generazionale ma anche politica che lo conduce ai margini di quel partito. Perde il congresso, e addirittura Renzi gli oppone un rifiuto a candidarlo alle prossime elezioni europee. Poi Casini. Un oramai ex fuoriclasse del tatticismo, da cui ogni intesa passava o abortiva. Scavalcato al centro dalle ambizioni di Angelino Alfano, stretto a destra dalla residua ma ancora cospicua forza elettorale di Berlusconi e a sinistra dalla vitalità e dalla velocità di Matteo Renzi. Ecco perché è parso un mondo antico, passato, in qualche modo persino consapevole di un eccesso di presenza, di quell’eccesso di potere che lo conduce oggi a costituire l’anello debole di un sistema frantumato e deriso, eticamente squalificato e culturalmente inadeguato a garantire prove di futuro. “C’è il rischio del populismo e della ingovernabilità”, ha detto D’Alema. Tutto vero, ma chissà perché. Napolitano, questa è la sensazione, non vede l’ora di andar via dal Quirinale. E la stanchezza, forse anche fisica (è intervenuto seduto alla discussione) acuisce l’idea del dubbio che oggi lo coglie: ho fatto bene ad agire così? Ho fatto bene ad accettare la rielezione? Dentro il marasma italiano la sclerosi dell’Europa, la fiacchezza delle sue decisioni, l’inamovibilità di alcuni criteri (“È incredibile – ha detto D’Alema – che sia la soglia del deficit pubblico e non l’aumento del Pil l’unica condizione sulla quale basiamo le nostre politiche”). Se c’è stata una prova comune di disillusione, quando non un segno certo di una sconfitta acuta, la riunione di questo mondo che si è scoperto improvvisamente antico, potente ancora ma con lo sguardo oramai rassegnato, l’ha confermata.

da: Il Fatto Quotidiano 14 dicembre 2013

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