Il dovere della trasparenza

È il sapore acre della rappresaglia. È la manifesta volontà di rispondere all’inchiesta della magistratura con la più minacciosa delle ritorsioni possibili. Chiudere l’Ilva a Taranto significa non solo mandare nella disperazione cinquemila famiglie, ma mettere i lucchetti ad altri cinque stabilimenti in Italia e provocare, alla vigilia di Natale, il più acuto dei conflitti sociali. La famiglia Riva chiude i cancelli dopo la pubblicazione dei faldoni che raccontano le collusioni e connivenze di cui hanno goduto. Sputare sulla verità, piegarla quotidianamente agli interessi di chi da quel veleno ha tratto milioni di euro di profitti, sembra sia stato il compito dell’azienda, aiutata da una fetta del mondo sindacale, da una parte del giornalismo e naturalmente dalla politica. I Riva hanno sempre goduto di vasti appoggi. E spesso, benché lontani dal mondo romano, hanno trovato ascolto le loro perorazioni, le richieste continue alla diluizione nel tempo delle minime, essenziali opere di messa in sicurezza del lavoro di migliaia di operai e della tutela della salute di una intera città. Era questo il sistema Taranto. E oggi cosa dice Pier Luigi Bersani, cosa pensa di dire davanti a questa crisi di legalità se egli stesso si trova a essere il destinatario di un dono, pari a 98 mila euro, che i Riva hanno sottoscritto in favore della sua campagna elettorale del 2006? Non serve a molto aggiungere che il patron dell’Ilva ha naturalmente garantito un assegno (ben più cospicuo: 245 mila euro) a Forza Italia. E che le due donazioni erano legittime e previste dalla legge e tutte documentate. La vicenda è purtroppo una bomba che torna a scoppiare nelle mani del segretario del Pd e proprio mentre è impegnato nella decisiva battaglia per la leadership del centrosinistra. È una questione irrisolta, una domanda inevasa: può un dirigente di sinistra e riformista accettare un sostegno economico da un imprenditore discusso senza essere coinvolto (e un po’ travolto) dal destino di costui? L’inchiesta oggi rivela che un secondo candidato alle primarie, il governatore della Puglia, Nichi Vendola, ha elargito simpatie quantomeno inopportune e disponibilità irrituali. Bersani, prima di illustrare quali sono stati (se ci sono stati) rapporti e richieste dei Riva, dovrebbe restituire al mittente con un tardivo, ma necessario atto riparatore, la somma ricevuta. E Vendola spiegare più approfonditamente se le sue telefonate con i dirigenti dell’Ilva, e le premure e le rassicurazioni, hanno avuto seguito. E se il tono delle sue conversazioni private sia plausibile. Oggi chiede a Bersani di dire parole che emanino “un profumo di sinistra”. Gli chiediamo: quale profumo e quale sinistra?

da: Il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2012

Il sociologo Giuseppe De Rita “Siamo senza talento, anche per il crimine”

Siamo una società di coriandoli. Linguette di carta che volano ciascuna per suo conto e si disperdono senza mai ritrovarsi. Una società di pesi piuma, senza grandi talenti, senza molti pensieri”.
Addormentati.
“Manca il conflitto sociale”.
Purtroppo o per fortuna?
“Il conflitto esibisce un pensiero, garantisce una riflessione, muove intelligenze, cambia la società. Il conflitto è benefico”.
Non c’è conflitto, ma c’è violenza.
“No, neanche questo è vero. La suggestione è frutto di una rifrazione mediatica, quasi un effetto ottico. Episodi singoli, onde emotive, sprazzi violenti in una società piuttosto vecchia e stanca, che ha corso troppo ed è ancora relativamente agiata”. Le squadracce naziskin che puntano il coltello alla gola dei tifosi inglesi, la crudeltà delle parole che conducono al suicidio un ragazzino, la guerriglia per strada e i manganelli che la polizia esibisce nelle piazze, la criminalità organizzata che domina fette intere di territorio. Tutto insieme e tutto oggi. Troppo, e tanto da far paura. Giuseppe De Rita, che studia l’Italia con la cura e la precisione di un entomologo, invita a non esagerare. Conosce ogni sbuffo del Paese, i mal di pancia, gli sguardi rabbiosi e quelli indolenti. A volte lo vezzeggia come fosse un fanciullino, altre, ed è questo caso, lo stordisce con un ceffone sonoro. “La violenza può essere un effetto collaterale di un conflitto sociale, di una crepa che si manifesta nella società, e di un pensiero organizzato che si contrappone a un altro. Col Sessantotto è nata l’Italia nuova, le piccole aziende, i grandi numeri del sommerso. Quello era un conflitto autentico. La storia patria dell’ultimo cinquantennio è figlia di quel conflitto. Oggi purtroppo non è così. Ignava quando non pigra, non conosce che la solitudine. Questi sono picchi di rabbia, piccole onde isolate”.Continue reading

