Mirello Crisafulli sbadiglia dalla platea: “È stanco, urla… Un leader parla piano”

Cielo nero, pioggia in arrivo. Moglie al marito: “Non trasu, mallordu i scarpi”. Prime goccie, seconda moglie con consorte: “Amuninni, turnamu a casa”. Terza coppia, questa volta il marito, notevolmente antirenziano, a compagna devota: “Lassulu futtiri”. Invece entriamo e Fausto Raciti, il segretario regionale del Pd, si presenta sul palco: “Benvenuti alla festa dell’Umidità ”. La festa ha i metri quadrati contati, un popolo rinchiuso in pochi bus, piuttosto festante nelle prime file, preso dalla noia nelle ultime. Saremo in tremila, cento volte in meno, e doveva andare male, di quelle che correvano ad ascoltare Berlinguer. Il tempo passa e si vede. Quel che resta del Pci siciliano è Mirello Crisafulli, intramontabile figura di dirigente-possidente del partito nello spicchio di terra più povera, la provincia di Enna, poi accompagnato alla porta e oggi seduto, col pancione di sempre e un miniventilatore incollato alla faccia, nel suo fantastico stand di promoter della personale Università, disegnata da sé medesimo a Enna. Facoltà di medicina in lingua rumena, succursale italiana di quella di Galati, nessun blocco per gli studenti. Chi vuole entra. Avanti popolo. Ascolta Renzi. Gli siedo accanto. Gli altoparlanti non arrivano: “Mi basta il rumore, non è necessario seguire parola per parola. Adesso sta dicendo che lui vota Si al referendum. Anch’io voto Sì, seguo sempre la linea del segretario. Ho votato secondo le indicazioni anche quando mi hanno cacciato dalle liste. Tengo al partito. Adesso sta parlando di cose inutili, l’unica curiosità vera è quanti bus sono riusciti a fare. Aspettiamo la fine del comizio: se tutti fuggono via vuol dire che hanno da rientrare a casa”.

DUE RENZIANI indispettiti : “Embè? Anche la Camusso portò la claque”. Mirello, imperturbabile: “Lo sento scarico”. Cioè? “Ha fatto un mezzo casino con la scuola. È riuscito a dare 150 mila posti di lavoro e a trovarsi tutti contro. Se perdi la scuola perdi le elezioni. In ogni famiglia italiana c’è qualcuno che insegna”. Tre compagni da Floridia, provincia di Siracusa. Delegazione capeggiata dal sindaco Orazio Scolorino: “Sono senza maggioranza e nemmeno la voglio. Devo trattare a turno con i consiglieri comunali. Ognuno ha una esigenza da soddisfare. Non è un granché. Ma meglio fare il sindaco così che avere un partito che ti accoltella”.Continue reading

ALFABETO – MICHELE SANTULLI. Val Comino: l’arte nei secoli ha il volto della Ciociaria

michele-santulliMichele Santulli, anziano e sapiente antiquario di Arpino, ha lavorato anni alla ricerca dei fatti, dei nomi, dei volti: “È un immenso vaso di Pandora, una inestricabile ragnatela di profili umani, di donzelle chiamate alla posa”.

Lei dice e prova che Gallinaro forgia una classe di modelle per Artisti.

La fame li sospinge a Roma, e qui trovano –mentre girovagano con il piffero e l’organetto – i primi reclutatori. Si passano la voce, si chiamano l’un l’altro, si incontrano a Fontana di Trevi e aspettano che qualcuno li ingaggi e li metta alla posa. C’è, dietro la Fontana, il vicolo dei Modelli, il ritrovo”.

Ma perché la Ciociaria?

Perché ha i figli più belli. Lo so, la Ciociaria non sembra neanche un punto geografico, è un accessorio, una dependance di Roma, terra di cafoni e al massimo di caciocavalli. Altro che siluette.

E invece lei è riuscito a dare nome e cognome, identità, luogo di nascita.

Le ragazze ciociare sono meravigliose. Le cito il grande Rodin che di loro diceva: ‘merveillusement belle, belle comme una Venus, comme Apollon… elle était un enchantement des yeux’. Siamo a Parigi e la Ciociaria, tra il 1860 e i primi del Novecento, fa vedere le sue gambe e i suoi seni, e le mani e i piedi. Sciama tra le viuzze di Montparnasse e nella zona di Mouffetard.

Per chi posano?

