Nel paese della bugia la verità è una malattia

LINDA LA POSTA

Uno strano destino accomuna la Sardegna e l’Abruzzo. Queste due regioni, note per la fierezza e la sobrietà delle proprie popolazioni, sono entrambe vittime delle manie di grandezza del nostro Capo del Governo.
Ripagare i sardi dei disagi procurati dall’occupazione trentennale della base americana, sembrava essere il senso della decisione di tenere il Summit del G8 sull’isola della Maddalena. Una scelta che, grazie alle bellezze naturali del posto, coniugava, in verità, risonanza mondiale con perfetti scopi elettoralistici.
I sardi, gente seria, poco propensa alla bugia che, anzi, reputano una grave offesa, lo hanno preso in parola. E sognando ripresa economica, turistica, lavorativa, mentre davano il via a turni H24 per lavori di costruzione e ristrutturazione di opere importanti, ringraziavano riconoscenti votando in massa il candidato regionale del PDL Ugo Cappellacci, figlio del commercialista di Berlusconi, uno dei pochi personaggi ad aver vinto una gara elettorale da sconosciuto e senza profferire molte parole.Continue reading

Quei Berlusconi tenuti a bada

GIORGIO MOTTOLA

Berlusconi non è un prodotto tipico a marchio doc. Una parte degli italiani ritiene che una tale concentrazione di tv e giornali nelle mani di una sola persona si verifichi solo in Italia. Il rapporto di Berlusconi con i media farebbe parte di una tipicità tutta italiana, un’anomalia insomma. La Freedom House, istituto di ricerca americano fondato dai Reagan, che ogni anno stila una classifica sulla libertà di stampa, pone l’Italia al trentesimo posto, dopo Ghana e Mali. Ma l’assalto dei potentati economici agli organi di informazione rientra in una prassi oramai internazionale. I “Berlusconi” parlano tutte le lingue del mondo e rastrellano, in giro per il globo, la proprietà delle più importanti testate giornalistiche. Parlano spagnolo, quando si chiamano Carlos Slim. Inglese, quando il loro nome è Rupert Murdoch o Summer Redstone. Francese quando i volti sono quelli di Lagardère o Marcel Dessault.
Certo, in nessun altro paese il presidente del consiglio nomina direttamente i dirigenti della tv pubblica. E, solo in Thailandia fino a un paio d’anni fa, è allo stesso tempo anche proprietario dell’altra metà privata della televisione. Inoltre, in Europa e negli Stati Uniti, diversamente che da noi, le banche non possiedono direttamente giornali. Gli altri paesi hanno elaborato regole molto più strette a tutela dell’autonomia dell’attività giornalistica.Continue reading

Le macerie della libertà di informazione

LINDA LA POSTA

“Don’t wait to be deprived of news to stand up and fight for it”. (“Non aspettare di essere privato delle notizie per alzarti e combattere per questo diritto”). Questo il decalogo di Reporters without borders, l’associazione che monitora la libertà di stampa nei paesi di tutto il mondo. In una delle sue ultime classifiche, l’Italia occupa il 44° posto su 173 paesi. Sembrerebbe un ottimo posto se, ad una visione più attenta, non ci rendessimo conto che siamo seguiti soltanto da paesi africani, dell’est europeo, dalla Russia di Putin, dalla Cina, dalla Corea del Nord, tutti paesi che non brillano per essere campioni di democrazia. Il dato allarmante, però, è che se il confronto lo facciamo con gli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia risulta essere quartultima, seguita solo da Polonia, Romania e Bulgaria. Invece di celebrare auditel e sondaggi, l’informazione italiana torni a rivendicare a schiena dritta la propria funzione di scoprire, raccontare, vigilare, denunciare, in piena e orgogliosa autonomia.