Liberazione da Monti con un applauso. La politica lo sfratta

NAPOLITANO INDICA AI PARTITI IL PREMIER PER IL FUTURO. IL PD FRANCESCHINI IN AULA DICE “BASTA” E SCATTA L’OVAZIONE DELL’EMICICLO

Basta con la rappresentazione dei tecnici bravi e dei politici somari!” (Applausi dall’emiciclo, vivi complimenti). “Con le elezioni finirà la transizione e sarà una bella giornata per la democrazia!” (applausi ripetuti). “Basta tecnici, la sovranità appartiene al popolo e non alle cancellerie straniere, ai mercati finanziari!”. Un uragano, feste e abbracci, mani che si contorcono e volti che si illuminano e che soddisfazione, che bravo questo Franceschini. Diamine se ci voleva! Una felicità tonda nei corpi dei deputati, il sapore al miele della penitenza conclusa e il piacere grasso di dirglielo in faccia a Mario Monti e ai suoi tecnici: tra poco andrete a casa. Grazie. È il discorso della liberazione dei partiti dai professori. Questo giovedì 22 novembre, giorno di santa Cecilia, è destinato ad essere ricordato per le baionette infilate nelle cravatte dei ministri dai quali hanno sofferto ogni mortificazione. Ieri la giubilazione, e quella gioia di vedere finito il buio, sono sorrisi e non più lacrime. Il commiato è stata opera del Partito democratico che per bocca del suo capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, ha formalizzato il divorzio. Con una standing ovation Montecitorio manda così il governo tecnico fuori dai piedi. Al gran completo l’esecutivo ha assaggiato quel che gli aspetta: “La sovranità appartiene al popolo e non alle cancellerie straniere” ha detto Franceschini quando il fragore ha coperto le altre parole e i volti, distesi e sorridenti dei colleghi, lo hanno accompagnato nel Transatlantico. Parola al popolo, già. Continue reading

Intervista a Giovanni Sartori. La giostra elettorale: “Un Porcellum li ammazzerà”

C’è sempre un Porcellum più porcellum in fondo alla via. La devianza in politica è virtù e il professor Giovanni Sartori, esperto di sistemi elettorali, rassegna un breve referto sui protagonisti della contesa. “Bisogna che io e lei ci mettiamo d’accordo su un punto: con quanti mi vuol far litigare?”.
Penso al minimo, al necessario. Però confido nella sua tradizionale generosità.
Ho la febbre e sono particolarmente debilitato, quindi indifeso.
Bastano poche parole su Calderoli, teorico della porcata e ora regista del prosieguo.
Mi sembra dimagrito. Lo ricordavo cicciotto, rotondetto.
Faceva più impressione col bermuda però.
Persona attiva e tenace, e (aggiungerei) anche intelligente. Potessi, lo imbarcherei subito su un aereo per la Papuasia con l’obbligo di rientrare in Italia dopo almeno cinque anni di residenza ininterrotta in quel lontano lembo di terra. Se la goda la Papuasia.
Resiste una simpatia col vecchio Calderoni.
Altro che! La medesima che mi impone di dire a Bersani: vergognati, stai difendendo una legge orribile per i tuoi meschini calcoli. Pensi ai profitti immediati, ma questa è idea da basso Impero. Se è schifosa, quella cosa resta schifosa. E hai tempo di cambiarla anche adesso, se è decisivo per la democrazia.Continue reading

