La foto dello scandalo

fotoprostitutaMANUELA CAVALIERI

“Via del Campo c’è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.

Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior”

Fabrizio De Andrè , “Via del Campo” 1967

La pelle d’ebano, sporca di polvere. Lei è lì distesa, innaturale, scomposta. Non ha voglia di lottare. Si è dibattuta come una leonessa. Ora non più. Le forze già l’abbandonano. Piange sommessamente rabbia e tristezza. Pensa alle sue ibej, accoccolate sul comodino, accanto alla branda. Le aveva comprate al mercato di Abuja prima di venire in Europa. “Portano fortuna!” diceva la vecchia nonna. La fortuna, però, non ha solcato con lei il Mediterraneo. È ancora lì, nel canto juju della sua terra lontana.

Ucciso un transessuale, due in manette

transFLAVIA PICCINNI

Con la violenza puoi uccidere colui che odi, ma non uccidi l’odio.
La violenza aumenta l’odio e nient’altro.
Martin Luther King

La violenza è cieca. Rende folle chi guarda e sconsiderato chi agisce. La violenza è odio, disgusto, rabbia. E forse è un miscuglio di questi sentimenti che ha mosso due uomini martedì sera sulla Tangenziale Ovest di Milano. La vittima, stuprata e barbaramente picchiata, è rimasta sulla strada, esanime, trivellata da odio, disgusto, rabbia.
“E’ un travestito – diranno alcuni -, solo un travestito”. E forse devono aver pensato questo anche i due giovani colpevoli, un marocchino 17enne affidato alla comunità di don Gino Rigoldi con a carico reati per droga e contro il patrimonio, e Davide Grasso, catanese di vent’anni, disoccupato e già noto alle forze dell’ordine.
Devono averlo pensato mentre assalivano, stupravano e picchiavano Gustavo Brandau, brasiliano di 30 anni, in Italia da clandestino; transessuale.
Hanno confessato subito, dopo essere stati rintracciati dagli investigatori che sono risaliti a loro grazie alle immagini ritratte da una telecamera. Le immagini sono violente, disgustose, agghiaccianti.Continue reading

Stregati da un sogno

obamaMANUELA CAVALIERI

“L’Italia è un Paese meraviglioso”. La frase non l’ha pronunciata uno dei 59.619.290 inquilini dello stivale. Bensì il politico più “cool” del momento.
È affascinante da morire: sorriso magnetico, eloquio inebriante. Un affabulatore.
Anche dopo un’ora di jogging, la sua maglietta sudata “odora di primavera” (secondo una beninformata giornalista del Bild). Come non sospirare sentendogli dire “Buongiiioorno” alla televisione italiana con quel vezzosissimo accento americano?
Ebbene sì, lo ammetto, anche io sono stata stregata dalle malie di Barak Obama.Continue reading

Matrimoni: non cambia niente

fedenuzialeFLAVIA PICCINNI

Ci sono scrittori che non hanno epoca, vivono divincolati dal mondo e ne assaporano la realtà, mostrandola in tutta la loro silenziosa sconvenienza. Rileggendo “La grande sera” di Giuseppe Pontiggia (1989, Premio Strega) mi è sembrato di rivedere la storia di quei silenziosi matrimoni che si consumano lentamente come fiamma di candela o avvampano come incendi estivi. Il risultato, nella realtà quasi come nella finzione, è sempre lo stesso: la fine.
Nel quieto e lacerante rapporto fra Mario e la sua compagna ho riletto quei non detti che ammorbano le unioni di Italia e non solo. Ma se nell’unione raccontata dallo scrittore comasco fra i due personaggi c’era un sentimento profondo, i dati che raccontano l’Italia sposata di oggi sembrano poco rincuoranti.
A mettere in crisi i matrimoni americani è bastato il caro-petrolio che ha fatto aumentare le richieste di aiuto a terapisti e matrimonialisti. A mettere in dubbio unioni di ferro nostrane sono sempre più le incomprensioni o terzi incomodi, amanti.
Penso a quante persone divorziate conosco (la maggioranza) e i dati dell’Adoc non mi sembrano più né assurdi né incomprensibili: la durata media dei matrimoni in Italia è di circa 10 anni e solo un 10% delle coppie separate torna insieme dopo molti anni di lontananza. La durata media di un matrimonio è così sempre più breve (7/12 anni), ma se si tratta di un’unione riparatrice si scende a soli 3 anni. I problemi nascono però quando si deve decidere chi deve restare a vivere dove. E se nel corso del matrimonio i coniugi non hanno fatto in tempo a comprare una casa o se ancora il mutuo non è stato estinto, solo raramente la ex famiglia riesce a condividere lo stesso tetto.Continue reading

