Il pre-conto, l’ultimo ingegno del ristoratore evasore

Ceno in un ristorante salentino, succede due sere fa. Pieno quasi in ogni ordine di posti, segno che almeno da queste parti il Covid ha traghettato molta più gente del previsto e non solo in agosto. Mi arriva il conto, anzi il pre-conto. Cos’è il pre- conto? Un modo per svicolare dalla legge e dalla responsabilità: fregare lo Stato, cioè il prossimo, cioè anche me. Non pagare le tasse su ciò che si ricava. E metterle in conto ad altri. Il pre-conto è un’invenzione recente dei ristoratori evasori. Inbrogliare il cliente disattento, sostituire alla ricevuta fiscale un pezzo di carta che le assomiglia ma che non vuol dir nulla. Mica il ristoratore col pre-conto mi propone un prezzo? Mica mi chiede di essere d’accordo? Mica si intavola una trattativa? Porgo la carta di credito e mi convinco, io ingenuo, che il fatto che la mia spesa sia tracciata consigli al ristoratore di rendermi la ricevuta fiscale. Niente di niente. Allora la richiedo e protesto. Segue quella stupida moina di scuse, e mi arriva.

A questo ristoratore, come per tanti altri suoi colleghi imprenditori, neanche la moneta elettronica lo scuote, lo interroga, gli fa prendere coscienza che è non solo un obbligo di legge ma un minimo dovere civile partecipare alle spese della collettività. La collettività ha giustamente partecipato, nei mesi del lockdown, a sostenerlo: cassa integrazione per i dipendenti, bonus, vari sconti fiscali. E ora che lui potrebbe restituire, perché ha goduto di una rendita di posizione, il meraviglioso mare del Salento e l’afflusso straordinario di turisti, rifiuta, anzi fa di più: imbroglia. Un imbroglio che si regge sulla convinzione che nessuno lo controllerà mai, perché bisogna essere furbi, perché basta essere furbi in questa Italia del Medioevo, furbi e ben attrezzati con le relazioni, con le amicizie.

L’augurio che faccio a questo ristoratore, e a tutti i suoi colleghi del pre-conto, è di scoprire presto il costo salato della furbizia e di ricevere a domicilio, come corrispettivo, un pre-conto della finanza magari con qualche zero in più.

Da: ilfattoquotidiano.it

Il ritorno a scuola convivendo col virus: intanto diciamo grazie a maestri e prof

Gli eroi che amiamo di più sono quelli che lo diventano per caso. Abbiamo chiamato i medici e gli infermieri eroi perché hanno dovuto sostenere una prova indicibile, inimmaginabile. Nessuno sapeva, e nessuno pensava che sarebbe stato possibile quel che è successo tra marzo e aprile di quest’anno.

La statistica, che è una scienza esatta, ci dice che la riapertura delle scuole provocherà focolai di contagio. La ragione ci dice che chiudere in una stanza per più ore venti o trenta persone è di per sé un rischio altissimo perché sfida un virus che si trasmette per via aerea, dunque gli concede armi che non dovrebbe ottenere.

La ragione ci dice però anche che non possiamo tenere ancora sbarrate le scuole, perché questo sarebbe un costo ancora più alto in termini sociali ed educativi. Ha superato il miliardo nel mondo il numero degli studenti lasciati a casa. Non si può andare oltre.

Dovremmo dunque essere più solidali con il popolo della scuola, specialmente con gli insegnanti che dovranno superare una prova anch’essa non richiesta e assumere dei rischi alti. A marzo nessuno sapeva. E sono stati eroi. Oggi che sappiamo quasi tutto sugli effetti anche letali del virus, dobbiamo immaginare che purtroppo ci sarà chi si ammalerà anche gravemente. E ancor più dei ragazzi, la cui età li pone parzialmente al riparo dai rischi più gravi, saranno i loro docenti a subirne le conseguenze più severe.

Non è facile trasformare un luogo di studio, anche di gioco, in un’area di massima sicurezza. Abbiamo riconosciuto ai medici e agli infermieri la forza del coraggio e la dedizione, tralasciando ogni considerazione su qualche collega che ha disertato la corsia. Ecco, faremmo una cosa buona e giusta se usassimo lo stesso metro di giudizio anche con i professori.