Cisl in carriera

La Cisl non sostiene nessuno in politica, fa solo delle riflessioni”. Se si avesse un po’ di rispetto per l’intelligenza e un minimo di compassione verso la verità, una frase come questa – immediatamente dopo averla pensata – verrebbe ricacciata in gola. Ma Raffaele Bonanni non ha riguardo della realtà e, come si trovasse nel bosco delle fate incantate, annienta il vero e lo sostituisce col fantastico. Nel tempo della crisi meglio la comica: una risatina e tutto passa via! Incombe sulla Cisl (e vedremo poi in quale forme sulle altre sigle sindacali) un mostruoso conflitto di interessi che si espande nel silenzio assoluto dell’informazione, nell’indifferenza totale delle istituzioni. Come se la questione che ha appassionato e diviso l’Italia nell’età di Berlusconi non fosse un grande tema della nostra democrazia così fragile e dismessa ma un elemento indiscutibile e unico, non più ripetibile, di polemica e di contrasto ai mille interessi che gravitavano intorno all’ex premier. Scomparso, si fa per dire, lui, scompare il problema.Continue reading

Nord-est, dalle urla leghiste ai grillini muti

Padova
Sono fragili come bicchieri di carta. Samuele Zanin ha 34 anni, vive a Piazzola sul Brenta, fa l’operaio metalmeccanico, e forse sarà candidato dei Cinque stelle di Padova: “Ho questo problema: se accetto l’intervista rischio di squilibrare a mio favore la competizione interna, non vorrei esagerare”. E per non esagerare Loris De Poli, da Cittadella, ha diramato sul Google group la presenza del giornalista a Padova, con l’invito ai militanti a presentarsi, se ne avessero avuto voglia, al caffè Pedrocchi intorno alle 13. Risultato: nessuno è riuscito a districarsi tra gli impegni. Zero attivisti. Amen. Il Veneto che sta dicendo addio alla Lega si apre, invece, come i melograni in autunno a questi nuovi politici svezzati dal web e venuti fuori oltre ogni logica, eccentrici rispetto al corso naturale degli eventi. Samuele era un cittadino dai diritti atrofizzati, non ha mai saputo cosa farsene del voto, non gli piacevano i partiti, non aveva per lui senso nemmeno fischiarli. Per lui il mondo era un altro: “Annullavo la scheda, mi dicevo che non era cosa. Fin quando non è arrivato lui”. “Io invece votavo alternativamente per destra e sinistra. Un po’ a casaccio, alla rinfusa, tentando strade nuove e mai ricevendo soddisfazioni”, dice Loris. L’apparizione di Beppe Grillo li trasforma in perfetti soldatini civici, attivisti a cinque stelle, pieni di premure per le regole che certo non hanno contribuito a scrivere, ma che sono entusiasti di rispettare e venerare. Questi ragazzi sembrano monadi di Leibniz. La democrazia dei singoli, il voto dei singoli, l’universo fatto di singoli. Ciascuno coltiva il suo e a ciascuno deve interessare il suo: legati alla parte, perché il tutto è questione delegata a Grillo e a Gianroberto Casaleggio, allo staff che governa il Movimento, accumula i certificati di buona condotta, le brevi biografie che selezionano i candidabili, i promossi alla vita pubblica. “Io parlo di Piazzola, di Padova non so”, dice Samuele.Continue reading

Quei sette attivisti di cinque stelle a caccia del Molise

IL LEADER È UN INGEGNERE DISOCCUPATO
SI CHIAMA ANTONIO FEDERICO, POI CI SONO IMPRENDITORI, STUDENTI E IMPIEGATI

Si presentano in sette, appuntamento sulle panchine di marmo della villa comunale di Campobasso. Non fa freddo e per fortuna non piove. “Se vogliamo abbattere i costi della politica dobbiamo ridurre anche l’essenziale: quindi niente sede, chi la pagherebbe? Utilizziamo il marciapiede, le piazze, le aiuole, i vicoli quando non siamo al computer. E se proprio serve, gli spazi pubblici al coperto. Una soluzione comunque la troviamo sempre”. Due studenti universitari, due impiegati, una ricercatrice, un imprenditore, un disoccupato. Dei 60 militanti cinquestelle molisani, questi fantastici sette, tutti con marchio registrato, rappresentano i tre meet-up (circoli internettiani in cui si ritrovano e discutono) attivi.
IL DISOCCUPATO è il leader. Trentaduenne, ingegnere, Antonio Federico è stato candidato alle scorse regionali e probabile ricandidato alle prossime. Già, il Molise è la regione più piccola d’Italia ma anche la più sgangherata, sprecona e clientelare. Continue reading

