La delega mistica

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GIUSEPPE NAPOLI

Dar da mangiare agli affamati. Da bere agli assetati. Vestire gli ignudi. Ma anche dare un lavoro ai disoccupati. Una casa a chi non ce l’ha. Togliere ai ricchi per dare ai poveri. Che nessuno resti indietro. Che nessuno abbia una dignità sociale più linda e profumata dell’altro. Romano Ciccone –Lello per gli amici- non pensava che, presto o tardi, sarebbe arrivata a tanto la sua missione politica. Nessuna vocazione. Non c’entra lo Spirito Santo. E’ stato il presidente della Provincia di Salerno in persona, Edmondo Cirielli, a far discendere sul consigliere comunale del Pdl, con Decreto n. 179 del 19 ottobre 2009, le delega “tecnico-politica in materia di lotta alla povertà e dignità sociale”. Ciccone, che di professione fa l’avvocato, è il settimo consulente politico nominato Gratis et amore Dei dal presidente Cirielli dall’inizio del suo mandato a Palazzo Sant’Agostino. Sette come le opere di misericordia corporale cucite addosso al nuovo paladino dei poveri. Ma perché proprio l’avvocato Ciccone? Perché non, ad esempio, padre Alex Zanotelli? O don Luigi Merola? Perché non affidare una delega dai risvolti così profondi -che di politico ha solo l’affiliazione (al Pdl) e l’investitura ad personam dall’alto- ad un missionario laico? No: Romano Ciccone.Continue reading

La delega etnica

alemanno

 

Una nuova frontiera si è aperta grazie all’indiscutibile dote di Gianni Alemanno, sindaco di Roma. La delega etnica. Alemanno ha infatti chiamato il consigliere Domenico Naccari, calabrese di Vibo Valentia, ad occuparsi dei suoi simili: i calabresi appunto. Tecnicamente la delega dev’essere ancora strutturata e si attende giovedì prossimo, quando alla presenza del collega sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti, candidato per il centrodestra alla guida di quella regione, verrà perfezionato il provvedimento. Comunione politica e geografica, assetto del territorio e divisione rigorosa dei poteri. Sarà completamente chiaro allora che Scopelliti, in virtù della sua popolarità (è uno dei sindaci più apprezzati nella consueta annuale hit parade pubblicata proprio ieri dal Sole24Ore) e della forza che presumibilmente ne discende, dovrà occuparsi – quando e se le urne lo acclameranno – dei calabresi nati e residenti in Calabria.

Però, e qui sta la forza propulsiva dell’idea che si va concretizzando, Scopelliti lavorerà in stretta connessione anche sentimentale con Alemanno. E quindi nella Capitale oltre all’amico premier Silvio Berlusconi, avrà la fortuna di trovare un suo sub-conterraneo a cui verrà affidata la gestione del vasto territorio elettorale occupato dai calabresi migranti, dagli amici, dai cugini e dai cognati. Da tutto quel popolo che in cinquant’anni si è fatto riconoscere e apprezzare per le sue doti.
Roma infatti vanta una numerosissima colonia di Calabria, una rappresentanza di popolo che si è fatta valere indiscutibilmente per doti e professionalità. Già il ragioniere generale dello Stato Monorchio, poi il presidente del Consiglio dei Lavori pubblici Misiti. Ed era la Calabria di ieri, e solo per fermarci a due piccoli esempi. Oggi calabrese è il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà; calabrese quello per le telecomunicazioni Corrado Calabrò. Calabresi assessori e grandi lobbisti.

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Da San Nicola Varco a Rosarno: la mattanza dei diseredati

GIUSEPPE NAPOLI

 

Stesse scene. Stessi volti. Stesse barricate. Identica militarizzazione. Da Rosarno a San Nicola Varco, la mezzaluna colonizzata dagli schiavi della Piana del Sele. Li aspettavano di notte. Arrivarono alle 8 del mattino. Oltre 60 mezzi blindati e 650 uomini tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e perfino la forestale per procedere allo sgombero coatto di oltre mille immigrati di colore ed alla tabula rasa delle favelas di San Nicola Varco. «Chi entra è morto, chi esce è appena nato». La scritta è in arabo. Campeggiava su uno dei muri all’ingresso. Suonava quasi come un avvertimento per i nuovi arrivati. Liberazione per quei pochi che riuscivano a scappare.
Diseredati. Ghettizzati. Clandestini. Rifugiati. Terroristi (?). Gente vomitata dalle loro terre e spedita all’inferno, tra parquet d’immondizia e pennnellate di fango. Dio solo sa quanti ne erano: mille e forse anche di più. Marocchini, tunisini, magrebini. Potevano finire in una serra di pomodori a Ragusa o in Puglia e invece seguirono le orme di Cristo: si fermarono ad Eboli, poco più in là, a San Nicola Varco, nelle cascine abbandonate attorno ad un vecchio silos di granaio. A due passi da un enorme capannone. Un mercato ortofrutticolo di proprietà della Regione Campania costato la bellezza di 20 miliardi di vecchie lire e mai entrato in funzione. Sullo sfondo, a perdita d’occhio, i campi e le serre delle multinazionali dell’agroalimentare.
Disperati del mare approdati nel regno delle mozzarelle e dei beauty farm, in questo scorcio di periferia dove ti alzi alle 4 del mattino, prendi la bici e ti fai spedito 30 km fino al primo “caporale”.Continue reading

