I 101 che fecero fuori Bersani

E PURE PRODI. L’EX SEGRETARIO: “IN AZIONE UNA SALA MACCHINE”. I RICORDI DI ALCUNI NOTABILI DEMOCRATICI
Ci fu una regia, più mani che insieme costruirono una “sala macchine”nella quale si congegnò l’ordigno per far fuori Romano Prodi dal Quirinale e Pierluigi Bersani dal Pd. Con quel che ne è seguito e che nel disegno era evidentemente pianificato: la richiesta di un supplemento di presidenza a Giorgio Napolitano e la cooptazione di Silvio Berlusconi al governo, il timbro del nuovo corso, delle grandi intese, della “cooperazione” tra gli opposti per la salvezza del Paese. C’è un po’da sussultare nella verità che Bersani, il protagonista sconfitto, elargisce, facendosi cadere le parole dalla tasca, sul finire di un’intervista a Repubblica. Parla di questa sala, e offre limpida l’immagine cruenta di un putsch, un complotto per cambiare il corso della storia, sovvertire, con un accordo segreto, la linea ufficiale. È dentro il Pd che bisogna indagare, andare ancora più a fondo, sembra dire Bersani, verificare fino a che punto si sia spinta l’intelligenza col nemico, i dettagli dell’accordo, la stesura del compromesso.
E IL PATTO con Berlusconi e qui il passato oramai conosciuto proietta la sua ombra equivoca sul presente contiene forse anche quella garanzia di comprensione rispetto ai guai giudiziari, alle sentenze che si accavallano e alla pena che l’aspetta? Il passato ritorna e già il prossimo 9 settembre, giorno di riunione della Giunta per le elezioni, avremo modo di capire se quella sala macchine è ancora in funzione. E anche se non si stia preparando, seguendo i fili confusi di un disegno non ancora scoperto, una reazione, una resistenza armata, dentro il Pd, alchine? Cospirazione? Ogni segretario sconfitto tende ad assolvere il suo operato. Lo sbandamento che seguì dalle ripetute sconfitte sul campo, ricordiamoci la infausta trattativa con Beppe Grillo, provocò uno smottamento, questo è vero. Son cose che hanno fatto male al partito, ma non è verità di oggi”. Choc, confusione, caos in un partito mal guidato. Nico Stumpo, controllore delle tessere e rel’accordo di pace fatto siglare da Napolitano. Torniamo a quei giorni e sollecitiamo la memoria di chi li ha vissuti da protagonista sull’una e l’altra sponda del Partito democratico. Miguel Gotor legava ogni suo passo a quello di Bersani: “Ricordo il gelo, il silenzio attorno a noi. Percepivo in quella rarefazione di rapporti interni qualcosa di più che una presa di distanza. Se Bersani parla di sala macchine ha sicuramente elementi maggiori per meglio definire la mia impressione. È indubitabile che qualcosa si sia mosso contro di noi”. Alt. Qui Nicola Latorre ha un ricordo esattamente opposto: “I gruppi dirigenti non si riunivano e le decisioni erano prese in grande solitudine, un cerchio ristretto di persone che centellinavano ogni informazione. Sala macsponsabile dell’organizzazione, un vicino di casa del segretario disarcionato: “Il voto contro Prodi fu un colpo a freddo, questo posso dirlo. Sul resto non so, ma quel sovvertimento del pronostico fu davvero una rivelazione, una novità assoluta, uno choc vero per noi”.
QUEL VOTO di maggio porta disordine ancora oggi, e rischia di gonfiare di guai il prossimo autunno di Enrico Letta. Dice Stumpo: “Non credo alla ripicca, non penso assolutamente che esiste la possibilità di regolare i conti interni facendoli pagare a Letta. I nostri militanti patiscono ancora, e persino di più che l’allenza con Berlusconi, la scelta del Pd di non dare i voti al fondatore dell’Ulivo, al padre nobile del partito”. Ritorniamo alla sala macchine, alla cabina di regia, al complotto. C’è un fatto: poco dopo la “standing ovation” che l’Ansa registrò sul nome del leader bolognese nella riunione dei gruppi parlamentari, la Velina rossa, foglio agguerrito e informato di area dalemiana, ricordò un suo lancio del 3 aprile preannunciando decine di casi di coscienza e ostruzioni, ribaltamenti, inabissamenti. Valutò in 130 il numero dei dissidenti, definendo, come supremo oltraggio al Bersani sconfitto, in 29 (furono 101 i grandi elettori del Pd contro Prodi) il numero dei franchi tiratori alla rovescia. “Ricordo caos, assenza di linea politica, molta approssimazione del gruppo dirigente. La regia, il gruppo organizzato, sono idee fuori dalla realtà che è magari anche più tragica e sconfortante”, è il parere di Goffredo Bettini. Ma il passato trascina il presente nell’inquietudine: “Una parte dei nostri elettori condivide e comprende le larghe intese, nel mezzo tanti sono sul chi va là e poi c’è la zona degli arrabbiati, di chi ne ha le tasche piene di Berlusconi. Sono sentimenti che premono per la rottura, ed è suggestiva l’idea che in autunno si restituisca pan per focaccia, si metta in crisi il governo Letta con quel che ne consegue. Ma rimane una suggestione, per adesso non andrei oltre”, pensa Latorre. L’autunno è alle porte e la verifica se un’altra sala macchine è in procinto di ospitare operazioni di guerra contro il governo (e soprattutto il Quirinale) non si farà attendere. Davide Zoggia: “La nostra gente comprende tutto ma ci chiede una cosa sola: essere irremovibili con Silvio Berlusconi. La Costituzione va rispettata e le sentenze pure”.

da: Il Fatto Quotidiano, 30 agosto 2013

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