La metamorfosi tecnica: così Monti divenne sistema

È L’UNO E IL SUO OPPOSTO, PROF ECCELLENTE E CAMPIONE DELL’ANTIPOLITICA

TEORICO DEL VOTO INUTILE CHE EVOCA PATRIMONIALI: DOPO DI LUI C’È SOLO LUI


In gioco non è la democrazia ma l’oligarchia. Servono davvero le elezioni? Tra qualche settimana la domanda acquisterà un senso finalmente compiuto. E la televisione ne parlerà, sicuro che ne parlerà, i talk-show saranno zeppi di inchieste tra la gente (la ggente!), e quindi anche i giornali seguiranno. Opinioni, commenti, contributi. Lui è lì, né a destra né a sinistra, ma in alto. Sa che non c’è scelta: o lui o lui. Non è il destino di un uomo in gioco, e le sue aspirazioni legittime, ma quello dell’Italia. O lasciamo lui al potere oppure siamo fritti. O Mario Monti o lo sfacelo. Per la prima volta la democrazia si autocensura, il pensiero si autolimita, non espande né innova. Non cerca dubbi ma rassicurazioni. Resta davvero?Continue reading

Così Monti divenne senatore e commissariò la politica

9 NOVEMBRE 2011: UN ANNO FA NAPOLITANO INSIGNIVA IL PROFESSORE DEL LATICLAVIO, PREPARANDO LA SUCCESSIONE “TECNICA” A BERLUSCONI
Anche l’anno scorso c’era il sole di ieri, caldo a mezzogiorno malgrado novembre. Il 9 novembre di un anno fa Roma è tiepida e assediata dall’ansia. Dal Quirinale quella sera arriva la mossa del cavallo. L’Ansa batte la notizia flash con le rituali stellette dell’emergenza: il professor Mario Monti, presidente della Bocconi, è stato nominato senatore a vita. Sono le 19:22 e passa un’ora per un primo commento ispirato dal Colle: l’ipotesi che la nomina a senatore contenga in sé l’annuncio che Monti guiderà un governo tecnico è pura fantasia. “Fantasticherie”, fanno scrivere. La politica è un’arte che ha bisogno della simulazione come il bambino in fasce del biberon. Quel giorno a quell’ora Giorgio Napolitano forse non poteva dire altrimenti. Ma Bossi, una settimana prima, avrebbe potuto evitarsi la pernacchia, una lunga e un po’ sfiatata pernacchia con la quale aveva liquidato il licenziamento prossimo venturo di Silvio Berlusconi? SIMUL stabunt e infatti simul cadent. Umberto è tramortito e Silvio – livido e disperato – giunge alla Camera l’8 di novembre, dove consegna lo scettro del potere. Conta i voti che gli mancano per stare ancora a galla, reggere tra i tradimenti dei più, sostenersi con le acquisizioni, tutte a titolo onerose, dei cosiddetti responsabili: un gruppetto di deputati che offre servigi.Continue reading

Di Pietro: padre padrone cade insieme a Berlusconi

 

Mettiamo da parte le case, i terreni, i fienili e il grano in senso proprio e figurato di Antonio Di Pietro. Ha titoli per difendere la legittimità dei suoi acquisti e documenti per attestarne la liceità. Fa bene ad esibirli fin nelle più intestine descrizioni e siamo dunque d’accordo con lui: il partito non è una privata abitazione. Forse non se n’è accorto, ma in quest’ultima settimana Di Pietro ha chiuso il partito, somministrandogli l’estrema unzione, e poi l’ha riaperto, decretandone la resurrezione, proprio come fosse la sua porticina di casa. Lunedì Italia dei Valori era morta, mercoledì il leader viaggiava, su proposta di Grillo, verso il Quirinale, giovedì era pronto un altro logo e forse un altro movimento dal nome impressionista (“Basta!”), ieri è invece ritornato sia il gabbiano che la sigla Idv, il partito è risorto e già gode di ritrovata ottima salute. Quel che Di Pietro non ha percepito è la deflagrazione della sua leadership per come si è espressa in questi anni. Il potere assoluto sul movimento e l’insindacabilità delle scelte, anche quelle più misteriose e confuse, degli uomini ai quali era chiesto di issare il vessillo della legalità, fondava sul presupposto dell’emergenza democratica, nella ribellione alla tirannide berlusconiana, nel contrasto alla quotidiana devianza dalle regole, dai doveri e dal diritto. È stata una battaglia campale nella quale il dipietrismo si è fatto carne e spirito, è divenuto linguaggio sempre più comune, intendimento che ha raccolto consensi via via più vasti, dispiegando una non trascurabile forza attrattiva.Continue reading