Rosalina Pesce, da Gallinaro, è la Semeusedi Oscar Roty, Agostina Segatori di Subiaco è L’Italiennedi Van Gogh, Carmela Cairo di Gallinaro è la Carmelina di Matisse, Michelangelo de Rosa di Atina è il corpo che copre Il panciotto rosso di Cezanne.

È un’infatuazione per la Ciociaria.

Prima Roma, poi Parigi, infine Londra. La beltà si espande, è riconosciuta, raccontata, tramandata.

È incredibile che si sappia così poco. Qual è il quadrilatero della bellezza?

La Val Comino e i suoi dodici Comuni conficcati quasi nell’Abruzzo.

È il centro di gravità della beltà.

Gallinaro è il fulcro, poi Arpino, Picinisco, Subiaco, Atina.

Una meraviglia.

The living embodiment of a classic beauty. La personificazione vivente della bellezza classica, scrivono gli inglesi di Alessandro de Marco da Picinisco, provincia di Frosinone.

Ma i ciociari lo sanno?

È il mio più grande cruccio: abitare dentro una bolla di inconsapevoli. La Ciociaria è come se avesse ottenuto una compensazione naturale. La terra offriva pietre e non pane, però donava al mondo, al l’arte, una bellezza non comparabile.

Donava. Usa l’imperfetto.

Questa attività è durata fino agli inizi della Prima guerra mondiale.Continue reading

Il talento teatrale di Raffaele De Dominicis, assessore ripudiato ma forse ancora in carica

raffaele-de-dominicisANTONELLO CAPORALE E VALERIA PACELLI
Indagato io? Mai, mai, mai! L’accusa è stata archiviata contro ignoti. E io – se permette – sono noto. Mi chiamo Raffaele De Dominicis. Meno male che non sono a Roma altrimenti avrei dovuto dare quattro schiaffi a un po’ di gente”. L’epilogo comico della piuttosto tragica vicenda romana trasforma il magistrato nominato assessore al Bilancio e poi ripudiato nell’attore inconsapevole di una notevole pièce teatrale e la sua voce e il suo volto paiono, per vitalità, tono, capacità di sorridere della vita anche nella tristezza del momento e far sorridere, quelli di un grande del palcoscenico partenopeo, Enzo Cannavale, caratterista di spessore e di grande generosità.

PERCHÉ, APPUNTO, con De Dominicis siamo alla fantasia che contagia la realtà, alla bugia presunta che sovrasta la verità (anch’essa presunta), alla nuvola che copre il cielo e toglie la luce alla ragione, spegnendola con un clic. Il magistrato indagato dice che non è indagato. Non solo dice, ma statuisce, garantisce, giura e con i suoi amici impone: e chi, se non il sottoscritto, potrebbe mai saperlo? Ma il magistrato “non indagato” è stato revocato dal suo scranno di assessore. E anche qui la prova che non si sia su un madornale scherzo della ragione deve ancora arrivare. Perché al magistrato sembra sia stata notificata la nomina ma non la revoca. Dunque sarebbe in carica, formalmente, e potrebbe, se volesse, spettacolarmente dirigersi al Campidoglio e invitare il pizzardone di guardia ad aprirgli la porta e farlo accomodare sulla poltrona.

Incazzato, “arrabbiatissimo”, voglioso di vendetta. Ha bisogno di ritrovare serenità, avere la mente sgombra dalla furia che acceca invece di aiutare. Passerà ancora qualche giorno e poi…. Enormemente diffidente dello staff della Raggi, si è chiesto come abbiano potuto avanzare al tribunale richiesta di notizie “sul mio conto”?

Il tre tre cinque (l’articolo del codice penale da invocare per conoscere la propria posizione processuale, ndr)? E cos’è? Sono “dati sensibili” che non si possono né acquisire né tanto meno divulgare. “Io sono stato accusato, ma mai in vita mia indagato. Anzi da quel processo ne sono uscito con tante scuse”.

Avvelenato con i giornalisti, De Dominicis non si capacita per come la sua ironia, al momento di spiegare chi e quando l’avesse contattato, non fosse stata compresa. Giura di non conoscere l’avvocato Sammarco, di non sapere nemmeno che avesse un fratello penalista. Solo perché gli avevano riferito che la Raggi era stata nel suo studio aveva rammentato quel nome. Ha dunque detto Sammarco per celia, per vedere l’effetto che faceva, per indurre i cronisti a sorriderne. Qui, di nuovo, torniamo a teatro: “Non potevo smentire che avessi detto quel nome, ma non era vero. Cioè era vero che l’ho detto ma non l’ho detto per davvero”.Continue reading

MARIA ELENA VUOL RIFARE L’ITALICUM: E LA FIDUCIA?

