A VERBANIA LE DONNE HANNO PRESO IL POTERE

Verbania, trentunomila abitanti, la volle nel 1939 Benito Mussolini. È divenuta prima capoluogo di provincia (del Verbano-Cuso-Ossola dal 1992) che città (titolo ottenuto nel 2007). Ha dato i natali a Cadorna e la casa delle vacanze al grande Toscanini. Verbania adesso è diventata una città totalmente femmina. Amante del rovescio ha impresso alla politica una nota trasgressiva e dunque ha deciso, senza far torto ai maschi, che fosse di gran lunga meglio tradirli. Tanto che la sindaca, Silvia Marchionini, una sociologa quarantenne, è stata voluta dalla popolazione in municipio trascinandola dal vicino paesino di Cossogno dove lei per dieci anni (2004-2014) era stata prima cittadina.

A Cossogno hanno così liberato il posto al signor Doriano Camossi, maschio, ma è evidente che il confronto non regge. Verbania è la capitale del lago, Cossogno una briciola, un muretto con una stradina e 600 abitanti che la circondano. A Verbania poi a donna è stata aggiunta donna e così la sperequazione è persino aumentata. La sindaca ha deciso di imporre in giunta quattro femmine per i sei posti disponibili, lasciando vagare la quota celeste nel consiglio comunale che, come si sa, dopo l’elezione diretta del sindaco è divenuto un organo pieno di cipria, sonnacchioso, spesso nullafacente.

Silvia invece, e con lei le assessore Marinella, Laura, Monica e Cinzia, si sono impossessate del governo, della cassa e di tutto il resto. Rosa chiama rosa e infatti nella città delle donne è stato istituito il premio letterario “Verbania for women”, ed è donna la garante comunale dei detenuti, il cui numero non conosciamo ma sembrerebbe significativo, e la rappresentanza nel consiglio di amministrazione della municipalizzata Vco Formazione è ugualmente a netto vantaggio del genere femminile.

Così è, se vi pare. La legge è legge, ma qui, per fortuna, no.

Da: Il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2017

I concertini di Loguercio per il Sud che non sa di mare

canio-loguercioLA PAROLA gli esce di bocca ammaccata, come lamiera di auto che bacia un guardrail. E canta con sussulti, litanie, mezze mosse ritmate. La canzone napoletana con Canio Loguercio si trasforma, trasfigura. Tossisce, s’inquarta, erutta in una melodia di rara raffinatezza. Loguercio non è noto al grande pubblico, ma la sua chitarra e l’organetto con il quale Alessandro D’Alessandro lo accompagna compongono come nell’ultimo cofanetto (Canti Ballate e ipocondrie d’ammore) melodie originali, uniche, così spiazzanti da potersi definire insieme poetiche e triviali. I suoi li chiama “concertini d’ammore”, e sono fantastiche cantilene, misurate ninnananne, o anche rabbiose invocazioni all’amore conquistato o perduto. Canio canta una vita viva, ma feroce e una ipocondria permanente, l’ombra che ogni giorno ti insegue e ti stranisce. La sua musica è teatro, non soltanto melodia. Canio Loguercio canta il Sud che non affaccia sul mare, quel Sud che parte da Napoli e sbuca tra le montagne lucane, conosce i tratturi, le stradine della transumanza, il pianoro pugliese. È il Meridione interno, perduto tra i monti, dove i paesi boccheggiano. Loguercio è cantore di rara raffinatezza, i suoi concertini sono perle preziose che bisogna ogni volta saper cercare e poi assaggiare. Lentamente, come fosse vino d’annata.