Angelino, segretario senza quid e senza partito

È LO SCONFITTO DI GIORNATA. IN UN POMERIGGIO IL CAIMANO GLI PORTA VIA TUTTO QUELLO CHE PUÒ. ERA VICEMINISTRO PDL, ORA LE DUE SEDIE TRABALLANO
Tutto resta com’è e come è sempre stato da quelle parti. Silvio Berlusconi proprietario terriero e Angelino Alfano semplice mezzadro. Il quid, questo benedetto quid che avrebbe dovuto trasformare Angelino da boyscout del berlusconismo in un novello De Gaulle, è stato un felice fraintendimento giornalistico che ha dato però vita alla più crudele delle suggestioni. Per tre settimane Alfano ha pensato di essere capo della delegazione al governo, capo del partito e plenipotenziario dalle Alpi alla Sicilia. Due giorni fa, addirittura, in visita guidata al Partito popolare europeo si è fatto salutare dalla Merkel nel ruolo che ha creduto di ricoprire.
È TORNATO A ROMA e flop, tutte le ruote a terra. Ieri ha riscoperto la via di palazzo Grazioli, smarrita per un evidente processo di dissociazione, e ha ritrovato la sala da pranzo, luogo deputato agli incontri espressivi. Tra un boccone e l’altro, una risata e l’altra, le decisioni hanno più gusto e la digestione è equilibrata, veloce. Ha ritrovato tutto ciò che si era perso in queste tre settimane: l’amica e padrona di casa Francesca, il cane Dudù, la buona cucina del nuovo chef . “Quattro ore è stato con me”, ha detto Silvio. E con lui i ministri pro tempore. Pure loro ricoperti di illimitata fiducia, “a condizione che seguano la linea del partito”. Angelino era e resta nel cuore di B. È stato suo assistente ed è un ragazzo intelligente: “Sce glierò con equilibrio le persone a cui delegare responsabilità. Naturalmente confermerò Angelino nel ruolo”. Non c’è mai stato il quid, e se ne accorto il bravo Quagliariello: “E ora che si fa?”, ha chiesto nella inutile seduta di autocoscienza che i ministri, definiti “governativi” da un lessico spropositato, hanno tenuto a palazzo Chigi, fortilizio provvisorio e dacadente, mentre i lealisti marciavano a piedi verso il Palazzo d’inverno, finalmente e di nuovo nel rango dei fedelissimi, degli insuperabili, dei vincenti. Niente, non c’è niente da fare. Chi può si salvi, e chi non può si lanci dalla finestra e tenti il volo della maledetta colomba, l’animale al quale sono stati accostati in un così elevato numero di volte da essere oramai e purtroppo segnati a vita, impossibilitati a mimetizzarsi in alcun modo e men che mai tramutarsi in falchi, e neppure in falchetti. Il conto è presto fatto: se Silvio, come pare, ha definito in questo breve sabbatico la lista dei traditori, incrociando sospetti, date, dichiarazioni, confidenze e pettegolezze, l’addio è certo per le colombe di prima generazione. La Lorenzin, ministra senza riconoscenza, oggetto di particolare e perniciosa simpatia quirinalesca; naturalmente Quagliariello, già in regata con i centristi Casini e Mauro. A seguire il Formigoni, frattaglia ciellina del ventesimo secolo, Giovanardi, democristiano che ha sballato con i giudizi, e poi Cicchitto e tutta la microfiliera antagonista interna. Non saranno ricandidati, stop. Le liste le farà lui, e le proposte arriveranno da Verdini, il mago Denis, che delegherà Mara Carfagna a rappresentarlo ufficialmente nella veste di responsabile dell’organizzazione, incarico a cui sembra destinata. Dev’essere stata perciò veramente terribile questa giornata per Angelino, e terribile il momento in cui ha dovuto accertare la propria resistente superfluità, l’assoluta assenza di ruolo. Ha infatti redatto un comunicato stampa di grandiosa inconcludenza logica: “Non esserci è il mio contributo all’unità”. Angelino, perchè fosse chiaro, si è riconosciuto fantasma di se stesso, e il quid, da essenza combattiva del conducator audace, è stato restituito al suo principio primordiale: pura bolla di sapone, vuoto distintamente compresso, perciò inclassificabile. Alfano ha disertato la riunione dichiarando però di voler restare fedele ad essa. Ha detto, è vero: “Io in Forza Italia non entro”. Ma è stato un colpo di testa, l’effervescenza di un minuto. O entra, oppure cosa? Certo, aveva detto di essere diversamente berlusconiano, e infatti ieri è parso che lo fosse davvero. Azzerato nelle funzioni, asfaltato nelle pretese, si ritrova a capo del nulla, vicepremier di se stesso, delegato al servizio d’ordine della Repubblica italiana ma non a quello del suo partito. Che era e resta nelle mani del suo proprietario e nella sede propria di palazzo Grazioli. Resta oggi da dirlo a Enrico Letta che aveva immaginato di prendersi Alfano e restituire Berlusconi. Bello ma impossibile.

da: Il Fatto Quotidiano 26 ottobre 2013

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