Dal momento che in politica non contano i fatti, figurarsi le parole, la ministra per le Riforme e per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi è riuscita due giorni fa, in un’intervista a La Stampa, a superare i limiti della ragione e della logica. Ha infatti detto, senza curarsi non solo della memoria ma dei divieti che la nostra e anche la sua intelligenza può infrangere, che la legge elettorale, il cosiddetto Italicum, potrà essere cambiato dal Parlamento.

La ministra ha dimenticato che non solo è sua la firma politica sul testo ma per la sua bocca la legge elettorale è stata fatta oggetto della richiesta di fiducia al Parlamento da parte del governo. La fiducia è quell’istituto a cui l’esecutivo fa ricorso quando ritiene la propria esistenza legata indissolubilmente all’approvazione di uno specifico e cruciale provvedimento.

E perché la legge ora può essere cambiata? Perché la giudica pericolosa nella iniqua distribuzione dei seggi, nel diverso peso che il voto dei singoli cittadini produce a seconda che scelgano questo o quel partito, nell’esagerato premio di maggioranza che si affida a chi si piazza primo anche non raggiungendo il trenta per cento dei consensi?

Nient’affatto. La legge si cambia per due considerazioni. La prima è tattica: trascinare al Sì al referendum la riottosa e corposa minoranza del Pd. La seconda, strategica, è che i sondaggisti hanno previsto la vittoria dei 5Stelle con l’Italicum. Si sono fatti la legge e ora rischiano persino di non vincere! Questo a luglio, perché a settembre le cose potrebbero essere già cambiate e chissà, la Boschi, di fantasia in fantasia, potrebbe anche prevedere e proporre, in una nuova mirabile intervista, una validità mensile dell’Italicum, proprio come l’abbonamento all’Atac. Se c’è pericolo che si perda la cambiamo a ottobre. Tanto poi viene novembre…

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2016

Di Maio china il capo. Beppe incorona in piazza Di Battista

dimaioLa piazza dell’orgoglio cinquestelle diviene insieme la piazza del perdono e anche delle scuse. Davanti al porto di Nettuno, nella città appena conquistata dal Movimento, Beppe Grillo conduce il direttorio a sfilare, spiegare, scusarsi e naturalmente attaccare.

È INTESTATA a Maria Goretti, la santa del perdono, la piazza che si affolla di militanti convocati all’ultima ora possibile per il grande e imprevisto appuntamento con la storia. Viene Beppe Grillo e porta per mano i membri del direttorio, i loro vice, i graduati e i peones romani sul palco. “Qualche cazzata l’abbiamo fatta, diciamo qualche cazzatina”. Nel tuono di un eloquio notevolmente arrembante, teatrale, dove ricompare un vaffanculo, e la parola “ladri di verità”, nel comizio che si chiuderà poi al sempiterno grido di “onestà onestà”, quella frase, la cazzata cioè fatta, anzi più d’una, è il sigillo dell’errore commesso, della catena di comando spezzata, della confusione e dell’ambiguità dentro la quale il Campidoglio sta vivendo giorni di sofferenza e anche di umiliazione. Ed è stata certamente dura per Luigi Di Maio, il leader in pectore, il premier in arrivo, dover ammettere un grave errore di valutazione, il primo vero colpo a una carriera finora condita dagli applausi. “Dovete sapere che ho pensato che l’iscrizione venisse da un esposto di uno del Pd. Ho commesso un errore, ho sottovalutato che quell’iscrizione venisse da uno del Pd. E non l’ho detto ai miei colleghi del Direttorio. Non l’ho detto a Roberto, Carlo, Alessandro e Carla e sono qui a guardarvi negli occhi e a dirvelo”.

