La domanda dei Democratici: “Ma siamo più coglioni degli altri?”

IL PARTITO TRAMORTITO E LE LACRIME DI COCCODRILLO SULLE LARGHE INTESE

Si arriva al nodo dei nodi e Francesco Sanna, sardo d’azione per via del carattere votato al fare qui e ora pone sul tappeto la domanda centrale: “Siamo più coglioni di quegli altri? Siamo noi i più coglioni di tutti?”. È una bella questione che vale un viaggio dentro palazzo Madama. Infilato nel vicolo della paura il volto di Nicola Latorre, splendido dalemiano dalle larghe vedute, benché sicuro e convinto della linea lievissimamente teme che la furbizia, quando raggiunge un suo apice grossolano e presuntuoso, si trasformi in una devianza dell’intelligenza e che il sapore di questa avventura prenda presto il senso della fregatura. “Avverto nella pancia qualcosa, rimugino e ripenso. Hai voglia tu se non lo faccio! Ma ha senso prendersi paura? La verità è che è saltata la democrazia, è in crisi il concetto di rappresentanza, il vincolo ideologico, l’appartenenza. Dobbiamo saperlo e interrogarci prima che sia troppo tardi”. Come sapete lo scaltro Latorre non ha mai la cravatta fuori posto e benché scosso anche oggi ha il volto presente all’obbligo di giornata: molto istituzionale. Il Senato è un vascello di seconda classe, si arriva con i bagagli già ammaccati dal viaggio iniziato. Dopo le prime quindici ore di responsabilità l’esecutivo di servizio alla nazione ha fatto salire a bordo la prima polemichetta: che fare dell’Imu? Annuncio poi precisazione, poi ri-precisazione. Perciò qui il clima è marcatamente rilassato, si naviga utilmente a vista ed è tutto nel solco immortale della Democrazia cristiana. Infatti ci si arrende alla maestà della riflessione di Riccardo Villari: “Corpi che vagano, compreso il mio. Si potrebbe chiudere il palazzo e destinarlo a museo. Non cambierebbe niente. Qua si registra il già avvenuto, il già visto. Siamo notai certificatori, troppi e quindi inutili”. Lei è perfetto per un posto da sottosegretario allora: “Non chiedo niente, sarà la provvidenza a incaricarsi del caso”.

SI VEDE che è tempo democristiano, c’è un ritmo antico della giornata che non può desiderare altro che la pennichella. Niente a che vedere con l’adrenalina berlusconiana che riempiva i corridoi di urla e spintoni, e squadre di parlamentari contrapposte e veramente belligeranti. Oggi no. La maggioranza è tranquilla e si disperde verso il prosciutto e la mozzarella, il piatto freddo alla buvette. Allo sguardo resiste una macchia rossastra, il nugolo dei militi ignoti del Pd, dei caduti in battaglia, dei vinti che in lacrime si uniscono alla gioia dei vincitori. Persino Dario Franceschini, che è stato nominato ministro e vive una rinnovata felicità, ha qualcosa che non gli torna: “Ci penso anch’io, eccome se mi rode. Ma è uno stato di necessità. Non vede?”. Gli rode, è insoddisfatto ma continua, forse la situazione migliorerà. Ci vuole stomaco, fede, molto ottimismo. Lucrezia Ricchiuti, cooptata dal mondo dell’antimafia, espressa dalle viscere di Libera, la creatura di Don Ciotti, non ce la fa. Lei no. La paura ha già fatto novanta e ha già messo all’angolo Pippo Civati e Davide Mattiello. Troppo sprovveduti, disarmonici, distonici, si sono arresi alla prima prova di responsabilità. Cesare Damiano si è iscritto al purgatorio: ha votato col naso chiuso. Ma guardare il volto terreo di Felice Casson è la dimostrazione che la pena dev’essere infinita. Gli si stringono intorno e qualcuno appoggia la mano sulla spalla per incoraggiarlo. In fondo c’è Enrico Letta laggiù, è un amico, in fondo è del Pd. Ma gli occhi suoi, e siamo nella sfortuna più grande, cadono sul sorriso efferato di Gasparri, e la compostezza ritrovata di Silvio Berlusconi che si gode dal suo banco la performance di Schifani, il capogruppo: “Lei, onorevole Berlusconi ha dato prova di essere uno statista”. Lui ha fatto cenno con la testa e ringraziato degli applausi. “Siamo morti, sono fuori strada quelli del Pd”.
LA PATTUGLIETTA dei socialisti capitanati da Riccardo Nencini (sono tre), si ritrova nell’arsura alla fontanella del bar. Acqua per tutti e orazione funebre: “Bersani ha sbagliato tutto e la sinistra sta scivolando verso il nulla, ci stiamo annientando e siamo stati dei coglioni grandi così”. Marco Di Lello ha risposto all’interrogativo di Sanna sul chi ha fregato chi. Teniamoci su e non pensiamoci: “È un partito nato sbagliato, il concetto di inclusione ha annacquato le differenze, sostituito la passione, chiamati tutti a volgere lo sguardo verso l’obiettivo più breve, l’approdo quotidiano. Dobbiamo sbrigarci a capire che così non si va lontano e al congresso bisogna parlarne”. Il congresso? Gianni Cuperlo pensa che il congresso salverà l’anima dei peccatori. Ma qui è un popolo del peccato, e a squadrarlo appare nient’affatto pentito. Vedere Rosy Bindi stralunata, immobile dentro il corso dei corpi che si accingevano a dare la fiducia e lei, con un sospiro: “Io non ce la faccio”. Ce l’ha fatta, alla fine si è data un pizzicotto come Cesare Damiano e anche la Laura Puppato. Lei e lui, Corradino Mineo, che avrebbe voluto meglio precisare le ragioni del suo distinguo, intervenendo in aula. “Mi dispiace ma devo interromperla, il tempo a sua disposizione è terminato”, ha detto Grasso, il presidente, inflessibile. E tutto è finito. Il governo di Enrico Letta, sono Davide contro Golia ha detto, ha salutato festoso ed è partito per la valle di Giosafat.

da: Il Fatto Quotidiano, 1° maggio 2013

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1 Comment

  1. aiuto non riesco a capire gli avvenimenti tanta la velocità no regime autoritario

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