E intanto gli dicessimo grazie.

Da: ilfattoquotidiano.it

Il Covid e l’ossessiva richiesta di misurarci anche la febbre. Ma scarseggiano i governanti magici a cui chiedere subito il mondo nuovo

Di fronte all’evento più imprevedibile e incerto che il nostro mondo ricordi, questo virus misterioso e subdolo, dagli effetti letali, non facciamo altro che chiedere regole certe, indiscutibili. Chiediamo allo Stato, del quale abbiamo scarsissima stima, di adempiere in nostra vece alle incombenze anche elementari di vita quotidiana. Misurarci la febbre, per esempio. Misurarla ai nostri bambini, per esempio.

È in corso un transfert ossessivo delle nostre paure, una ribellione sorda al rischio, che ogni giorno purtroppo corriamo e dal quale nessuno può difenderci oltre una certa soglia.

La malattia di Silvio Berlusconi, che pure aveva imposto a sé stesso e ai suoi amici regole ferree per tenerla lontana, dà la misura della fragilità della nostra vita.

Basterebbe, ora che anche l’altra sua figlia Marina, dopo Eleonora e Luigi, è risultata positiva al Covid, che ci convincessimo che come non ci sono pillole e ospedali della salvezza eterna, così scarseggiano anche governanti magici ai quali chiedere, in quattro e quattr’otto, il mondo nuovo.

Da: ilfattoquotidiano.it

Al Bocelli negazionista non bastano neanche 35mila morti

 

Forse è l’enormità del numero dei morti, trentacinquemila solo in Italia, a farci pensare che rifiutare il mistero di questo virus misterioso sia un modo sapiente di governarlo, gestirne gli effetti anche psicologici, tenere a bada la paura e anzi allontanarla da noi. Forse è anche l’impellenza della politica di trovare un ruolo per chi è all’opposizione a scegliere, come terreno di scontro, il virus. Cosicché, ora che si avvicinano le elezioni, si potrà stare di qua o di là. Chi col governo per dire che è pericoloso e mortale e chi con l’opposizione per statuire il contrario? Dovevamo giungere a questo punto, anzi a questo livello e sentire da un uomo fortunato e di talento indiscusso come Andrea Bocelli che nemmeno uno dei suoi migliaia di amici in tutto il mondo è finito in terapia intensiva. E dunque: il virus è davvero così pericoloso?
Bocelli queste sue incredibili affermazioni le ha pronunciate nel palazzo del Senato, l’istituzione che in questi mesi ha ratificato, deliberato, commentato, approvato decine di misure di limitazione della libertà personale come estrema tutela della salute pubblica. La discussione sul diritto supremo alla libertà personale o la legittimità della sua compressione quando in gioco è l’integrità del nostro corpo, non poteva finire peggio. Con Vittorio Sgarbi alla presidenza del convegno dei “negazionisti” a redigere la Costituente del no, e Matteo Salvini in platea a rifiutare di indossare la mascherina come prova principe che egli – non a caso – è il capo dell’opposizione parlamentare.

I trentacinquemila morti non li conosciamo più. Sono seppelliti ormai. E non ricordiamo neanche la prova empirica, visiva, fattuale, delle conseguenze di chi si è avventurato a impartire lezioni di disubbidienza civile. Boris Johnson, il primo ministro britannico, è stato a un passo dalla morte, Bolsonaro, il presidente demagogo del Brasile, si è infettato e si è rivolto alla scienza, contro la quale faceva singolare opposizione, per non finire nel luogo, appunto il reparto di terapia intensiva, del suo collega inglese. Non ci basta la scienza, che pure ha difficoltà a illustrare i confini di questa malattia, non basta la realtà dolorosa ed estrema di cui siamo stati spettatori, non basta il principio di precauzione al quale dovremmo far ricorso. Non ci basta più nulla. Siamo semplicemente stufi di usare la ragione.