ERA COME se una pinza gli cavasse di bocca i nomi e la corsa a chiudere il periodo, a terminare la frase è stata equivalente alla durezza con la quale Roberto Fico ha spiegato, sempre sul filo della metafora, che l’imborghesimento, “il rischio della giacca e della cravatta”, la nuova realtà di entrare a Palazzo, possedere un potere mai visto e nemmeno immaginato, abbia potuto far deviare dalla retta via. “No i siamo il nuovo umanesimo e non è possibile chiudere una Utopia in una gabbia”, ha detto raccogliendo grida di ammirazione. Quale è la gabbia dorata? Certamente il Parlamento, e naturalmente il Campidoglio dove i poteri (i poteri forti) le pressioni, le ambizioni e anche le devianze di qualcuno hanno fatto sì che si parlasse “solo di sms, con tutto quel che ci sta di fronte, che sta succedendo”. Nella gerarchia odierna Di Maio scende uno scalino, uno ne sale Fico, due invece Di Battista. Al quale Grillo dona una standing ovation “per i cinquemila chilometri che si è fatto”. È Di Battista a concludere la serata, alleggerendo il peso dell’errore e della bugia in un discorso molto aggressivo: “Ma li vedete? Ma avete capito chi sono? Ma vi hanno detto cosa sta succedendo in Italia, vogliono cambiare i diritti in bonus, chiudere gli ospedali, e cambiare la Costituzione in fretta perché sanno che stiamo arrivando noi. Noi siamo la polizia, loro i ladri”.Continue reading

La scuola che aveva retto in Molise ma fu ristrutturata: ora è inagibile

scuola-fossaltoQuando la fantasia supera la realtà accade quel che è avvenuto a Fossalto, un paesino di 1400 abitanti a una decina di chilometri da Campobasso. Aveva una scuola agibile e anche sistemata bene e dopo 473 mila euro di lavori è divenuta inagibile. I bambini avevano aule ampie, una palestra, la mensa. Dopo i lavori di adeguamento sismico sono dovuti sloggiare. Quintali di cemento e di ferro, e valutazioni e progetti e calcoli e ricalcoli e pilastri incatenati e alla fine, come il pan degli angeli venuto male in forno, un grandiosissimo flop.

Straordinario, magico esperimento di ingegneria sismica, da intendere nel senso letterale del termine: progettisti e maestranze avevano scosso talmente tanto e talmente bene il manufatto, scekerandolo in un turbinio di lavorazioni, che si era piegato ai voleri dell’uomo e da agibile era divenuto inagibile.

Il palazzetto, tre piani al centro del paesino, era riuscito a superare senza un graffio i contraccolpi, in verità assai tenui data la distanza dall’epicentro, del sisma che toccò e uccise 27 bambini a San Giuliano di Puglia nel 2002. Però l’amministrazione comunale, vigile sui pargoli, chiamò due anni dopo un ingegnere a valutare se i pilastri facessero dormire sonni tranquilli anche in futuro. E l’ingegnere incaricato vergò il suo parere: l’edificio era vulnerabile. Aveva resistito bene in quel terribile frangente, ma avrebbe risposto con uguale brillantezza a una scossa più grave?

DA QUI LA RICHIESTA all’ufficio del commissariato straordinario regionale e una prima tranche di soldi assicurata: 140 mila euro e la resistenza al sisma sarebbe notevolmente migliorata. Ma a Fossalto vollero fare di più e a Campobasso compresero l’assillo: erano bambini! Asilo, elementari e medie. In tutto 140, da tutelare prioritariamente e con ogni riguardo. Così il commissario regionale scucì un altro assegno: 280 mila euro per elevare al top il grado di invulnerabilità. La scuola sarebbe divenuta un cubo d’acciaio, una torre inespugnabile dalla natura.Continue reading

ALFABETO – TERESA CARUSO: “Il guaio non è solo il sisma, ma i soldi che arrivano dopo”

tersa-carusoAAA Avviso pubblico per Amatrice e dintorni. I guai seri, quelli grossi, ancora non sono in vista. Oggi sembra che il dolore ricevuto dalla morte e dalla distruzione non abbia eguali. Eppure quando il lutto si attenuerà e l’emozione inizierà a svanire, quello sarà il momento di stare all’erta. Perché il pericolo più grande nascerà appena si farà il conto dei danni, dei soldi da richiedere. I soldi, il gran fiume dei finanziamenti pubblici che sta per defluire verso il Reatino, rischiano di essere gli effetti collaterali e negativi del terremoto.

La ricerca etnografica più approfondita è stata realizzata dall’Osservatorio sul dopo sisma della Fondazione Mida in collaborazione con l’Università di Bergamo. È durata otto mesi e ha indagato a fondo le relazioni e la condizione civile di un paese, Caposele, in provincia di Avellino, completamente ricostruito dopo la distruzione avvenuta nel 1980 a seguito del terremoto dell’Irpinia.

Teresa Caruso ha firmato la ricerca. Quando è andata laggiù?

