CONSIGLIO NAZIONALE, NULLA CAMBIA: È COLPA DI “COMUNISTI” E “MAGISTRATI”
NOVITÀ: ALFANO NON È PIÙ UN “INFEDELE”, PUÒ VENIRE BUONO PER IL FUTURO
Qualcosa non va stamane. Il cielo è grigio e come pretendere di più da novembre, ma il torpedone con la scritta Angelino sulla fiancata è una disgraziata circostanza, fa male vederlo. Non ci sono bandiere, neanche tifosi. Dieci vecchietti molto spossati dalla temperie politica si aggirano per la curva sud del palazzo dei Congressi spogliato da ogni luce berlusconiana. Non una hostess, una coscialunga, né un gadget, un libro, un filmino. Restano le mura alte e squadrate dell’architettura fascista, l’impianto marmoreo è tale da rimandare allo scenario di un’assise comunista della Ddr ai tempi di Honecker.
Solo l’inno di Forza Italia, il partito ritrovato, salva Berlusconi dal micidiale effetto ottico di scambiarlo nell’ultimo despota di un qualche paese dell’Est prima della caduta del Muro di Berlino. Assente ogni rimando alla ricca favolistica di Arcore e al possente libro delle immagini: il cielo azzurro con le stupende nuvolette di quel bianco candido che rimandava al Paradiso è sparito. Il fondale sul quale Silvio, ingobbito dalla fatica e dai pensieri, è costretto a parlare è di quel triste marroncino che rievoca i vestiti di Achille Occhetto, quando la sinistra era condotta da lui, vent’anni fa oramai. Poi la riforma sartoriale di D’Alema ha affrancato anche gli ex comunisti dal retaggio dell’Oviesse, la boutique del popolo dove abitualmente si rifornivano. Quindi questo marrone conduce fuori dalla storia, dai binari conosciuti, dalla purezza dell’ideologia forzista. Dieci anni fa, per festeggiare il decennale, si spesero due miliardi di lire in carrelli mobili di ripresa, espansori di luci e tutto quell’abbagliante e tecnologico sistema di diffusore della felicità terrena. Tutto sembra diverso, non solo più vecchio di vent’anni. La promessa palingenesi combatte con lo spettacolo di una prima fila acconciata sugli ottanta. Si rivede Antonio Martino, dopo un quinquennio in penombra. “Ci mancano i Colletti, gli Urbani, gente di pensiero e di peso”, dice Silvio commemorando il declino. C’è Scilipoti tra le nuove teste d’uovo. La Polverini con una camicia a rombo, Santanchè col foulard rosso (rossetto in tinta), la Santelli con gli occhialoni da sole e sta per piovere. Poi Capezzone, Brunetta, Verdini.
QUALCHE sedia vuota causa diserzione dei duecento dirigenti ora alla corte di Angelino Alfano, il bravo ragazzo che ha trovato il quid e si è allontanato dalla casa madre. “Non possiamo rompere con loro, saranno nostri alleati”, dice il padrone. Non straccia, non accusa, sega o brucia la casa dei “traditori” (appellativo rilanciato solo dalla platea, con urla intermittenti ma controllate nel tono). Lui è comprensivo, attendista, perfino compassionevole: “Avevo suggerito loro di chiamarsi i cugini d’Italia. Abbiamo i fratelli d’Italia, avremmo composto una famiglia allargata”. Anche la barzelletta è fuori scala. Prima del 27 novembre, il giorno del giudizio, quello della decadenza, è meglio non muovere foglia. La preoccupazione, che ora si fa ossessione, per la propria sorte, coincide con la vistosa speranza di uno scambio di melina: lui non morde e loro, i traditori, fingono di non aver tradito e lo aiutano a spostare le lancette dell’esecuzione ancora più in là. Non c’è idea per il futuro, ma solo considerazione del presente. Silvio, oramai ex re, vive alla giornata e oggi non è il giorno della vendetta, né della battaglia. Mezz’ora di luttuose notizie dal mondo: l’India ci sta stritolando, la Cina ci mangerà in un sol boccone, i tedeschi sono cattivi e “io ero l’unico a tener testa alla Merkel”. Intanto si rivede Dell’Utri, ma sembra un calco sgranato della sua meglio gioventù. Toh, Iva Zanicchi: “Angelino tornerà da noi e lui lo perdonerà”. C’è anche l’attore Fabio Testi, molto sciolto: “Cornuto chi ha dei dubbi”, dice. È una rassegna oratoria di déjà vu: “Il premier albanese mi chiama maestro”. Ok Silvio. “Anche alle elezioni scorse la sinistra ci ha rubato un milione e mezzo di voti”. Anche questa la ricordavamo, Dunque via alla costituzione di un club (lui dice cloeb) in ogni angolo di Italia, e sentinelle del voto che sappiano fermare i raggiri comunisti. Un cloeb al posto dei circoli: “Abbiamo fatto dei sondaggi e sembra utile che si chiamino Forza Silvio”. Non ci si spella le mani, si aiuta l’anziano leader a svolgere il suo lungo discorso, interrompendolo nei punti focali: la persecuzione, i giudici rossi, la legge omicida della decadenza. È brodo venuto lungo, bibita senza gas. Malgrado tutto, però, questo partito raccoglie ancora una quantità di voti che è tesoro inestimabile di potere. È Silvio il protettore di questa sterminata muraglia in cravatta, deputati e senatori, consiglieri circoscrizionali, regionali, presidenti di circolo. Forza Italia è ancora una holding in attivo e ha partecipazioni in tutto il Paese.
SILVIO è il Capo supremo. Ma all’improvviso, nel pieno di una giravolta retorica, il suo corpo si è rimpicciolito, è divenuto improvvisamente vecchio, la testa infilata tra le spalle come quei gufi in attesa del sonno. Un sospiro: “Sono sopraffatto dalla commozione”. È giunto sul palco Zangrillo, il medico personale ed è parso il remake del collasso che gli occorse a Montecatini, alcuni anni fa. Invece il malore è stato lieve e passeggero, il medico gli ha dato dell’acqua: “Beva adesso, subito”. Ha bevuto ed è finita così. La fidanzata Francesca Pascale lo ha condotto a pranzo. Lui: “E pensare che ad Angelino ho voluto bene come a un figlio”.
da: Il Fatto Quotidiano 17 novembre 2013