Da: ilfattoquotidiano.it

Benedette le condizionalità sul Recovery Fund: adesso dimostriamo di saper spendere più di 200 miliardi in tre anni

 

Benedette le condizioni, io dico. Perché i soldi arriveranno, e saranno tanti. Più di 200 miliardi da spendere entro il 2023. Una enorme massa da investire in tre anni soltanto. È questo tempo che dovrebbe metterci ansia, impaurirci davvero. Perché in tre anni spesso non riusciamo nemmeno ad appaltare un’opera, forse neanche a rendere esecutivo un progetto. È la dimensione del tempo, il valore che diamo al tempo, e anche la responsabilità nel renderlo efficiente la più grande ipoteca alla riuscita del Recovery Fund, lo strumento europeo di emergenza per resistere alla crisi e superarla.

La mestizia o la preoccupazione con la quale passiamo in rassegna le cosiddette “condizionalità”, il controllo appunto di come spendiamo i quattrini, è assai singolare. Mica ce li danno per fare tutti una grande festa? Magari una gita a Formentera? E il fatto che una parte di essi (81 miliardi di euro) siano a fondo perduto impone ai nostri soci di capire come la solidarietà europea verrà impegnata. Obbliga noi nei loro confronti, come ciascuno dei Paesi nei confronti della comunità.

Benedette le condizioni, perciò. Non dovremmo preoccuparci di spendere i soldi secondo gli impegni e gli obiettivi indicati a Bruxelles. Non dovremmo avere nessun timore da un controllo, se esso naturalmente non divenga ostruttivo.

Il terrore mio è che gli italiani debbano essere impauriti da se stessi. Dalla cronica incapacità di onorare gli impegni, di rispettare i tempi, di abbandonarsi alle furbizie (o peggio alle bustarelle) che tanto peso hanno avuto nella dimensione civile della nostra storia contemporanea.

Il problema siamo noi. E la soluzione al problema siamo sempre noi.

Meglio che ce lo diciamo adesso. E meglio, molto meglio, faremmo a non trovar scuse domani.

 

Da: ilfattoquotidiano.it

Autostrade, il diritto del governo di revocare la fiducia: finalmente qualcuno paga

 

Quanti anni indietro dobbiamo tornare per rammentare un governo che impone a un grande gruppo industriale e finanziario di assumersi le responsabilità delle proprie azioni e omissioni? Non ce lo ricordiamo, purtroppo. Dobbiamo fermarci ai governi di Amintore Fanfani negli anni del grande boom industriale? O andare ancora più indietro e fissare l’obiettivo al secondo dopoguerra? Perché questo è il punto. Comunque la si pensi di Giuseppe Conte, e spesso non fa pensare bene, la decisione del consiglio dei ministri, terminato qualche ora fa, che estromette i Benetton dal controllo di Aspi, escludendo i capitani d’industria veneti (capitani coraggiosi, eh?) dal diritto di sedere nel consiglio di amministrazione, sancisce un principio sconosciuto in Italia.

Che cioè il governo ha diritto di chiedere conto. E ha diritto di revocare la fiducia nei confronti di chi gode di una concessione pubblica, se ne ricorrano le condizioni. E c’è qualcuno che può difendere l’operato di Aspi? Qualcuno che possa negare che la società concessionaria della maggioranza della rete autostradale italiana abbia goduto di condizioni di assoluto, straordinario e illegittimo favore? Qualcuno che possa negare che dalle tariffe i Benetton come gli altri soci abbiano ricavato profitti esagerati senza curarsi di investire il minimo sindacale in sicurezza?

Il fatto che per prenderne atto siano dovute morire 43 persone sotto il peso del ferro arrugginito e del cemento divenuto sabbia del ponte Morandi, misura la forza del cosiddetto capitalismo di relazione, la vastità della rete di solidarietà, quando non proprio di connessione.

Perciò oggi è un buon giorno. Perché finalmente, e per la prima volta, qualcuno è chiamato a prendersi la responsabilità e in qualche modo a pagare.