Nel trentennale del sisma. Quando cioè la ricostruzione era più che completata, il dolore sedimentato, e quel terremoto oramai un ricordo.

E cosa ha trovato?

Anzitutto un perenne rimbalzo tra presente e passato. Ogni domanda che rivolgevo riceveva una risposta a elastico. Le considerazioni sul presente e sul futuro, la nuova vita, la nuova casa, rimandavano a quella terribile sera, ai morti, alle pietre.

Ad Amatrice c’è tutto un fermento per fare il prima possibile e ricostruire il paese dov’era e com’era.

Il dov’era e com’era è un refrain che corre tra tutte le popolazioni colpite. È il primo impegno che credo non verrà soddisfatto. È poco più che un sentimento, un proponimento che cozzerà con la realtà dell’adeguamento abitativo.

Adeguamento abitativo?

La normativa per la ricostruzione contiene, come è giusto e ragionevole, un limite entro il quale il finanziamento coprirà totalmente la nuova casa. Si fisserà un tetto e si dirà: una famiglia di quattro persone dovrà vedersi ricostruita un’abitazione – faccio un esempio – di almeno 90 metri quadrati. Ci sarà chi ne aveva di più, e quel surplus rispetto al limite andrà a far parte di ciò che si chiama “accollo spesa”. Devi impegnare le tue risorse per ritrovare l’ampiezza dell’abitazione che possedevi. Però ci sarà chi aveva di meno e dovrà ottenere spazio pubblico per vedere soddisfatto il proprio diritto.

Le case si restringeranno o si amplieranno. Cosicché le cubature precedenti non rispecchieranno la nuova modulazione.

Esatto. Un gonfiamento e uno sgonfiamento. Strade più corte o più lunghe, mediamente più larghe. Zone di nuova edificazione. Chi lascerà il paese e chi resisterà. Soldi che andranno altrove e i soldi saranno purtroppo il cuneo che dividerà le famiglie, renderà nemico chi per una vita ha preso il caffè insieme.

La sua ricerca dice questo?Continue reading

Regione Puglia. Quando lavorare diventa un colpo di culo

fiera-del-levantePuntando forte sulla meritocrazia, la Regione Puglia con l’ausilio e il sostegno dell’Associazione della stampa, ieri alle dodici ha proceduto all’estrazione a sorte di dieci giornalisti professionisti. I primi fortunatissimi quattro saranno chiamati a lavorare all’ufficio stampa della Fiera del Levante che si svolgerà nelle prossime settimane.

NOTEVOLE la considerazione che ha suggerito la scelta del lotto: dal momento che a Bari ogni anno le clientele e le camarille tra giornalismo e politica sono robuste e radicate, l’apertura al libero mercato del merito è possibile solo procedendo alla cieca.

In un ufficio della presidenza regionale un funzionario, non sappiamo se con la benda o meno, ha istruito la pratica e raccolto tra le mani dieci palline bianche dentro le quali dimoravano le identità di altrettanti colleghi disperati e disoccupati.

Soltanto i primi quattro lavoreranno, naturalmente solo per qualche settimana. Nel caso dovesse qualcuno di loro rinunciare, la mano santa raggiungerà il primo escluso, il secondo e così via. Essendo oramai il giornalismo un lavoro senza valore economico, con una platea di colleghi freelance costretti a produrre articoli per pochi euro al giorno (il livello retributivo orario è paragonabile a quello dei raccoglitori di pomodori schiavizzati nella piana di Foggia), qualunque offerta di impiego, anche se ultra temporanea, che assomigli a un lavoro decente è considerata una grande fortuna. Che si conquista – per il noto criterio dell’equivalenza – facendo una prece a San Gennaro, nel caso di specie a San Nicola, oppure, volendo rispettare le gerarchie divine, all’Altissimo.Continue reading

Sergio Pirozzi. Il sindaco tutto muscoli e “me ne frego”

sergio.pirozziMolti muscoli e niente paura. Bisogna dire che l’uomo è proprio di questo tempo: ama il calcio, ha il cranio rasato, indossa la felpa con su scritto il nome di Amatrice. Sergio Pirozzi, allenatore del Trastevere, sindaco e voce del terremoto amatriciano, sta nutrendo i telespettatori del suo slang rudimentale e super pop. Al microfono della Rai, nella sua prima intervista: “Barcollo ma non mollo”.

