Luciano Canfora – Come la commedia del teatro greco: ha vinto il salsicciaio

Paflagone, Nicia, Demostene e il Salsicciaio. Se la politica è anche teatro fa presto a trasmigrare, grazie alla memoria di Luciano Canfora, grande filologo classico, nella commedia greca. E i protagonisti sulla scena, Renzi, Di Maio, Berlusconi e Salvini sembrano tratti da I Cavalieri di Aristofane, 424 avanti Cristo.

Professore, chi è Paflagone?

Un servo che è riuscito a impadronirsi delle chiavi di casa e piegare il suo padrone, Demo, cioè il popolo, ai suoi bisogni. Paflagone, il servo divenuto tiranno grazie al suo carattere arrogante, la sua linguaccia, la protervia con la quale decide e consuma il potere è il nome d’arte che Aristofane attribuisce a Cleone, dirigente politico contro cui si scaglia. C’è bisogno che le dica chi è Paflagone?

Provo a indovinare: Matteo Renzi.

Ecco. Senonché due altri servi di Demo, Nicia e Demostene, altri nomi di piuma di due politici del tempo, un ricco notabile e un generale, decidono di utilizzare un Salsicciaio per far fuori Paflagone. Un salsicciaio? Sì. Il Salsicciaio è ugualmente immorale e ha modi orribili. È sufficientemente repellente, fa piuttosto schifo, ma grazie a un oracolo i due servi sanno che lui avrà forza e talento per far fuori Paflagone. E infatti grazie a un rito magico il Salsicciaio diviene un uomo civile e stimato di nome Agoracrito e riesce, con l’aiuto del coro dei Cavalieri, ad avere la meglio sull’usurpatore.

Il Salsicciaio è Luigi Di Maio?

Proprio lui.

La storia insegna ma ha cattivi scolari, diceva Gramsci.

Nicia il riccastro è Silvio Berlusconi, uguale uguale. E Demostene, il generale grande amante delle armi, è certamente Salvini, che pure sembra ammirare l’estetica della polvere da sparo.

Renzi dunque finisce come Paflagone.

Ha reso il Pd un sistema composito di capibastone, uccidendone ogni residua identità. Il Partito democratico è destinato a morire, non ha oramai nessuna possibilità di recupero e rigenerazione e questo esito è figlio della scelta, ahimè disastrosa, di uccidere il Pci e i suoi eredi e con la fine di quella tradizione è defunto via via ogni segno di sinistra nel Parlamento e nella società. È probabile, forse del tutto plausibile col personaggio, che si formi un gruppetto parlamentare a trazione renziana, il manipolo dei fedelissimi che con lui realizza la trincea della sopravvivenza. Comunque è una fine ingloriosa.

Non sembra però che lei ne sia addolorato.

Cosa vuole che mi addolori? Un partito nel quale il primo passante sceglie il segretario: hanno distrutto l’enorme tradizione italiana per realizzare il modello americano del comitato elettorale. La trasformazione è divenuta degenerazione. Si è smarrita ogni idea e con essa si è persa l’etica. Adesso ci saranno solo spoglie.

Ma se queste sono le condizioni in cui versa il Pd, come pensa possa gestire questo nuovo mondo a Cinque Stelle?

Ho fiducia in Sergio Mattarella, ritengo che giunti a questo punto si ha il dovere civico di metterli alla prova e capire se sono degli impostori o hanno qualità. Non c’è altra via. Il tempo rende gli uomini ragionevoli e i politici ancor di più.

Ha così tanta fiducia in Mattarella?

Fosse stato al Colle Napolitano non avrei scommesso un euro. Napolitano ha anzi la responsabilità di aver fatto gonfiare i consensi a Grillo come la pancia di una rana. La nascita del governo Monti li ha messi in condizione di lucrare, vivere una rendita parassitaria. Oggi, al punto in cui siamo, null’altro si può fare che dire: tocca a voi adesso.

Da: Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2018