Ma i franchi tiratori sono pronti a sparare al lupo marsicano

SESSANTA RENZIANI BASTANO E AVANZANO PER BLOCCARE L’ELEZIONE AL COLLE DELL’EX SINDACALISTA E TRA I DEMOCRATICI NON SONO GLI UNICI A DISSENTIRE


Non sono franchi, ma santi tiratori. I corpi immobili che ieri dondolavano nel Transatlantico in attesa di conoscere chi diavolo votare, su quale faccina mettere la croce, oggi trasformeranno la matita in freccia e inizieranno il tiro al bersaglio contro Franco Marini, vittima – forse inconsapevole – di una ribellione imprevedibile in queste dimensioni che forse lo trasformerà da annunciato Papa in cardinale. Candidato di bandiera, bruciato e poi dimenticato. Forse. Se la dissidenza nel Pd superasse i 54 grandi elettori (solo i renziani sono una sessantina) Marini non potrà essere eletto nei primi tre scrutini. Non è tanto e non è solo Matteo Renzi, che pure conta nel Pd qualche grande elettore, ad aver innescato la più potente e schierata falange di contrari, di coloro che a viso aperto diranno no e no. Sotto la cenere covava il sentimento e il risentimento, la voglia di rompere le righe e il desiderio di affermare una novità. Che è anche questione anagrafica. “Il Parlamento non è più quello che ricorda Bersani. Ho 47 anni e sono nella media dell’età, ma quando stamane ho incontrato un signore anziano (che poi ho riconosciuto come mio collega) mi è venuto da pensare a lui come a uno dello scorso secolo, di una storia passata e finita. In aula diremo tanti no, e li diremo ad alta voce. Io voterò Bonino”, annuncia Ivan Scalfarotto. Ecco la conversione antropologica del franco tiratore, omino nascosto dietro la segretezza del voto, potente velato, tiratore per scelta cinica non per amor di patria.
ALLE QUATTRO del pomeriggio treni e aerei trasportano nella Capitale il primo battaglione di delegati regionali. Alla Camera arriva un gruppo di pingui e attempate signore lucane, dalla Campania c’è il presidente Stefano Caldoro che attende. Ecco il lombardo Maroni, fantuttone leghista: presiede la giunta e presiede il partito. Comanda di qua e di là come del resto aveva smentito: “Se vinco le regionali mi dimetto da segretario”. S’è visto.

Toh! Seduto sul divano Vladimiro Crisafulli, anziano portavoti siciliano, bruciato dalla sicura rielezione per un problema di presentabilità. Il Pd l’ha candidato e poi rimosso. Un po’ simile a quel che aspetta Marini. Sarà sulla graticola per due giorni e poi? I parlamentari sembrano tronchi d’al bero buttati nella piena di un fiume. Vanno dove li porta la corrente. “E dove?”, chiede la deputata Ferrante, già pubblico ministero, da due legislature rappresentante del Pd. E boh! “Io non so, si dice Marini. Certo Rodotà non lo voto. Neanche se mi tagliano tutt’e due le mani”, garantisce Marina Sereni. Dipende sempre da dove ti metti nel Transatlantico per illustrare la scena. Quelli laggiù, i berlusconiani, non fiateranno. Ognuno farà quel che prescrive l’intesa. Il capo ha detto Marini, ed è piatto ottimo e abbondante. Non è un caso che l’unico corpo monolitico sia la formazione, il Pdl, che si dice liberale, che è contraria agli intruppamenti. È la realtà che sta rivoltando le basi dell’aritmetica, ed è un mistero come Bersani faccia fatica a coglierne il senso che oramai lo circonda. “Noi di Sel siamo per Rodotà. Punto. Solo un pazzo non comprende perchè le larghe intese debbano intendersi come un accordo con un trenta per cento della rappresentanza parlamentare lasciando senza intesa l’altro trenta. Io per esempio, voglio le larghe intese con il M5S”, spiega Nicopla Fratoianni, lato Vendola.

“IO MARINI non lo voto”, statuisce con un tweet Edoardo Nesi, scrittore facente parte di Scelta civica, formazione di centro. Tweet a cui ha aderito Andrea Romano, altro centrista. “Ma siamo pazzi? Ma è un sogno o un incubo questo nome?”, domanda incredulo Pippo Civati. Tanti tiratori, di ogni colore e camicia. “I franchi tiratori hanno sempre salvato l’Italia”, dice Walter Tocci. Renzi è un diluvio, attacca che è una meraviglia. Dal Friuli la Deborah Serracchiani, che si gioca il voto regionale previsto per domenica, si dispera. Rosy Bindi, persino lei, risulta imbambolata, inabile a fornire una logica, un senso compiuto alla scelta di Bersani: “Se Marini sarà il presidente delle larghe intese non sarà il mio presidente”. L’impressione è che serviranno più notti del previsto, e più coltelli di quelli appena sfoderati. L’elezione del Quirinale è, del resto, dentro la storica cornice dell’impallinamento. Tenete a portata di mano un pallottoliere, ci sarà da divertirsi.
da: Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2013

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