Sorpresa: i grillini (senza Grillo) sono adulti

Cambio di stagione. L’immagine è di Carlo Freccero: “Oggi paiono dei predicatori mormoni. Tipini sempre ben vestiti, puliti, sbarbati, abbastanza secchioni, piuttosto preparati sul tema che devono affrontare”.

Erano il fondale umano del partito del capo, o del comico o anche del vaffa. La schiera plaudente e generalmente muta di Beppe Grillo. Discepoli del guru, dei riccioli esoterici di Gianroberto Casaleggio, teorici delle scie chimiche, fantastici costruttori di occhi elettronici, dispensatori del bene – se avevi tutte le ricevute del ristorante bollinate – e del male, nel caso ne fossi sprovvisto. Nel volgere di qualche mese una nebbiolina ha schermato il corpo del Capo, piuttosto “stanchino”, e ha sommerso le teorie mondialiste del guru. Il blog perde colpi, il comico smarrisce le battute, le folle spariscono dalle piazze, Casaleggio non è più quello di una volta, ma i grillini, da figlioli adoranti e anche un po’ strambi, sono divenuti parlamentari rispettabili, ascoltati. Di nuovo Freccero: “Paiono più competenti degli altri, Casaleggio ha insegnato loro di studiare i dossier e intervenire quando sanno cosa dire, come controbattere. E paiono disinteressati. Dei volontari laici che dopo un certo periodo di tempo torneranno al proprio lavoro. Fanno un figurone di fronte alla genia degli ineffabili parolai da salotto televisivo. Ti sollevano dal peso di dichiararti di destra o di sinistra. Sono dei pragmatici, non insistono in alcuna speciale narrazione”.
È IL FENOMENO dell’eclissi inversa, del partito del Capo che riesce a resistere anche senza il Capo, del movimento che non vive di solo Vaffa, che non resta intubato al comico. Insomma: dei grillini senza Grillo. I voti arrivano, stanno arrivando persino quando la trasfigurazione dei corpi si compie in una bizzarra composizione umana. Con la chioma da leonessa della salentina Barbara Lezzi, il suo ditino alzano da prima della classe, la mise da diligente ragioniera di Carla Ruocco, i tecnicismi figli dei boccoli di Danilo Toninelli, o disciplinati ingegneri del consenso come Manlio Di Stefano o Giorgio Sorial. 

Persino Paola Taverna, per settimane nella hit delle più funeste apparizioni televisive per via di un confronto che la vide sbaraccata dai baraccati di Tor Sapienza (“Ahò, io so’ come voi!” “Ahò, nun ce frega un cazzo”) oggi è riuscita a riprendere possesso del suo pensiero e illustrarlo con compiutezza. Per non parlare di Luigi Di Maio, la giacca perfetta da dirigente d’azienda, la cravatta sistemata, il verbo “fare” in ogni periodo e il passo da leader in formazione, giovane di successo. Perfetto per Bruno Vespa, ottimo anche per Fazio Fazio. Di Maio è il volto cinquestelle formato Tg1, è il grillino formato famiglia, il nuovo che non spaventa.

Il direttorio doveva essere un manicomio e invece, sorpresa… “I cinquestelle sono l’autobus che passa alla fermata con la gente in attesa di salire. Un popolo del non voto che disperato cercava l’autista. È giunto Grillo e ha fatto il pieno. Sbaglia chi pensa che il Movimento Cinque Stelle sia un partito personale. Non è Di Pietro, non è Berlusconi, non è Monti, non è una costruzione a tavolino, non è plastica”, ha scritto Ilvo Diamanti ne “La democrazia ibrida”.

Senza Renzi il Pd sarebbe un altro partito. E la Lega esisterebbe se non ci fosse Salvini a farla vivere col tubo catodico e la chiamata alle armi contro lo straniero? Fratelli d’Italia si tiene in vita con Giorgio Meloni, l’Ncd con le poltrone di governo. Forza Italia s’è vista. Afflosciata come un soufflè quando il suo padre padrone l’ha dismessa. Grillini senza Grillo. Oppure nonostante Grillo. Cantava Lucio Dalla: caro amico ti scrivo, è passato un anno e questa è la novità.
da: Il Fatto Quotidiano 28 maggio 2015

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