 

Da: ilfattoquotidiano.it

Ponte Morandi, la gestione ad Autostrade è una beffa: la lobby che la protegge è legata ai partiti e il Parlamento non ha cambiato norme

 

È allarmante che solo Cinquestelle e Leu scelgano di stare dalla parte della logica. Può chi ha operato con colpevole e continuata negligenza essere chiamato – seppure in una forma provvisoria e condizionata – a gestire di nuovo il ponte? Non sono solo i 43 morti di Genova ad essere offesi da questa scelta, ma chiunque creda nel senso minimo e persino naturale della giustizia.La concessione provvisoria, come scrive la ministra De Micheli, è obbligata dalla legge. Non si sarebbe potuto fare diversamente stando così le cose. E perché le cose stanno così? Perché in tutti questi mesi il Parlamento non ha provveduto a cambiare la normativa che oggi impone questa beffa, questa ingiustizia così grande? Dovrebbero dirlo tutti quei partiti, a parte i Cinquestelle e Leu, che in modo gattopardesco hanno sostenuto le ragioni della concessionaria, impossibili da condividere, incredibili da spiegare. Perché il punto non è naturalmente la garanzia che i lavoratori di Aspi avrebbero comunque avuto diritto alla conservazione del posto, ma il principio di responsabilità, quello di giustizia, il senso collettivo di restituire all’Italia, che da quella catastrofe ha subito un danno enorme, l’onore prima ancora del risarcimento del danno.

La verità, purtroppo, è semplice e amara: la lobby che in qualche modo ha steso una rete di protezione intorno ad Aspi, la società dei Benetton, è assai più potente del potere costituito e si dirama, attraverso robuste connessioni, dalla maggioranza all’opposizione.

PdForza ItaliaItalia Viva, e persino Lega e Fratelli d’Italia hanno sonnecchiato, curando che la pratica in qualche modo non inguaiasse più di tanto i responsabili del guaio. Motivazioni di natura economica (il ristoro per miliardi di euro al concessionario in caso di revoca anticipata) ha coperto la scelta di dire e non dire, fare e non fare.

Il tempo è passato e oggi siamo qui a commentare questa beffa.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus? È finito per nostra decisione. Polemiche sulle mascherine e ora nessuno le compra più

 

Ma quanto siamo sbruffoni noi italiani? Che rispetto abbiamo delle parole che noi stessi diciamo, delle paure che noi stessi avanziamo, delle richieste, petizioni, raccomandazioni, a volte vere e proprie suppliche? Abbiamo iniziato massacrando il commissario all’emergenza Domenico Arcuri, colpevole di non farci trovare le mascherine. Poi colpevole di aver obbligato il libero mercato (sic!) a vendere a cinquanta centesimi ciò che ne costa sedici. L’abbiamo chiamato in tutti i modi, in una villania pari solo alla nostra irresponsabilità. Insulti, dileggio, qualcuno (il famoso Codacons?) scommetto l’avrà anche denunciato per procurato disastro. Erano i giorni in cui tutto il mondo le cercava senza trovarle. Adesso stanno su tutti gli scaffali, al prezzo giustamente calmierato. E qual è la novità? Nessuno le compra più. Non servono più! Tracollo delle vendite, dicono i farmacisti. Ieri urlavamo di paura, oggi sghignazziamo felici, tanto è tutto passato.
È finito il Covid per nostra decisione, ma fino a ieri l’altro ci pareva incredibile che il governo non avesse provveduto a una seria indagine epidemiologica. Capire quanti – asintomatici e no – fossero entrati in contatto col virus. È stato finalmente incaricato l’Istat di provvedere a formare un campione di 150 mila concittadini, rappresentativi dell’intera popolazione, sul quale fare il test. In due mesi non si è riusciti a realizzare l’indagine. Il telefono squilla a vuoto, anche quindici volte allo stesso numero. In due mesi a malapena 90mila hanno risposto, poco più della metà. E i reagenti che l’Istituto superiore della sanità aveva ottenuto gratis da una casa farmaceutica scadono il prossimo 10 luglio. Indagine azzoppata, test buttati, tempo sprecato, soldi bruciati.E Immuni? Il sistema di contat tracing così caro alle nostre vite, noi che siamo sempre con lo smartphone in mano e facciamo tracciare dalle grandi piattaforme anche la posizione esatta del bidet, siamo divenuti improvvisamente diffidenti. La Meloni e Salvini avvertono: “Attenti, ficcano il naso nella nostra privacy!”. Dopo due mesi solo due milioni e 400 mila hanno scaricato l’app. In Germania sono oltre quindici milioni. Altri soldi sprecati, fatica bruciata, ingegno mandato al macero e soprattutto sistema di difesa dal virus reso inefficace.

