Strade chiuse e piazze inutili sulla costa dei soldi buttati

L’anno scorso furono fortunati ed ebbero la strada aperta durante il weekend. Non fu un atto di riguardo per i residenti quanto per i vacanzieri. Sembrò brutto che per raggiungere il mare dovessero inoltrarsi sulla montagna. Per una questione di coerenza e di rispetto verso i turisti, si scelse il supremo atto d’eroismo: aprire una sola corsia tra il venerdì e il lunedì in modo che il transito, seppur lento, non causasse ulteriori disagi al ponte affaticato provocandone il collasso. Quest’anno, ed è la terza estate, forse non ce la si fa ad avere la strada, che è poi l’unica strada che c’è. Mancano i soldi, anzi no. I soldi ci sono, ben quaranta milioni di euro, ma mancava il progetto che tenesse unito il Cilento al resto d’Italia. Ora finalmente, dopo tre anni di studi approfonditissimi, c’è il piano esecutivo. Se tutto filerà liscio il cantiere che dovrebbe sanare il pilone che sprofonda a sud di Agropoli e la frana che devasta poco prima il manto stradale sarà cosa fatta per il prossimo anno. Al massimo nel 2017 il Cilento avrà una strada, gli italiani una meta in più e una via di fuga verso il mare. Serve tempo però, e cautela. Perché le frane sono tante e poco più a sud, meno di quaranta chilometri, una montagna sta afflosciandosi nell’acqua limpida del golfo di Policastro. Pisciotta, una delle perle del Tirreno, paese che sembra di cartapesta tanto è fragile e prezioso, con ulivi centenari che calano fino sugli scogli, è irraggiungibile da nord. Solo i carabinieri e i vigili del fuoco possono transitare. A Pisciotta si può agevolmente planare con un aliante, oppure usare i piedi dal più vicino paese che è Ascea, una decina di chilometri soltanto. Certo, la frana è del 1989, ma anche qui sono stati fatti studi meticolosi, e progetti, e varianti. Non mancavano i soldi, però.

IN EFFETTI la Campania è veramente una terra felix. Negli scorsi mesi dal cielo sono piovuti due miliardi e mezzo di euro. Regalo del governatore uscente Caldoro che ha deciso di imbottire di denaro fresco le tasche dei suoi amministratori e aprire, in una volta sola, più di mille cantieri. Un grandioso fuoco di artificio, opere dell’ingegno di straziante fattura, finanziamenti a pioggia, veramente per tutti. Ospedali, scuole, campi da calcetto, da calcio, da pallavolo. Centri sanitari, socio sanitari, comunitari, zonali, rupestri, campestri, metropolitani. Assi, sottopassi, sovrappassi. Piazze e piazzole. Un menù infinito. “Tutti i soldi della programmazione che partiva dal 2007 e finiva al 2013 non spesi sono stati d’un botto impegnati, come fosse pasta versata in acqua bollente. La mia idea è che i soldi siano serviti a progetti già pronti, a idee confezionate in vitro, senza un’idea di sviluppo. E così per tornare a casa mia, a Vallo della Lucania, impiego il doppio del tempo ma trovo nel mio paese un bel cantiere aperto perchè s’è deciso di fare il restyling della piazza. La piazza c’era ed era in ottime condizioni. Però c’erano anche quattro milioni e mezzo di euro incollati al progetto di rifacimento. Prendere o lasciare? Servivano quei lavori? Per spenderli tutti penso si siano dovuti industriare un bel po’. Mi risulta che abbiamo dovuto comprare panchine del valore di tremila euro l’una. Bellissime, esposte ad Expo. Il lusso sopra la miseria”, dice Michele Oricchio, che il destino vuole procuratore della Corte dei conti di Basilicata, quindi ancora più sensibile al fruscio di soldi che si fa spreco.

“ANCHE I SOLDI affamano, caro amico”, dice Aldo Masullo, filosofo e testimone di come senza passione e senza competenza il denaro impoverisca invece di arricchire, renda sudditi invece che cittadini. Masullo si trova a Velia, nel cuore cilentano, l’antica Elea, città di Parmenide e Zenone, chiamato a tenere una lezione durante il festival della filosofia. “Questa terra non dà preoccupazioni, è vandea, misura esatta di come l’Italia sia nei fatti divisa – dice il filosofo –. Questa è una terra abbandonata, deperita. Si ricordi che se una persona è deperita non ha la forza di cercare rimedi. Il deperimento è tale nel nostro Paese che non c’è più la forza di guarire. Sembra mancare anche la forza di aspettare la morte”.

E INFATTI Pisciotta aspetta da venticinque anni che riparino la strada e mettano in sicurezza la frana. Si parlò del primo progetto e del primo cantiere nel 1989. Una variante doveva essere costruita per aggirare l’ostacolo. Iniziarono con le colate di cemento, poi si bloccarono. Dieci anni di inerzia, anzi tredici. Nel 2003 furono stanziati dodici milioni di euro e i successivi due anni di studi fecero sperare che a quindici anni dall’apertura la possibilità di vedere terminato il cantiere fosse possibile, ragionevole. Niente. Nuovi cambi d’esercizio, nuove misure, nuove tratte, nuove conferenze di servizi, nuove gare, nuova burocrazia. I soldi c’erano ma non sono stati spesi, la frana è divenuta irreversibile, la strada è chiusa. Restano i piloni di cemento armato, costruiti per guardare il cielo.

da: Il Fatto Quotidiano, 24 giugno 2015

 

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