L’uomo più libero

All’uomo che ha ucciso tutte le fatalità, tutte le forze demoniache incontrollabili, e che perciò ha incominciato oggi col rinnegare la fatalità del mondo borghese, e si sforza oggi, con tutte le armi dialettiche, col sorriso, col ghigno, col sillogismo catafratto di farla rinnegare a un numero sempre maggiore di uomini. Che si sforza, con un lavorio corrodente di critica implacabile, di arrivare, attraverso la purificazione drammaticamente raggiunta col dolore, alla impassibilità stoica della coscienza universale, per giudicare gli avvenimenti con la pupilla ben aperta, col cervello slargato, contenente nel ritmo del suo pensiero gli echi della musica universale, dell’accordo polifonico, delle aspirazioni degli uomini piú liberi di tutto il mondo. E poiché le parole, monete tarlate di un mondo tarlato dalla retorica dei servi padroni, sono sorde a riempirsi dell’empito della coscienza dell’uomo libero, il mio essere più profondo si alimenta della sua stessa passione, momentaneamente circoscritta a troppo pochi individui, schivando di servirsi, in un mondo di larve vaneggianti in una prigione di nebbia, delle stesse parole che questa prigione servono a infittire e a rendere piú pestilenzialmente nauseabonda.

Avanti!, ediz. piemontese, 25 maggio 1917, «Sotto la Mole»

Appuntamento a Messina

Leggo i giornali di Messina, leggo le mail, i commenti di chi non si capacita per l’offesa subìta da me e chi invece tenta di avanzare qualche dubbio, mettere le colpe in fila, e curare il senso logico delle nostre azioni, conservare la memoria delle responsabilità anziché i luoghi comuni.
Noto anche un assembramento delle Autorità verso i vari uffici legali istituzionali, la chiamata alle armi, la difesa dell’onore. Tutto questo affanno per me?
Messina, i cittadini di Messina, hanno ricevuto le mie scuse, doverose e utili, perché hanno percepito una insopportabile offesa alla loro dignità il giudizio da me pronunciato che era evidentemente diretto a chi quella dignità di cittadini e uomini liberi aveva calpestato per decenni.
Un paradosso questo rovesciamento di ruoli, il sintomo che la televisione ha imposto definitivamente alla società il suo format: esiste solo quel che viene ripreso dalla telecamera. Esiste l’offesa alla città perché io, davanti alla telecamera, ho pronunciato, sbagliando, la parola “cloaca”.
Non esiste, giacché la telecamera non l’ha inquadrato, lo spreco di soldi, di intelligenze del futuro e dell’anima di Messina.
Non esiste la cooptazione, non esiste la collusione, non esiste l’inquinamento del malaffare. Anzi, non esistono gli affari a Messina.
Sono convinto che ogni vicenda, anche poco gradevole come questa per me, possa fruttare considerazioni utili a una consapevolezza matura. E’ il motivo per cui ho accettato l’invito che alcuni amici mi hanno rivolto di essere presto a Messina per un dibattito libero e aperto a tutti.
E’ giusto che sia lì, ed è opportuno che parli ancora e spieghi ancora. Ma, sinceramente, sarebbe da ridere se ci fossi soltanto io.

Le mie parole su Messina e Reggio Calabria

La settimana scorsa sono stato invitato a Exit, il programma di La7. Chiamato a discutere dei problemi e del malgoverno che l’Italia patisce ogni volta che deve fronteggiare una grande catastrofe. La catastrofe impone l’emergenza e il senso dell’emergenza viene inteso come una grande opportunità. L’emergenza, io dico, è una fabbrica di soldi.
Il discorso verteva sulla quantità di denari necessari a far fronte al disastro abruzzese. Se è una priorità la ricostruzione, ritenevo e naturalmente ritengo che essa debba essere affrontata redigendo un nuovo programma di opere pubbliche e rimodulando la lista delle priorità. Ad esempio cassando, almeno per il momento, la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Un ponte che a me sembra più raccogliere l’esigenza del potere di illustrare, a prescindere, le sue grandi gesta che un’opportunità per le popolazioni residenti. Ho aggiunto: due piloni che affondano in due cloache di città.
La parola cloaca è stata intesa, soprattutto dai messinesi, come un’offesa gratuita alla dignità, all’onore, alla cultura di chi abita quella città. Mi sono giunte decine di mail indignate, profondamente e crudamente critiche nei mie confronti. Alle parole i fatti: l’associazione dei consumatori mi richiede 50 milioni di euro per fronteggiare l’offesa e risarcire il danno patito. Il presidente del consiglio comunale, a quanto leggo, si è messo in contatto con il suo collega di Reggio Calabria e ha chiesto all’ufficio legale di vagliare tutte le utili strade per chiedermi conto giudiziariamente di ciò che ho affermato.
Questa è la premessa.Continue reading