Riforme

 Può esserci riforma culturale e cioè elevamento civile degli strati depressi della società, senza una precedente riforma economica e un mutamento nella posizione sociale e nel mondo economico? Perciò una riforma intellettuale e morale non può non essere legata a un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e morale.

 

Antonio Gramsci
Quaderni del carcere
Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno.

Capodanno

“Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto il cielo, sento che per me è capodanno.
Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione.
Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito.
Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso e rinnovarmi ogni giorno.
Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse.”


Antonio Gramsci
(1° gennaio 1916, “Sotto la mole”, Avanti!)

Il golf, che passione!

Il golf, che passione! Oramai ha la forza suprema di una necessità urgente. L’Italia si dirige sui green con la velocità di una lepre e appena lo sguardo prende spazio l’idea si fa concreta perché, ora è chiaro, a ogni filo d’erba corrisponde un pilastrino di cemento armato, pallina bianca e mattoncino verde, cuore e ragione, sport&business.
Ricchi e felici gli italiani forse lo saranno e comunque nel prossimo ventennio ci troveremo in tanti, lucidati e ripuliti, magari ricchi e in forma, a calpestare il soffice manto erboso. Le previsioni avvisano di una moltitudine in arrivo. Vogliosa e gaudente. La scommessa è realizzarne in fretta, tanti e tanti di questi campi. La Campania, fiutando l’affare, ne ha già costruiti cinque, due sono in arrivo, altri in progettazione. E la Toscana? Primissima fila. A Castelfalfi, a Montaione la multinazionale tedesca Tui ha voglia di stupire. Si inaugurano le diciotto buche, e speriamo che sia così, a Ortovero, in provincia di Savona; a Sciacca, in Sicilia, tutto è già stato fatto per la clientela supervip della catena alberghiera di sir Forte. Nell’isola 48 sono i progetti presentati per dare modo ai siciliani di trovare dovunque una buca adeguata al loro nuovo lifestyle. Un borgo diventa un campo da golf ad Agazzano, Piacenza, anche a Bonassola, di nuovo in Liguria, e a Grado, in Friuli.
La cosa bellissima, e davvero nuova, è che la passione vale milioni ma costa zero alle casse pubbliche: uno sport divertente e verde, educato nei modi, e adesso anche piuttosto pop, perciò molto contemporaneo. Gli imprenditori si fanno avanti e sono pronti a svenarsi pur di realizzare il green. Mister Zamparini, il presidente tuttofare del Palermo calcio, per esempio, ha le idee chiare: solo cinquecentomila metri cubi di volume edificabile, 1200 case e ville, un hotel a cinque stelle. E poi, ecco la meraviglia: un fantastico campo da golf. Un affare per la comunità di Grado e per il Friuli, un ripascimento originale nelle immediate adiacenze della laguna di Caorle, poco distante dall’area dove Hemingway scivolava a caccia di anatre.Continue reading

Sotto la neve

 

 

Il compitino che le maestre crederanno di dovere infliggere oggi ai loro scolari dirà che sotto la neve c’è il solito cane. I giornali l’hanno risparmiato il solito compitino, e hanno trascurato di scoprire con sempre nuova originalità che Torino sotto la neve è cosí e cosà, che i suoi viali alberati sembrano ricami e trine della fata Morgana, la quale si cura ogni tanto di dilettare gli occhi dei cittadini con le sue bizzarre fantasie. A me la neve fa venire pensieri un po’ prosaici e pedestri. (…) Sotto la neve (…) i proletari continueranno a trovare fango e mota, e in questi tempi di illuminazione ridotta, i loro accidenti non saranno meno energici del solito. Vagolano per la notte in certi paraggi poco frequentati dalle carrozze padronali ombre scure precedute dal riflesso di lanternine cieche, e per esse la neve sulle strade non ancora selciate non deve essere una cosa molto poetica e suaditrice di pensieri soavi. Il traffico è cresciuto. Camion, automobili, carri e carretti di tutte le proporzioni si inseguono per le strade schizzando a ventaglio cumuli di una poltiglia grassa ed attaccaticcia che, se testimoniano della fertilità della pianura padana, non promettono nulla di buono per i disgraziati che se ne sentono innaffiati. Ma basta che si provveda per il centro della città! Bisogna che esso sia lindo e ben tenuto, secondo il ragionamento della cocotte che si imbelletta la faccia e trascura l’igiene intima di tutto il corpo. (…) Pensieri, come vede il lettore, triviali, pedestri, ma la neve con tutta la potenzialità di poesia che nasconde sotto il suo insidioso biancore non riesce a farmene nascere degli altri, più fragranti, più vistosi. E la giornata è d’altronde così buia e scolorita, e il cervello mi si ottunde nel riconoscere che senza volerlo, ho scritto il mio bravo compitino, e incomincia a preoccuparmi seriamente il pensiero che sotto la neve io troverò la paura di… sdrucciolare.

