Pd, così è finito l’esecutivo dei giovani

SERENELLA MATTERA

Rinnovamento. Largo ai giovani. Sull’onda della manifestazione del Circo Massimo riprende fiato il mantra che ha accompagnato fin dalla nascita il Partito democratico: il ricambio della sua classe dirigente. Si può fare? Walter Veltroni, in realtà, ci aveva già provato. Forte della strabordante vittoria alle primarie, fresco di consacrazione nell’Assemblea Costituente, il 4 novembre 2007 il segretario ha tenuto a battesimo un organo del tutto inedito, che avrebbe dovuto indicare una nuova via: l’Esecutivo.
Veltroni lo presentava così: “Una compagine innovativa, fresca, aperta, autorevole che avrà il compito di interpretare al meglio la grande forza riformista del Pd”. Cos’era? Un organismo a maggioranza femminile (e questa la prima innovazione: 9 donne, 8 uomini), in cui spiccava l’assenza dei soliti grandi nomi e la presenza di giovani professionisti della politica (Andrea Orlando, classe 1969, Andrea Causin, classe 1972), esponenti della società civile (Maria Grazia Guida, presidente del Centro Ambrosiano di Solidarietà di Milano), dell’imprenditoria (Maria Paola Merloni, ex presidente della Confindustria-Marche), del sindacato (Annamaria Parente, della Cisl), dell’ambientalismo (il presidente di Legambiente Roberto della Seta) e della cultura (lo scrittore Vincenzo Cerami). Un gruppo di vasta e varia esperienza, sotto la guida del veltroniano Goffredo Bettini. Avrebbero dovuto traghettare il Pd nella fase costituente. E invece…
“Ci siamo riuniti poche volte. E le singole riunioni duravano troppo poco” racconta Laura Pennacchi, economista e sottosegretario al Tesoro con Carlo Azeglio Ciampi. “La prima volta è stata a fine novembre. L’ultima il 5 febbraio. Avremmo dovuto vederci una volta la settimana, ma gli incontri spesso saltavano. Così, un’esperienza positiva, ha prodotto molto al di sotto delle sue potenzialità”. Progetti ambiziosi. Cinquantatrè i forum tematici avviati. E invece gli scettici, quelli che dall’inizio dicevano “non conterà niente”, hanno avuto ragione.
Ben presto il vero esecutivo ha preso funzione, quello conosciuto come il “gabinetto”, che riuniva i big, da D’Alema, a Marini, a Letta, all’allora presidente Prodi. E i 17 sono finiti nel dimenticatoio. Travolti dal tran tran della campagna elettorale e poi silenziosamente soppiantati dal governo ombra, all’indomani della sconfitta.
Il 3 aprile Laura Pennacchi ha dato le dimissioni. “Ho preferito tornare allo studio, per procedere nella costruzione di un profilo culturale forte per il partito”. Nessuna gelosia nei confronti del gabinetto? “Non personalmente, ma alcuni miei colleghi esprimevano perplessità su un organismo che ci sottraeva ruolo”.
Oggi alcuni componenti dell’esecutivo sono ministri del governo ombra (Vincenzo Cerami, Ermete Realacci, Roberta Pinotti), altri deputati o senatori (le giovani Alessia Mosca e Federica Mogherini), altri sono nel direttivo del Pd (la stessa Pennacchi). Ma l’esperienza che li univa inizia a perdersi nella memoria. Archiviata. Chiusa. Come i locali del Loft, che la ospitavano.

(Pubblicato dal Riformista del 28 ottobre 2008)

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1 Comment

  1. Ha subito attirato la mia attenzione il dire di Laura Pennacchi. E’ una scienziata della sociologia e dell’economia che seguo spesso e che “uso” come pietra di paragone per molte cose. Poco per il timone politico da cui mi faccio guidare (esperienza, analisi e un po’ di fiuto). Ma ora, in una “relativamente piccola” esternazione di Laura, viene fuori una verità, non dal racconto, neppure dalla decisione del ritorno allo studio. No, viene fuori dal “particolare” che può nascondere mille cose: dal pudore, dall’imbarazzo, dall’imprecisione delle circostanze, dall’indicibile (direbbe Fausto).Mi riferisco a quella parte di risposta in cui Laura si lamenta e parla dei dirigenti di una organizzazione, di un partito (centrista, riformista o quel che si vuole) e li appella come COLLEGHI. Personalmente, credo che Laura abbia fatto la scelta giusta.

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