Clientele, ricatti e lettere sparite. Renzi e la grana delle Poste

PRIVATIZZAZIONE SEMPRE PIÙ DIFFICILE PER LE RESISTENZE DEL SINDACATO, GOVERNO OMBRA DELL’AZIENDA DI STATO
Esondano e infine scompaiono quintali di lettere al giorno. Passano, anzi trapassano tra i centri di smistamento e le mani dei postini persino le raccomandate. E le ingiunzioni di pagamento di Equitalia? “Ora paghiamo penali per 77 consegne su 100”. Sono le stime entusiastiche della Cisl, il sindacato storico di governo – attualmente all’opposizione – di Poste Italiane, impegnata nell’ultimo furioso corpo a corpo con Francesco Caio, l’amministratore delegato dal quale Matteo Renzi attende con crescente inquietudine per l’autunno dieci miliardi di euro, frutto di una idea di privatizzazione che si fa sempre più incerta, problematica in questa babilonia.
La falange interna controlla metà dei lavoratori
Esondano dal silenzio tombale anche voci di un’ampia depravazione etica conosciuta ma non fino a questi orizzonti, di clientele sparse, assunzioni pilotate, attenzioni sessuali, persino dazioni di danaro come corrispettivo adeguato alla spintarella. “La stagione dei prenditori, dei consulenti e delle tangenti non mi riguarda. Chieda altrove”, dice Mario Petitto, l’uomo macchina, il capo in testa del sindacato Salp, federato alla Cisl, ma costruito come falange interna. Il sindacato omnibus che tessera la metà dei postali e detiene il pacchetto di maggioranza nei vertici aziendali. Petitto non è più segretario, ma Annamaria Furlan, la leader della Cisl (anch’ella è stata dipendente delle Poste) non ha la forza per contenerne l’influenza. “Già Bonanni ci fece dei danni. Speriamo che la Furlan non prosegua nella linea e sappia che noi teniamo alla nostra autonomia”. Petitto, l’uomo macchina, il factotum di questo centro di smistamento umano, illustra la sua posizione così: “Vivo del mio lavoro e il mio patrimonio lo dimostra, il mio conto corrente fa fede. Nella mia stanza trova come vede una bottiglia di vino o di olio che ricevo dagli amici. Nulla in più. Il mio mandato è finito e posso dirle che vado via con le tasche vuote”. Può dirmi anche dell’altro? “Da sindacalista ho segnalato 22 persone, tutta gente che lo meritava, e ho fatto il mio mestiere. Aiutare a trovare un boccone di pane per chi ne aveva bisogno era un mio inderogabile dovere. Sedici assunti e sei no”. Solo loro? “In che senso, scusi”. È intervenuto per far assumere la nipote di sua moglie? “Sì”. La moglie di suo fratello? “Ma scherza? È stata assunta 35 anni fa”. La figlia di sua sorella? “Sì”. Poi aggiunge: “Conosco chi le ha dato la lista. Un signore che venne a chiedermi un trasferimento, ponendomi sul tavolo i nomi che mi riguardavano. Ma il trasferimento non si poteva fare, la legge non lo permetteva”.
Di ricatti, di amnesie e di tranelli è la via dentro la quale si è ficcato – suo malgrado – Francesco Caio. Chiamato da Enrico Letta, nominato da Renzi e adesso dentro il frullatore della politica. Al premier non piace più, e neanche al Partito democratico, gestore delle relazioni politiche con quella grande fucina di clientele che è Poste Italiane garba più tantissimo. Un impeccabile gioco ai quattro cantoni. Da una parte il ministro dell’Economia che ha sostenuto Caio nell’opera di bonifica e azzeramento dei rami secchi. Con ingenuità e mostrando anche una approssimata conoscenza dell’identità aziendale Caio ci è cascato avanzando un primo piano industriale che eliminava uffici postali di campagna, immaginava postini da pre pensionare o trasferire ad altre mansioni, prevedeva la consegna di lettere in alcune zone marginali a giorni alterni. Asciugare l’acqua dove è molta e deviarla dove è poca: le funzioni business del risparmio e delle assicurazioni sulla vita. Benissimo? Malissimo invece. Nel Parlamento la prima interruzione all’opera.
Volantini e picchetti, l’offensiva del sindacato
Ogni campanile ha diritto a un ufficio e ogni campagna a uno sportello. Caio, vacci piano. Alle obiezioni ragionevoli si sono aggiunte ostruzioni un po’ oblique quando non il boicottaggio. Picchetti, manifesti, volantini sempre più nervosi. Come questo, ad opera della Cisl di Roma dal titolo “L’Aquila Scostumata” e un’apologia sui veri profeti e sui falsi. “Noi aquile vediamo avvicinarsi i temporali… meglio ragionare sui fatti. È un suggerimento e un invito. Sempre meglio che pisciare controvento”. Nel lessico del sindacato una trasformazione piuttosto cruenta dello scontro in una bagarre. E oggi Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Attività produttive, rappresentante della filiera politica che ha sostenuto Caio, si mostra dubbioso sul progetto iniziale: “Non sono mai stato convintissimo della privatizzazione. È il ministro Per Carlo Padoan a tenere le relazioni con Caio. Per quel che mi compete suggerisco di trovare un modo per far vedere ai lavoratori la luce, non impaurirli e tenere fede agli impegni con l’Unione europea. Non si possono lasciare zone dell’Italia scoperte. Lo Stato paga un servizio universale alle Poste”. La paura è che si chiuda e che gli esuberi avanzino nel numero fino a giungere a una cifra impressionante. “Saranno trentamila”, annuncia il sindacato. “Neanche per idea”, ribatte l’azienda. Solo esodi volontari, concordati. Certo che i conti non sono belli: l’attivo si è ridotto dell’80 per cento in un anno, i rami secchi bruciano finanza, la riorganizzazione non parte, la contestazione s’allarga, e una forma di renitenza al lavoro sotterra le legittime pretese delle migliaia di impiegati che invece si dannano ogni giorno per tutti i giorni alla settimana. Contro un corrispettivo che è tra i più bassi possibili ed è bene ricordare. Un postino non guadagna più di 1.100 euro al mese. Uno sportellista non supera i 1.300.
Ribaudo (Pd): “ Ci vuole una commissione d’inchiesta”
“Il governo deve parlare chiaro e deve dirci se vuole ancora Caio al timone di Poste e intende ancora procedere alla privatizzazione, oppure no”. Così Franco Ribaudo, deputato sempre del Pd, siciliano, feroce contestatore del sindacato postale. “C’è materia per una grande commissione d’inchiesta. Bisogna scoperchiare le collusioni, le mille cose che non vanno”. Goccia a goccia, interrogazione su interrogazione parlamentare, avvertimento su avvertimento, il grande Soviet italiano delle cartoline e delle lettere viene picconato. “Che ne dice il signor ministro dell’Economia del dispositivo denominato “Oracolo”? Doveva prevenire le frodi, invece è un colabrodo che ha permesso a truffatori siciliani di ritirare buoni postali e provocare un danno di “ampie proporzioni”. Volano parole, ma sono pietre.
da: Il Fatto Quotidiano 17 maggio 2015

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