DA ALLORA l’eccitazione degli inviati per averlo in voce è salita di parecchio, cosicché anche la considerazione di Pirozzi per se medesimo è andata lievitando. “Il mio popolo sa che il suo capo è ferito, ma non cede né scappa”. Il Capo, cioè lui. Di più: “Ho detto a Renzi che sarebbe il caso di indossare una felpa con su scritto Italia”. Due sere fa al ministro dell’Interno. “Avete operato bene” e Angelino Alfano lo ha ringraziato con devoto sussiego. “Il popolo della felpa” si chiama il suo gruppo su Facebook e di destra sono le sue simpatie politiche. Gianni Alemanno gli è andato subito a far visita, Il Secolo d’Italia lo accudisce e Il Tempo ammonisce: Giù le mani da Pirozzi. Non c’è problema, il sindaco non tentenna: “Se mi arriva un avviso di garanzia? Atto dovuto, ma me ne frego”. Se ne frega. La ricostruzione deve passare per le sue mani e per quelle dell’ufficio tecnico. Il Comune di Amatrice si troverà a essere indagato e a indagare. Singolare condizione di ente propulsore e attuatore delle misure anti scossa e soggetto destinatario delle attenzioni della Procura per i mancati adeguamenti sismici. “Il Comune di Amatrice si costituirà parte civile perché è parte lesa”, ha detto e nel modo più sbrigativo possibile a proposito della scuola del paese alla quale 700 mila euro di finanziamento pubblico non sono bastati per restare in piedi. Non volendo perdere tempo e avere fastidio per domande inutilmente curiose, giacché “devo pensare ai miei fratelli e non rispondere ai magheggi, lei è un mago che sa cose che io non so”.Continue reading

Giovanni D’Ercole, il vescovo “imprenditore”: era a L’Aquila, ora è ad Ascoli

giovanni d'ercoleUn vescovo “del fare”, idee innovative, pensiero strategico e parole sante. Lui è Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli, il presule che nell’omelia per i funerali delle vittime ha chiesto a Dio: “Signore, ma tu dove stai?”.

D’ERCOLE per cinque anni è stato a L’Aquila, inviato dal Vaticano a sorreggere la diocesi distrutta, aiutare i fedeli feriti, le anime scosse, e portare conforto e spinta – anche materiale – alla ricostruzione. Concreto, determinato, preciso: “Ci stiamo specializzando adesso nella diagnostica ingegneristica”, mi disse quando lo incontrai per chiedergli conto della sua attività di socio e presidente del consiglio di amministrazione di Aquilakalo’s, una Srl che aveva l’obiettivo di realizzare un piano strategico di restauro e rifunzionalizzazione del centro storico. La Curia aveva il suo master plan, la Chiesa i suoi tecnici e le sue mura da difendere, consolidare o ricostruire. “Quasi tutto il patrimonio artistico è di nostra proprietà”, mi disse. Ed era così. E infatti non solo chiese, ma anche negozi e case e terreni rappresentavano la proprietà fondiaria aquilana alla quale monsignor D’Ercole dovette dare risposte e presumibilmente iscriverle anche a bilancio. La sua società (per sei mesi ne fu presidente, poi delegò un sacerdote di fiducia) aveva come oggetto sociale anche quello di vendere e costruire immobili, chiedere finanziamenti e concederli. Lottizzare, espropriare, partecipare ad affari con altre società, ricevere contributi statali, anche utilizzando l’istituto della concessione ed erogare in definitiva attività di “global service”. Spiegò: “Ho ancora tredici milioni di euro della Caritas da spendere e il municipio non mi spiega, non indica dove, non mi dà la possibilità di investirli per il bene della comunità. Ho dato un ultimatum: entro giugno devono darmi le autorizzazioni”. Era il 2010.

Da presule accorato e persona puntigliosa e pragmatica, alla pubblicazione dell’articolo reagì con queste parole: “La creazione della Srl ha come unico scopo quello di permettere alla diocesi di occuparsi esclusivamente delle anime, delegando alla società la cura degli aspetti materiali. Siamo una comunità di servizio e non una società di affari”. Per le smentite più delicate – riferite per esempio agli articoli sull’identità e la consistenza di un suo proprio “cerchio magico” aquilano – si è affidato ai suoi legali che, in nome di Sua Eccellenza, hanno specificato, contraddetto, escluso, smentito e infine denunciato il clima di artificiosi sospetti che ha accompagnato la sua opera pastorale nella città del terremoto.Continue reading