Antonio Gramsci
Sotto la Mole, 25 febbraio 1916

Fare i conti con le nostre parole

Se si afferma, come mi pare dica Massimo D’Alema, che per salvare questo Paese, per il bene di questo Paese, per la stessa tenuta democratica di questo Paese, sia necessario trovare con la maggioranza un punto minimo di condivisione. E se questo punto minimo finisce per concidere esattamente con la questione di come tutelare il premier dall’azione pro-tempore della magistratura, è del tutto evidente che si assume come definitiva e inappellabile la tesi che l’ordine giudiziario da potere costituzionale si sia trasformato nel tempo e in alcune sue frange in potere sovversivo. Da cui, appunto, bisogna difendersi con la forza della legge.
Basta essere chiari e dire pane al pane.
Poi però bisognerebbe anche fare i conti con le parole pronunciate…

Pizzo di Natale

WALTER MOLINO

Abiti lisi, viso emaciato, sguardo pietoso e barba incolta. Voce piagnucolosa e postura ossequiosa. In provincia di Palermo inizia l’invasione dei Babbi Natale alla rovescia, non portano doni ma chiedono un pensiero per i carcerati, come non muoversi a compassione? Mica elemosina, volete offendere, che ci facciamo con uno o due euro? Cinque euro è il minimo sindacale, dieci o venti meritano un grazie e una segnalazione nella lista dei generosi su cui poter sempre contare. Con cinquanta ci si riconosce, per qualsiasi cosa a disposizione dottò, menza parola, anzi manco quella, il nostro amico la manda a salutare e ricambi ci mancherebbe. Siamo a posto. Messi a posto. Senza pensarci, cosa vuoi che sia, poveri disgraziati, raccolgono due lire, pure il parrino lo va dicendo.
È il pizzo di Natale. Bando alle ipocrisie, chiamiamo le cose col loro nome. Denunce, ovviamente, zero. Segnalazioni manco. Confidenze, poche e con mille tra avvertenze e distinguo. Mezze frasi smozzicate al bar, ecco davanti al caffè qualcosina evapora, quel sorriso benevolo e fatalista, tutti in fondo dobbiamo campare. A denti stretti, per prudenza e adesso anche con un po’ di rabbia. I negozi dei paesi della provincia di Palermo sono vuoti. Lo shopping di Natale è solo in televisione nei rassicuranti Tg nazionali che ci raccontano come stiamo volteggiando fuori dalla crisi. Palle. La crisi, dalle nostre parti, comincia a mordere adesso. A parte la nuova classe moèchantò, piccola e sempre più sguaiata minoranza alcolica, che fa dello sfarzo esibito il simbolo più volgare di un’esistenza millesimata, la gente comune, dai resistenti alla media e piccola borghesia, stringe la cinghia. Si spende meno, e meno si incassa e per il negozio di paese quelle venti o cinquanta euro pesano. Scoccia sganciare il soldo, e magari in silenzio si fa strada una domanda: ma perché?Continue reading

Il valore di un deputato e le scimmie ubriache

Quando penso ciò che sono costati agli operai e ai contadini i voti datimi, quando penso che a Torino sotto il controllo dei bastoni 3.000 operai hanno scritto il mio nome e nel Veneto altri 3.000 in maggioranza contadini hanno fatto altrettanto, che parecchi sono stati bastonati a sangue per ciò, giudico che una volta tanto l’essere deputato ha un valore e un significato. Penso però che per fare il deputato rivoluzionario in una Camera dove 400 scimmie ubriache urleranno continuamente ci vorrebbe una voce e una resistenza fisica superiori a quelle che io abbia. Ma cercherò di fare del mio meglio: sono stati eletti alcuni operai energici e robusti che io conosco bene e conto di poter svolgere un lavoro non del tutto inutile. Qualche fascista di mia conoscenza si torcerà piú di una volta dalla rabbia.
Antonio Gramsci
Vienna, 16 aprile 1924
Lettera alla moglie Giulia Schucht