“Siamo al governo con B. È tutto sbagliato, capite?”

A PRATO E PISTOIA MILITANTI E DIRIGENTI LOCALI PREPARANO L’APPUNTAMENTO NAZIONALE (IL 19 MAGGIO) DEI GIOVANI DI OCCUPYPD


Il partito è partito. Uso il participio passato con dolore. Ma come potevi pensare che avesse vita una cosa nata dagli scarti di due opzioni. Non abbiamo voluto essere socialdemocratici e limpidamente di sinistra, e non abbiamo creduto al partito di coalizione, quello dell’Ulivo. Allora abbiamo scelto il principio degli opposti: fare un partito nuovo con dirigenti vecchi, promuovere l’inclusione attraverso la cooptazione, esibire volti inquietanti in tv, gente che calibrava la postura da inquadratura ma zero idee. Abbiamo cambiato bandiera e programma a ogni cambio di leader. E così abbiamo trasformato il Pd in un participio passato, uno scheletro ancora aggrappato a quel che residua di D’Alema e Veltroni. Due dirigenti in gamba che hanno dato tutto quel che avevano in corpo nel secolo scorso. Ma non hanno più benzina, e si vede”. Si chiama Samuele Bertinelli, libraio disoccupato di 37 anni, sindaco di Pistoia. Il Partito democratico è come quei palazzi d’epoca: negli scantinati trovi i mobili di pregio. E Bertinelli è uno di quei politici (pochi purtroppo) che danno l’impressione di conoscere il significato delle parole che utilizzano, di dare senso alle idee e dignità al pensiero.
DELLA TOSCANA si è sempre parlato per via di Matteo Renzi, genio della rottamazione, il pensiero fast, il pensiero da dio del qualunque, eccellente motore di propaganda. Invece questa volta la Toscana si presenta affaticata e lenta, afflitta dalla pena di gestire il dolore grande di una sconfitta che sa di eutanasia. “Io voglio un partito alternativo a quello di Berlusconi, che fa cose di sinistra, ha un’idea di sinistra”. Lasciamo Pistoia e in meno di venti minuti siamo a Prato dove troviamo Lorenzo Rocchi, 26enne studente di Giurisprudenza, che insieme ai suoi amici dei Giovani democratici, ha costruito il movimento di OccupyPd. “Abbiamo scelto un brand che ci desse immediata visibilità, e l’abbiamo ottenuta”. Il brand. Quattro anni fa Prato condusse al municipio un piccolo Berlusconi. Venne infatti il Cavaliere a fare campagna elettorale per Roberto Cenni, patrono della Sash, fabbrica di moda pop, l’industria nata nel nome delle veline, delle letteronze. Fatturato che ruotava intorno ai programmi televisivi del pomeriggio: Amici, Uomini e Donne, oppure la Fattoria, l’Isola dei famosi. Griffe di seconda mano, dal furore popolare: Ribellina, Piru, Bollicina, Monella Vagabonda, Follettina, Bambolina, Fragolina. Marchi di fabrichette nate al sud, nel distretto industriale di Barletta. Sash invece era il nord evoluto, l’industria capostipite che firmava i vestitini di Elisabetta Gregoraci, tagli di seconda scelta per miss di seconda categoria, e sfondava il mercato. Il turbine berlusconiano investì Prato ed elesse a sindaco proprio il patron della Sash, oggi indagato per bancarotta, sconfitto dal mercato che lo aveva incoronato. Ecco il paradosso: il sogno che questa città ha consumato lo rivive come un incubo: “Siamo al governo con Berlusconi, capisci?”, mi dice Lorenzo. Si avverte un dolore acuto, una strage di sentimenti: “È tutto sbagliato, e anche le primarie dei parlamentari hanno prodotto delle figure senza più connessione con il partito. Credono di essere autonomi e di non dover dare spiegazioni”. Andrea Colzi, consigliere comunale trentenne: “Abbiamo per esempio deciso di rinnovare perchè il sindaco di Firenze ha lanciato la parola d’ordine. Ma, appunto, è rimasta una parola d’ordine. Abbiamo rinnovato i fedelissimi, e costoro, giunti a Roma per votare il nuovo presidente della Repubblica, hanno fatto bye bye al partito. Ognuno per la sua strada”.
OGGI a Prato ci sarà Fabrizio Barca, il 19 maggio tutti i giovani rivoltosi d’Italia si troveranno qui. Da Prato parte una prima miccia, vogliono chiedere conto della strage del partito. A chi formulare la domanda? Boh, non si capisce nulla. Forse sarà Gianni Cuperlo a governare le macerie fino ad ottobre, il mese del Congresso. “Voglio restare nel Pd perché mai come in questo momento il nome – Partito democratico – richiama la questione più grande: la crisi della democrazia, la percezione di una distanza siderale tra popolo ed eletti”. Questa è l’opinione di Bertinelli, il sindaco di Pistoia. “Sul progetto scanniamoci, ma poi però uniti, bisogna ritrovare il senso della comunità, lo spirito di corpo, un piano di vita condiviso”, promette Matteo Biffoni, deputato renziano. “Io voglio bene al partito e penso che sopravviverà. Non c’è altro davanti, o di lato. Esiste solo il Pd, a patto che facciamo i conti con noi stessi”, dice Gabriele Corsi, segretario del circolo centro storico. Tutto giusto, però, magari, affrontare la discussione partendo, per esempio, da questo tweet del deputato Guglielmo Vaccaro, all’indomani dell’incarico dato ad Enrico Letta: “Tutto è bene ciò che finisce bene”.

da: Il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2013

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1 Comment

  1. “Tutto è bene ciò che finisce bene”. ? solo x una certa corrente però, che ora chiede di fare piazza pulita a tutti i livelli dirigenziali non per il bene del PD ma per affermare la sconfitta della sinistra all’interno del partito. Errato attribuire la voglia di cambiamento quasi esclusivamente ai “giovani”, molti usano l’età anagrafica come grimaldello del sistema solo perché non ne fanno ancora parte. Più che parlare di “cambiamento” direi “resa dei conti”, ( e anche peggio). Cordialità.

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