Ha conosciuto la politica senza esserne mai sopraffatto e ha respirato l’aria del Potere senza venirne intossicato. Stefano Rodotà ha superato indenne questa prova da sforzo civile: entrare ed uscire dal Palazzo, conservando la medesima passione e riponendo fiducia nella sua condizione di perenne estraneità ai flussi magici del comando, alla trasmigrazione da poltrona a poltrona nella sua oramai lunga e densa vita nelle Istituzioni.
ORA CHE L’ITALIA conduce il grillismo al governo (o almeno nelle sue immediate vicinanze) e una intera classe parlamentare, in un modo caotico e per certi aspetti selvaggio, raggiunge Roma per possederla, dominarla e svuotarla dei vizi che la compongono e la fanno prosperare, spunta il profilo di questo professore di diritto civile per dare un volto possibile, plausibile magari è solo una suggestione – a questo nuovo mondo. Smilzo, dal tratto severo, ha frequentato l’elite divenendone membro, ha conosciuto il Parlamento finanche rappresentandolo, ha conosciuto i partiti, il potere, le cariche pubbliche. Senza perdersi mai però. Rodotà è uomo dalle virtù civili, in gloria ai tempi dei cosiddetti “in dipendenti” del Pci, classe sociale contigua ma non integrata nel comando di Botteghe oscure, e poi panchinaro della Repubblica durante il ventennio berlusconiano, quando invece una nuova antropologia politica ha preso il sopravvento e anche la sinistra si è adeguata promuovendo, nei passaggi che ne hanno scolorito identità e passione, figure nuove, a volte disastrose.
OGGI LA CRISI economica svuota le pance e le urne, e dunque il panchinaro si ritrova di nuovo in campo. Il nome di Rodotà magicamente deborda dallo studio privato dove era rinchiuso. Presidente della Repubblica o premier, ovunque sia possibile nel modo che si vedrà. Non conosciamo le relazioni che ha con Grillo e nemmeno sono importanti. Conta di più la sua cifra, la personalità che esprime e questa sua improvvisa capacità di fare da collante tra il nuovo e il vecchio, tra le forme innovative della democrazia partecipata e le abitudini e i riti secolari dei partiti. Rodotà è stato deputato più di una volta, vicepresidente della Camera, anche garante della Privacy. È stato il primo serio studioso di democrazia elettronica e sua è la proposta di allungare l’articolo 21 della Costituzione con una aggiunta: “Tutti hanno uguali diritti di accedere alla rete internet”. Rodotà esibisce, magari senza volerlo, stimmate grilline perchè coniuga nella sua persona due tratti espressivi di questo movimento, ora così caotico e insieme pervasivo. Lo studio dei nuovi fenomeni della conoscenza e della mobilità del pensiero e la teoria del diritto orizzontale, uno conta uno. Il diritto supremo che si ritrova nella formula: “Tutti hanno diritto di avere diritti”. “Sono un moralista incallito”: così Rodotà apre le pagine del libro che segna meglio la cifra della sua personalità, quella che oggi diviene forza attrattiva. È l’Elogio del moralismo (Laterza, 2011) e anticipa (assai più compiutamente di Beppe Grillo bisogna dire) le cause del tracollo di questo sistema. Rodotà è moralista ma non moraleggia. “Il moralista è un ipocrita”, diceva Oscar Wilde. Lui: “No, per me la moralità è costante tensione ideale verso la lealtà”. Parla di tensione attiva e si capisce a cosa faccia riferimento. A chi ammonisca. A quel mondo, così vicino al suo, che col tempo ha mostrato acquiescenza verso qualsiasi comportamento pubblico. La politica è opaca per definizione. Il compromesso è necessario, l’ambizione un sentimento umano, la voglia di occupare, magari con qualche trucchetto, un corollario definito, immutabile del potere. Rodotà si è ribellato a questa tesi quando il Movimento 5 Stelle non era neanche nato. Non ha atteso Grillo per spiegare cosa sia la dignità, cosa l’etica pubblica, quale danno abbia provocato il salvacondotto che legittima qualsiasi azione, quale sia stato il deturpamento della vita civile. Rodotà ha parlato prima delle piazze di Grillo, e scritto prima che lui scrivesse. In un’Italia dove ogni successo diviene spuntone di roccia dove esibirsi, è giusto ricordare che gli anni per Rodotà non sono passati invano. Avrà i suoi difetti, e certo è un nome che ha robuste, solide relazioni nel potere nazionale. Ha avuto successo, hanno contato le amicizie. Ma, ci sembra di poter dire, non ne ha approfittato. È un ottantenne, e già fa sorridere che la pattuglia di giovanissimi che sta per entrare in Parlamento, possa avere le prime simpatie per questo nonno della Repubblica. da: Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2013