Lessico da immigrazione e lunghe incomprensioni

legalitaeimmigrazioneSERENELLA MATTERA

Sbarchi, campi rom, viaggi della speranza, gommoni, barconi, clandestini, impronte, Cpt, identificazioni, espulsioni, ricongiungimenti familiari, caporali, scafisti, trafficanti, badanti, sanatorie, permessi. Compongono il lessico dell’immigrazione. Un lessico ormai quotidiano, alimentato da paure e cronaca, tragedie in mare e delitti, nomi e numeri.
Il ministro dell’Interno ha dichiarato lo Stato di emergenza in tutta Italia, per fronteggiare la «eccezionale pressione» esercitata sulla penisola dal flusso migratorio degli ultimi mesi. Nel primo semestre 2008 le persone sbarcate in Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna sono state 10.611. Erano la metà, 5.380, nello stesso periodo del 2007. «Se questo trend sarà confermato – ha detto Roberto Maroni – si arriverà a circa 30 mila arrivi entro la fine dell’anno».
Solo le cattive condizioni del mare fermano, a volte, la conta. Nel canale di Sicilia i pescherecci si sono ormai arresi a pescare uomini. Il 29 luglio ne hanno salvati 21 su 28. «Abbiamo visto dei cadaveri galleggiare – ha spiegato il capitano dell’Arias, che ha sette uomini di equipaggio – ma non eravamo attrezzati per riuscire a ripescarli. E poi dovevamo pensare ai superstiti». Nello stesso giorno in Sardegna sbarcavano 48 immigrati, 16 la sera prima.Continue reading

La scimmia giacobina

La scimmia giacobina è l’ultimo prodotto delle differenziazioni che si stanno determinando nella mandria di bruti che riempie delle sue strida i mercati italiani. Differenziazione meccanica. La scimmia non ha anima; la sua vita è susseguirsi di gesti; i gesti sono diventati frenetici; ecco la differenziazione.
La vita italiana politica è stata sempre più o meno in balía dei piccoli borghesi; mezze figure, mezzo letterati mezzo uomini; il gesto è tutto in loro. Concepiscono la vita librescamente. Sono imbevuti di letteratura da bancherella. Non concepiscono la complessità delle leggi naturali e spirituali che regolano la storia. La storia è per loro uno schema. […]
Questa superficie l’hanno presa per sostanza, il gesto di un individuo l’hanno preso per l’anima di un popolo. Ripetono il gesto, credono con ciò di riprodurre un fenomeno. Sono scimmie, credono di essere uomini.
Non hanno il senso dell’universalità della legge, perciò sono scimmie.
Non hanno una vita morale. Operano mossi da fini immediati, particolarissimi.
Per raggiungerne uno solo, sacrificano tutto, la verità, la giustizia, le leggi più profonde e più intangibili dell’umanità.
Per distruggere un avversario sacrificherebbero tutte le garanzie di difesa di tutti i cittadini, le loro stesse garanzie di difesa. Concepiscono la giustizia come una comare in collera col forcone brandito.
La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati i d’Artagnan.
L’umanità è solo composta da chi la pensa come loro, cioè da chi non pensa affatto, ma sacrifica al dio di tutte le scimmie.
Sono italiani, in un certo senso. Sono gli ultimi relitti di un’italianità decrepita, uscita dalle sètte, dalle logge, dalle vendite di carbone.
Un’italianità piccina, pidocchiosa, che contrappone all’autorità dispotica dei principotti una nuova autorità demagogica non meno bestiale e deprimente. Sono i relitti di quell’italianità che ha dato prefetti e questurini al giolittismo, e ora vuole imporsi con altri prefetti e altri questurini.
La loro affermazione ultima, questo loro esagitarsi goffamente, è utile in fondo. Gli italiani nuovi, che si sono formati una coscienza e un carattere in questo sanguinoso dramma della guerra, sentiranno maggiormente la loro personalità in confronto di queste scimmie.
Le scimmie giacobine sono utili per questo: che gli uomini vorranno essere piú uomini, per differenziarsene, per non essere confusi coi gaglioffi, che hanno un nido di scarafaggi per cervello e una stinta fotografia di Marat per anima.

