Crisi? Non per il lusso

sensolussoFLAVIA PICCINNI

Sono la moda e il lusso a crescere e a confermarsi una garanzia della borsa, perfino in uno scenario economico incerto come quello del 2007. Certo, i ritmi sono inferiori rispetto a quelli degli anni precedenti, ma i dati di Fashion&Luxury Insight, il rapporto annuale di Sda Bocconi, Altagamma ed Ernst&Young sullo stato di salute delle grandi società quotate del settore parla chiaro. L’analisi dei bilanci di 75 società quotate in tutto il mondo, con vendite superiori ai 200 milioni di euro ciascuna e un fatturato complessivo di 240 miliardi di euro l’anno, rivelano una crescita media delle vendite rispetto al 2006 al 7,8 per cento (10,5 per cento l’anno precedente). Insomma, il lusso va benissimo. E tutto il resto crolla, precipitando in un baratro.
Mentre leggo i dati dettagliati, penso alla sciura milanese e alla popolana napoletana, quelle che ho inseguito per il libro e che tanto mi hanno impressionato. Penso alla commessa di Prada che guadagna un terzo delle borse che propone a clienti insicure, incerte, ricche. E il sistema lusso mi fa riflettere, mi affascina e allo stesso tempo mi inquieta.

Quasi un cencio inamidato

Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso 10 in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti.


Immobilità sociale e “riforme”

MANUELA CAVALIERI

“La classe di origine continua ad avere effetti sulla classe di destinazione, anche tenendo conto dell’istruzione. Più la classe di origine di un individuo è privilegiata, meno è importante la sua istruzione nel determinare dove egli andrà a collocarsi all’interno della struttura di classe. Le prove attualmente disponibili gettano molti dubbi sull’ idea di un inevitabile avvicinamento a una meritocrazia basata sull’istruzione”.
John Goldthorpe
(Sociologo, docente a Cambridge e Oxford)

“La situazione al Santa Caterina? Tutto regolare. Lezioni regolari. Buongiorno”.
Salvatore Carfagna
(Preside dell’Istituto Tecnico Santa Caterina di Salerno e padre del ministro delle Pari Opportunità)

Studenti e docenti in rivolta. I fondi italiani destinati alla cultura e alla ricerca, già notevolmente insufficienti ed assai lontani dagli standard europei, subiranno ulteriori decurtazioni. Oggi l’Italia investe 1.500 euro in meno per studente rispetto all’Europa e addirittura 12.000 euro in meno rispetto agli Stati Uniti. Cifre che indignano quel che è rimasto della coscienza civile di questo Paese; cifre che spiegano eloquentemente le ragioni del brain drain. Non solo numeri. Il declino dell’istruzione e della ricerca non è un problema per ricchi e benestanti però. Chi è nato con la camicia è destinato a cadere sempre in piedi. Il X Rapporto Almalaurea rivela che il nostro è uno dei Paesi a maggior immobilità sociale. Secondo l’indagine, il 44% dei padri architetti ha un figlio architetto; il 42% degli avvocati ha un pargolo giurista; il 41% dei padri farmacisti ha un erede a cui lasciare l’esercizio; il 39% degli ingegneri ha un figlio ingegnere; il 39% medici ha un dottore tra la prole. Per i figli di operai e impiegati le cose si complicano. Poche e faticosissime le possibilità di carriera ed avanzamento sociale.
Ma queste questioni non impongono serie riflessioni.
Meglio parlare del grembiulino, nodo nevralgico dei dibattiti italiani

L’altrove della protesta

liceofranceseMARCO MORELLO

I coetanei si imbrattano le mani compilando striscioni arditi contro la Gelmini, loro intanto si godono satolli il sole in giardino, con gli occhi chiusi, il naso all’insù e la musica a tutto volume sparata nelle orecchie. Ragazzi e ragazze della scuola pubblica bivaccano al Circo Massimo e schiumano rabbia nelle strade del centro, loro intanto mandano a memoria composti la lezione di Rousseau e quella di Montesquieu. Gli alunni romani sobillano e si spingono fin sotto il tricolore del Senato, gli alunni dello Chateaubriand sfilano sorridenti all’ombra della bandiera francese dopo l’ultima campanella di giornata. Sortilegi del privato d’importazione, magnetismo fascinoso d’Oltralpe, forza motrice dei soldi di casa nostra che ingrassano le vacche altrui: dove si paga non si sciopera, dove la moneta unge il meccanismo, quello funziona senza incepparsi.
Ci vogliono da 3.486 a 4.074 euro l’anno, più mille per l’iscrizione, più 914 per la mezza pensione per cinque giorni a settimana, più 286 per gli esami obbligatori, ma ne vale decisamente la pena: mentre le classi in città sono praticamente tutte vuote, nel liceo di via di Villa Patrizi c’è il pienone comprato solo da chi se lo può permettere. «Si va dalla materna alle superiori – ci spiegano in segreteria, pardon nell’administration – abbiamo tre sedi in tutto dove si insegna e si parla rigorosamente in lingua francese. Gli studenti sono 1.500, tra figli di diplomatici, di politici, membri della Fao e di altre organizzazioni internazionali». Numeri importanti per gente che conta: è non esserci che fa rumore, è la casella vuota quella che nel mucchio si nota di più. «In tanti ci provano, spesso spinti dai genitori, ma non tutti ci riescono – ammette un’impiegata – il livello è alto, non è ammesso il minimo errore di grammatica, abbiamo cominciato da poco eppure già in quattro hanno rinunciato».Continue reading