Arrestati i tre chirurghi: “Omicidio e false complicanze”

POTENZA, L’INTERVENTO SBAGLIATO AL CUORE E LA CARTELLA CLINICA ALTERATA
Tre cardiochirurghi finiscono agli arresti, un ospedale alla deriva e una intera città, macchiata dal familismo, obbligata a riflettere su dove conduce l’incompetenza. Ieri mattina dalla Procura della Repubblica di Potenza l’annuncio: il primario del reparto di cardiochirurgia Nicola Marraudino e due suoi assistenti, Michele Cavone e Matteo Gatti, sono agli arresti domiciliari, imputati di aver provocato per grave negligenza la morte a Elisa Presta, 71 anni, il 28 maggio 2013. Il primario Marraudino risponde anche di falso ideologico in atto pubblico per la presunta alterazione della cartella clinica dove il decesso è stato attribuito a “complicanze”. Non fu un intervento al cuore, ma il diagramma delle responsabilità e delle nullafacenze. La vena cava tranciata di netto, la paziente sul letto della sala operatoria lasciata morire per blocco del sistema venoso, l’operazione chirurgica che prosegue con un corpo praticamente inanimato, al sol fine di concludere, nel tacito e silenzioso accordo dei medici inutilmente riuniti al capezzale, ciò che appare un’esecuzione e rendere quel sacrificio umano figlio del destino. La signora muore per complicanze, secondo il bollettino ufficiale, alcuni minuti dopo essere trasferita in rianimazione. È purtroppo puro teatro, evasione scenica dalle responsabilità di medici che hanno sbagliato mestiere, procurando la morte a una donna che lì cercava la vita. Lì dove? Ospedale San Carlo di Potenza, centro sanitario di riferimento dei residenti lucani, luogo di cura e purtroppo anche sede di un grumo di interessi spuri, cointeressenze, connessioni, familismi, sprechi.
NELLA PALUDE esplode come una bomba la drammatica confessione registrata in cui un medico, si saprà dopo che è il dottor Cavone, ammette: “L’abbiamo lasciata morire”. Le registrazioni sputano fango e spuntano fuori un anno dopo il fatto ma già la Procura, come il magistrato Luigi Gay denuncia nel comunicato che ieri ha diramato per dare conto degli arresti (domiciliari), acquisisce la notizia “ben cinque mesi dopo il fatto”. È una notizia che sporca i potenti, che inquina l’immagine pubblica, che infastidisce, irrita e inquieta. Dunque si deve fare in modo di parlarne il meno possibile. E il meno si fa. Anche i giornali non sanno, e se sanno non credono e se credono rimandano. Tutta la città soffia le parole sottovoce. I panni sporchi si lavano in famiglia, certo. Quella confessione però stordisce, quell’ammissione di colpa disarticola. Viene resa pubblica dal sito online Basilicata24 e rilanciata dal Fatto Quotidiano. È così potente che tutto travolge.
Si tenta di rispondere con i cavilli, ma hanno vita breve. Si inaugura così la serie delle commissioni disciplinari, si infligge qualche sospensione, si tenta di restaurare l’ordine. Invece in quell’ospedale il disordine dura da anni e in quel reparto è così elevata la conflittualità con medici che si azzuffano verbalmente e divengono nemici per la pelle che è un miracolo se il palazzo della salute regga ancora. La politica entra in campo. Perché, come sempre, la sanità è uno squisito bocconcino, è l’affare più tondo, il campo dove i voti e i clienti vengono traghettati, dove il consenso si radica o si riduce. I curriculum dei medici illuminano la circostanza che a Potenza il merito è questione accessoria, valutazione marginale, istanza da illustrare nei comizi elettorali.
MA COME SEMPRE accade quando le cose si mettono male, subito inizia lo sganciamento dalle responsabilità. La Regione, che governa, cheta, promuove o censura, invia una commissione propria a far luce. Altri commissari giungono dal ministero della Salute. Il direttore generale Giampiero Maruggi, pure dentro l’enclave amicale, viene ripudiato. La Regione timbra un foglio nel quale improvvisamente compaiono le inefficienze e le incompetenze. Scaricato dalla politica, solo tre giorni fa Maruggi si dimette. Un’anticipazione del trambusto più grande che ieri sveglia la città per mano di un magistrato integro, giunto solo da qualche mese a guidare la Procura. È Luigi Gay, procuratore capo, a chiedere e ottenere dal gip un provvedimento restrittivo così inusuale in questi casi. Il coperchio è tolto dalla pentola, piena d’acqua sporca. 

da: Il Fatto Quotidiano 25 ottobre 2014

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