Sotto la Mole, 22 ottobre 1917

Fine di una… Love Story

MANUELA CAVALIERIcuorespezzato

Si chiama Love Story, come il polpettone romantico di Arthur Hiller.
È un noto bar salernitano in via Dei Principati. L’insegna ritrae due languidi amorini raffaelliani.
Ma è bene non lasciarsi intenerire dal nome e dall’iconografia.
Proprio lì, infatti, lo scorso 6 luglio, ordinarono qualche drink di troppo i rumeni ubriachi che uccisero un ragazzo investendolo con la loro auto in pieno centro.
La vicenda sconvolse la città, alimentando diffidenze e intolleranza.
A distanza di qualche settimana, il sindaco De Luca sembra aver trovato la soluzione ai disagi dell’immigrazione: chiudere i bar conniventi con gli stranieri.
“Ci sono alcuni bar – tuona – diventati covi di extracomunitari e comunitari, rumeni, albanesi, polacchi. Come il Love Story, dove alle 5 del pomeriggio ci sono rumeni già ubriachi che bivaccano vicino alla fontana del Trincerone. Questi bar li chiuderemo o ridurremo la loro attività ”.
L’idea del primo cittadino, al solito equilibrata e democratica, non poteva che essere accolta dal convinto plauso generale.
Ma a questo punto perché non collocare all’ingresso dei bar un piccolo ufficio mobile del comune con un addetto al controllo delle generalità?
Se il tutto risultasse eccessivamente dispendioso, basterebbe far indossare agli stranieri una simpatica stellina distintiva da apporre al petto.
In questo modo i baristi italici provvederebbero all’espulsione immediata dello slavo di turno e l’integrità della razza indigena sarebbe preservata da inopportune contaminazioni.

La campagna del Cilento del ministro Prestigiacomo

cilentoIl silenzio operoso del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo sta producendo i primi risultati sul campo. Ha decapitato il Parco nazionale del Cilento, cacciato il presidente che si era presentato alla comunità abolendo i riti di un ceto politico piuttosto nullafacente, insaziabile nella propria avidità, a volte corrotto, quasi sempre inerme di fronte agli scempi che hanno devastato una delle coste più belle d’Italia.
Infatti per una bizzarra (e davvero non più replicabile) coincidenza astrale era stato indicato alla presidenza del Parco il sociologo Domenico De Masi. La disperazione in cui si era trovato il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, colmo fino alla testa dei rifiuti napoletani, e la debolezza politica del ministro uscente Alfonso Pecoraro Scanio, avevano prodotto in limine mortis (febbraio di quest’anno) una concertazione anomala e partorito una indicazione di qualità, autorevole, estranea alle beghe locali, distante dalle responsabilità che hanno trasformato il Parco più grande d’Italia in un ammasso di clientele, una rete vergognosa di collusioni che invece di promuovere e tutelare il territorio lo hanno debilitato e asservito.
De Masi, che fa il professore universitario ma conosce a meraviglia la tecnica della promozione mediatica, ha raso al suolo i riti consunti di una politica arruffona, ignava. E ricondotto le azioni di comunicazioni nella più agguerrita forma di propaganda, utilizzando a piene mani il vocabolario berlusconiano.
Gli incontri li ha chiamati convention (convescion?); i sindaci li ha retrocessi di grado incontrando prima gli operatori turistici. Ha rivoluzionato l’organizzazione del personale e ridato a persone che erano state abituate soltanto a sbadigliare, capacità di azione e autonomia professionale.Continue reading

Rom e associazioni, quando il filtro diventa tappo

romfoto

MARCO MORELLO

Anche se una serratura vera e propria non esiste, le chiavi dei campi rom della capitale sono saldamente
nelle mani delle associazioni. Una costellazione fitta fitta di enti, un florilegio di sigle a volte improbabili, spesso evocative, comunque legittimate a entrare dove altri, amministrazione comunale in testa, trovano porte sbarrate e inviti a girare alla larga. Enti di volontariato soltanto di nome, che dietro il velo del buonismo nascondono i loro interessi economici, foraggiati da bandi a volte cuciti su misura e determinazioni dirigenziali tanto generose quanto superficiali e omissive nei meccanismi di controllo.
Sono 100mila gli euro che sono stati dati alla sola Arci per occuparsi del campo di via Candoni, sorveglianza
notturna inclusa. Più di due milioni quelli spesi nel 2006 per gestire appena quattro strutture, divisi in fette disuguali tra Opera Nomadi, un paio di Onlus e una cooperativa. Gli stessi stanziati nel 2008, con risultati sempre deludenti, per la scolarizzazione in tutta la città dei giovani rom, per provvedere alla loro igiene personale e ad accompagnarli a scuola. Tre milioni e 800mila erano già pronti all’uso per i quattro mega villaggi della solidarietà, progetto alla fine rimasto nel cassetto, mentre fino a 3.600 euro a persona sono serviti a coprire voci vaghe come «corsi di formazione» o «borse-lavoro». Esempi micro e macro di un vero e proprio business della falsa solidarietà, intorno al quale tanti enti hanno lucrato e continuano a lucrare.Continue reading