Zoja: “La paranoia è sempre lo stadio finale della politica”

luigi-zojaCadute le ideologie, morti i partiti, defunta ogni possibile virtù pubblica, alla politica non resta che la paranoia. Dosi di paranoia le abbiamo tutti. Hanno l’effetto di suggerire prudenza e alimentare il dubbio verso l’altro, quel po’che ci permette di dare stima o avvertire sfiducia. Nella politica la quantità esonda e si trasforma in questione centrale. Il più grande studioso vivente della paranoia è senza dubbio il professor Luigi Zoja, psichiatra di fama e grande indagatore di questo vizio della psiche (Paranoia. La follia che fa storia. Bollati Boringhieri).

Facciamo finta che io sia un politico in ambasce, entri nel suo studio e chieda conforto alle sue virtù.

Facciamo finta.

Perché la paranoia affligge più di ogni altro l’uomo politico?

Cadute le ideologie, semplificato il messaggio (anche grazie alla responsabilità di voi giornalisti) la politica è alla continua ricerca di un capro espiatorio. Deve trovare a tutti i costi un nemico, uno da incaprettare con la colpa, con l’indice puntato.

Pure De Gasperi aveva un nemico, pure Togliatti.

Loro si difendevano con la prospettiva di un obiettivo da conseguire in un periodo di lungo termine, di progetti possenti. Di pensieri che comportavano trasformazioni epocali.

Il Sol dell’Avvenire.

Ecco, l’orizzonte nuovo.

I nostri non avendo idee sono più presi dal qui e ora.

Loro non avevano la necessità del risultato istantaneo, del titolo a effetto, della conquista del potere cotta in una sera e mangiata già il giorno dopo. Le ideologie erano una sorta di difesa naturale, restituivano al leader un clima di fiducia resistente agli spasmi quotidiani e alle variabili di umore, e lo difendeva dalle ossessioni del capro espiatorio.

Trovare a tutti i costi un nemico.

Vedevo nelle settimane scorse un dibattito alla tv tra Macron e Le Pen.

Tutti e due paranoici?

Il primo no, la seconda sì. Non c’era traccia di un pensiero ma solo di un nemico da abbattere: gli immigrati.

Sul suo lettino è adagiato il politico paranoico.

Gli direi di dosare la presenza pubblica. L’ego deve rientrare immediatamente nei limiti.

Come il colesterolo. Gli consiglia di nascondersi da qualche parte.

Dosare, non alimentare il suo narcisismo, non figurare sempre nei titoli dei giornali e nelle comparsate in televisione.

Mettiamo che il politico sia anche sfigato e perdente e in crisi di astinenza di idee. Ha bisogno di comparire.

La ricetta è questa e vale anche per il vincente.

La cura, professore.

Anzitutto un regime di vita dal punto di vista economico correlato ai vecchi standard ai quali era abituato prima di scegliere la vita pubblica.

No a vestiti firmati, auto di lusso, autisti, cene eleganti.

Capisco che la questione possa non essere dirimente con un Berlusconi.

Altre erano le sue paranoie.

Sul punto rammento un suo discorso contro i giudici esemplare.

Insomma, per chi non è ricco di famiglia lei consiglia sobrietà col portafogli.

È un equilibratore naturale. Medesima cura e attenzione va riposta nella famiglia. La vita privata deve assolutamente essere sottratta al regime del gossip, altrimenti è la fine.

Ahia. Qui iniziano le dolenti note.

Il disagio si acuisce quando il politico, già alle prese con la ricerca ossessiva del nemico, subisce un processo di isterizzazione.

Paranoico e pure isterico.

Tutti i titolisti che scrivono “l’ira di…” sappiano che concorrono ad averlo un po’ sulla coscienza.

I politici dovrebbero seguire un corso di gentilezza.

Poi esistono i grandi paranoici che danno vita a quella che chiamiamo “pseudologia fantastica”.

Vedono e illustrano un mondo parallelo, frutto della loro fantasia.

Il mondo fantastico piano piano viene sussunto in quello reale. C’è una sorta di trasmigrazione di senso e alla fine il parto della fantasia diviene ai loro occhi realtà. L’ha studiato bene Jung.

Chi era il politico indagato in quel caso?

Hitler.

Da: Il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2017