La sconfitta di Matteo mister Improvvisatore

NON HA I NUMERI PER INCIDERE IN PARLAMENTO E ANCHE I SUOI SI SENTONO ABBANDONATI. LUI: “NON MOLLO”
Corre, sorride, abbraccia. Spiega mentre pensa, decide mentre parla da virtuoso del pensiero mobile, istantaneo, fulminante. Ieri Matteo Renzi, mister Improvvisatore, era irrintracciabile al telefonino e i suoi senatori, costretti a dire sì o no alla difesa di Angelino Alfano, si sono visti persi e come gattini ciechi hanno chinato la testa e accolto l’altolà di Guglielmo Epifani. Non sapevano cos’altro fare, e tutti insieme hanno convenuto che sarebbe stato meglio attendere l’apparizione del leader in tv. “Fossimo meglio organizzati, sbaraccheremmo il ceto dirigente del Pd in due giorni. Ma si va avanti un po’ così, senza un piano, un coordinamento, un pensiero condiviso. Si fa quel che dice Matteo se si riesce a sapere da lui cosa vuole. Altrimenti si procede come stasera, e le figuracce sono assicurate. Speriamo che Matteo in tv ci riscatti con un colpo di teatro. Lui li sa fare”. Così l’anonimo parlamentare (la cautela è principio costituente della politica).
SPERIAMOLO TUTTI. Le doti di Renzi sono infatti indiscusse ma il tempo che scorre è una corda stretta al collo e rivela in lui il vizio primordiale di affrontare anche le questioni capitali con spavalda superficialità. In lui è chiaro il dopo, quel che vorrebbe fare. Resta invece nell’oscurità tutto quel che dovrebbe capitare prima. “Matteo è un leader affermato e indiscutibile, la sua ambizione è legittima, coerente. C’è un popolo che lo aspetta. Sa che la sua forza non può prescindere dalla rappresentanza del partito. È un passo importante, e se deciderà di ufficializzare la sua candidatura alla segreteria è solo perché è consapevole della necessità di questo passo”. Dario Nardella, suo vice a Firenze e oggi deputato, ha in mente cosa accadde a Romano Prodi: “La sua forza declinò quando il partito gli si mostrò estraneo e anzi ostile. Non si può pensare che qualcuno voglia fare il bis”. Renzi ufficializzerà la sua candidatura appena Epifani indicherà la data del congresso. Succederà presto? Anche qui: dovrebbe accadere entro la fine del mese. Prendere la segreteria, far saltare il governo e correre alle elezioni nella prossima primavera. “Il piano di Matteo è questo”, dicono a Firenze. E Matteo sarebbe felice due volte perchè risolverebbe anche la successione nella sua città. Molti si agitano, moltissimi ci sperano, lui deciderà. Il talento lo costringe, magari oltre le proprie intenzioni, ad ascoltare incessantemente sé stesso. La corte, che col tempo si è allungata fino a includere eroi della transumanza come il sindaco agrigentino Zambuto, un campione del passo e trapasso (Pdl, poi Udc, adesso Pd versione Renzi), in effetti è ridotta a poche unità di azione. Per le questioni casalinghe il fidato Luca Lotti, un perfetto smistatore, capo di segreteria, propulsore organizzativo. Non troppo di più. Per le relazioni internazionali Marco Carrai, virtuoso del capitalismo di relazione. Mediobanca, Intesa, Bazoli: quelli che contano e hanno i soldi. Gli sta preparando la trasferta americana, gli ha fissato quella francese. Lo aiuta tanto, e si vede. Per il suo tramite passa anche il filo di simpatia che lega il reuccio fiorentino a Lorenzo Bini Smaghi, il possibile futuro ministro dell’Economia. Il resto è l’appendice di un cir-cuito chiuso: Simona Bonafè e Milena Boschi, neodeputate e intime, fanno da porta parola. È un cerchietto magico, agile, contiguo.
MATTEO SOFFRE le personalità avanzate. Quando ha notato il volto di Giorgio Gori dietro il proprio, raffigurato nel ruolo di regista, pianificatore, espositore universale del pensiero renziano, ha fatto in modo di recidere il rapporto. Gori, abbandonata la tv, si è ritrovato incolpato di eccesso di influenza e perciò defenestrato. Ora è scomparso ai radar. Pare che voglia candidarsi a sindaco di Bergamo. Buona fortuna. “Matteo è il perfetto solista, leader di un partito che deve trasformarsi in un comitato elettorale. Non avere identità netta, una storia radicata, degli interessi da tutelare e degli altri da colpire. Lui è l’emblema di questa vaporizzazione della politica, mediatore degli opposti, molto fashion. Di quelli che parlano e danno a tutti un po’ di ragione”. Così la pensa Andrea Barducci, presidente della provincia di Firenze. Lo conosce così bene che, potesse, lo farebbe cadere dalla torre. “Dobbiamo trovare un altro modo di fare: pensare prima di agire, avere un’idea, un piano. Non sfidare la sorte, avanzare al buio. I fuochi d’artificio sono belli da vedere però durano poco. E quando finiscono che si fa?”. Così Claudio Fantoni, che si è dimesso da assessore al Bilancio in polemica col sindaco parolaio. Ma questa è la piccola bottega fiorentina, la parte minoritaria che accusa invece di sostenere Matteo. Che pensa in grande e intanto parla. Ieri era da Enrico Mentana. Almeno altri dieci lanci di agenzia (“Ho i voti”, “Non mollo”). Che si sommano ai 4357 che la sola Ansa (le ha contate ieri Gian Antonio Stella sul Corriere) ha mandato in rete. Parlare prima di tutto. Un talento improvvisa sempre, altrimenti che talento sarebbe?
da: Il Fatto Quotidiano, 19 luglio 2013

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