Ma se siamo così inattendibili, così enormemente incapaci di tenere un comportamento minimamente coerente, di tener fede alle nostre stesse promesse, perché dovremmo essere credibili quando invochiamo aiuti economici, denunciamo una crisi inarrestabile e paurosa, supplichiamo l’intervento urgente dello Stato?

Perché il governo dovrebbe essere migliore di noi che l’abbiamo scelto apposta uguale a noi?

Da: ilfattoquotidiano.it

Modello Scampia: stupiamoci del bello, per una volta

 

Tutti a parlare di un modello Genova. Ma esiste, ed è una fortuna in più per l’Italia, anche un altro modello, quello di Scampia di cui, ingiustamente, poco si parla e si sa. I lavori di demolizione della famigerata Vela Verde, il simbolo di Gomorra, iniziati il 20 febbraio scorso, si sono conclusi due giorni fa. Tempi rispettati nonostante il lockdown che ha imposto l’interruzione della attività del mastodontico becco d’acciaio. L’opzione dinamite, per motivi tecnici, era stata infatti accantonata. Scompare la cartolina del Male, il quartier generale della criminalità, dei diseredati arruolati nell’esercito della camorra, e compare, quasi nello stesso giorno e a poche centinaia di metri di distanza, la sagoma oramai ultimata della nuova Facoltà di Medicina della Federico II di Napoli. Costruita nel luogo in cui, negli anni passati, fu abbattuta la Vela H (delle sette esistenti tre erano già state demolite). Medici invece che corrieri della droga, bisturi invece che pistole. Restart Scampia si chiama il progetto di riqualificazione e rigenerazione urbana che avanza rispettando incredibilmente le promesse. Stupiamoci del bello, per un volta.

Da: ilfattoquotidiano.it

Appalti senza gara, il primo azzardo del governo per far fronte alla crisi economica?

 

Appalti senza gara per lavori di importo fino a cinque milioni di euro. Eccolo qui il saldo attivo della pandemia, il costo civile di scelte, naturalmente approvate per far fronte alla gravissima crisi economica, che incidono in un settore, quello dei lavori pubblici e degli appalti, da sempre magma indistinto, opaco, dai lineamenti troppe volte collusi con chi non ha a cuore né la trasparenza né la legalità.

Se le anticipazioni fatte filtrare saranno confermate, questo governo compirà il suo primo vero azzardo: allentare i cordoni della borsa e della legge pur di ridar fiato all’economia e agevolare la scelta discrezionale delle singole amministrazioni al momento di affidare lavori di importo anche cospicuo.

Chi giustifica l’azzardo dirà che è divenuto insopportabile osservare la stasi dei lavori pubblici, i 120 miliardi di euro (investimenti pluriennali) disponibili e non spesi, la necessità di far fronte con una cura da cavallo alla oramai esangue industria italiana.

Siamo oramai imbullonati, ogni giorno, nel commento di una burocrazia divenuta all’apparenza solo ostruttiva, delle centinaia di barriere e di codicilli che rendono impossibile una data certa per l’avvio dei lavori e, soprattutto, una data certa per la loro conclusione.

Si può contestare una verità simile?

Nessuno potrebbe. Però nessuno, se davvero dovesse essere licenziata una deregulation così imponente, può nascondere un timore, che domani potrebbe trasformarsi in una triste certezza: quanti casi di malversazioni – presunte o reali – di agevolazioni – vere o fittizie – di compromessi al ribasso, di lavori mal eseguiti, di varianti esose e ingiustificate saremo costretti a contare?

Le condizioni di efficienza e di trasparenza del nostro apparato pubblico si conoscono: sono al di sotto di ogni sospetto.

Si conoscono pure le condizioni della nostra economia, l’espulsione certa di migliaia e migliaia di lavoratori dal processo produttivo.

Queste due enormi crisi – sovrapponendosi – esercitano una pressione che spinge la nave al largo.

E’ purtroppo atteso un moto ondoso. Ed è bene che si sappia oggi.

Da: ilfattoquotidiano.it