BASILICATA: L’Eni offre miliardi e lavoro se la Lucania si beve i veleni

scheda-basilicataSoldi contro sorrisi. L’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi ha un piano per rendere il petrolio un digeribile amaro lucano. Due ma anche “tre, quattro o cinque miliardi di euro” da portare laggiù, tra la val d’Agri e il Basento, reclutare il doppio – “persino il triplo”– della forza lavoro attuale e conquistare – a suon di bigliettoni – la felicità degli indigeni, la concordia dei riottosi, la disponibilità di chi protesta. Descalzi, nuovo mister Simpatia, ieri ha annunciato la sua diretta entrata in campo, da qui a qualche settimana – ha infatti dichiarato – “ci concentreremo per investire nel consenso” sperando che la pecunia, in quantità rispettabile, serva a far fare amicizia con il petrolio e la Basilicata che ora si costerna, s’indigna e si impegna, ripercorrendo le strofe di De André (ricordate Don Raffaè?) alla fine “getta la spugna con gran dignità”.

VIVA LA SINCERITÀ. E Descalzi con la dichiarazione resa l’altroieri a Ravenna è stato esemplare: “Non investo se ogni giorno ci sono attacchi”. Enrico Mattei tracciò il solco e Descalzi opportunamente lo segue. In questo meraviglioso road show, il porta a porta lucano che a maggio impegnerà l’amministratore delegato dell’Eni, bisognerà trovare una sintesi tra le cattive notizie e quelle buone e fissare un punto d’incontro tra le paure per le 13 mila tonnellate di azoto che volteggiano nei cieli della Val d’Agri, il rinomato Texas d’Italia, e la ghiottoneria di un nuovo incubatore per imprese, tanti centri di ricerca, e sostegno alle aziende locali, alle famiglie, ai giovani studenti, alle mamme e forse anche ai nonni. Quando nelle settimane scorse l’invaso del Pertusillo, che porta l’acqua nelle case di Basilicata e Puglia, si è tinto di marrone per una enorme e improvvisa fioritura di alghe, è parso alle autorità sanitarie che nulla di sconcio fosse accaduto. Eppure l’acqua era imbevibile, il colore inquietante, e il sospetto che il petrolio fosse la causa si è fatto ogni giorno più forte, convinto, largo. I camini del Cova, il centro oli di Viaggiano, sono ubicati sopravento rispetto all’invaso che dista meno di due chilometri. E i fumi da estrazione, le migliaia di tonnellate di ossido di azoto, possono favorire l’eutrofizzazione delle acque.

Dal momento che la realtà supera la fantasia, i primi a essere posti sotto accusa sono stati i pastori e i contadini, colpevoli di concimare troppo e allagare loro di veleno le falde. Naturalmente gli accusati si sono arrabbiati e non poco, ed è stato un altro guaio per la campagna di simpatia per l’Eni. Che si è interrotta quando perfino la Regione Basilicata, sempre prudente e sempre comprensiva, ha stilato una diffida intimando la revisione di quattro serbatoi. Il fondo perde, la falla c’è, la lamiera è corrosa. Lo sversamento dei liquami è stato tale che hanno trovato idrocarburi nel terreno fino a una profondità di dieci metri, e ancora le autobotti sono impegnate a succhiare lo sporco. L’Eni si è difesa consegnando una memoria al Tar. Ma la ragione e la logica hanno voluto la loro parte. Prima l’acqua tinta di marrone, poi la notizia, anzi la formalizzazione ufficiale, dei serbatoi forati o solo difettosi o comunque non a norma. E in mezzo le continue e paurose fiammate che spaventano a morte gli abitanti di Viggiano e Grumento Nuova, i paesi che custodiscono la ricchezza e la disgrazia. E nel tempo incidenti a ripetizione. Negli anni il ritrovamento di idrocarburi nell’analisi delle acque dell’invaso del Pertusillo, e poi 3.000 litri di petrolio versati in un canale collegato al fiume Agri, o Viggiano-Taranto in Val Basento.Continue reading