ALFABETO – MARIANO PARENTE. Il geologo: “La società ha ancora bisogno di carburante, ma è incapace di non farlo esondare”

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Precisazione

Il prof. Mariano Parente, geologo dell’università di Napoli, protagonista dell’intervista che potete leggere più in basso, ha svolto insieme al team dell’ateneo napoletano, attività di ricerca per l’ottimizzazione e lo sviluppo del giacimento di Tempa Rossa di cui è titolare Shell.
Ma Shell ha acquisito i diritti su Tempa Rossa ben prima del contratto di collaborazione con l’università di Napoli.

a.cap.
Mariano Parente accarezza le pietre, conosce il loro disporsi sotto i nostri piedi, sa esattamente le faglie come si compongono, come si fratturano, cosa nascondono, cosa patiscono. Eppure lui è il medico anestesista a cui le compagnie petrolifere si rivolgono quando hanno bisogno di perforare. Insegna Geologia del petrolio all’Università di Napoli, ateneo a cui la Shell si è rivolta quando ha deciso di investire in Lucania, a Tempa Rossa. “Naturalmente faccio parte di un team di ricerca e scovare la linfa vitale del petrolio è come procedere a una caccia al tesoro. Indichiamo alle compagnie l’area, meglio sarebbe dire il perimetro, entro cui concentrare le ricerche”.

Lei mette a disposizione il suo sapere a coloro che con le trivelle fanno profitto a danno dell’ambiente. Non è una incresciosa situazione?

Partiamo da un fatto: la nostra società, per come è organizzata, ha bisogno di carburante. L’energia verde non basta, il combustibile fossile è ancora una necessità. Se ne potrebbe fare a meno se la civiltà mondiale mutasse radicalmente stile di vita o iniziasse un percorso di decrescita. Questo è il primo assunto. Secondo: l’estrazione del petrolio è un’attività industriale che se controllata ha un minimo impatto sull’ambiente.

Le vicende lucane la smentiscono.

Non creda che sia stato contento di quel che è venuto fuori. Sto solo affermando una verità: esistono luoghi nel mondo, penso alla Norvegia, dove il petrolio non impatta clamorosamente con l’ambiente. I norvegesi si sono dotati di un’autorità statale che controlla rigorosamente i parametri di sicurezza e li fa rispettare.

Lei vorrebbe essere in Norvegia.

Io vorrei vivere in un Paese che non si facesse male da solo. Non riuscire a imporre le cautele necessarie e conosciute che grazie alla tecnologia permettono di governare il petrolio senza farlo esondare nella nostra vita quotidiana, dentro il nostro corpo e lo trasformi infine in una ossessione è un deficit civile a cui mai mi abituerò. Io so che altrove è possibile fare ciò che da noi non si fa.

E perché non si fa?Continue reading

ALFABETO – BRUNO BARBA: Pensare con i piedi serve a capire l’anima di un popolo

calciologiaIl calcio è un miracolo perché si gioca con i piedi, nel modo più innaturale possibile. La palla scivola, s’intorcina, impone di non rotolare su di lei. Perciò gli americani preferiscono gli sport che hanno nelle mani il centro di tutto: le mani sono i nostri migliori arti, precise, affidabili, sicure.

Col piede devi mostrare un talento superiore.

Restare dritto carezzando con la caviglia la palla, tenendola verso di te col tallone. Il calcio è gloria per i derelitti.

Garrincha, Maradona, Cassano, Messi sarebbero stati uomini diminuiti, ai margini.

Il loro riscatto passa attraverso uno stratagemma della fisica, è una qualità superiore del loro corpo. Infatti i migliori hanno spesso radici sociali modeste, hanno avuto infanzie difficili, percorsi di studi insufficienti, famiglie spesso inabili alla cura.

Bruno Barba, che lavora all’università di Genova, facoltà di Scienze politiche, è professore di calciologia.

Il campo riproduce l’identità nazionale, lo stile di vita, la filosofia con la quale ci esprimiamo. Giochiamo come campiamo.

L’Italia di Machiavelli.

Guarda come è stata con la Svezia. Bruttina, utilitaristica, negli ultimi minuti perfino moralmente riprovevole con quei passaggetti, quelle ostruzioni, quei bacini che si incurvavano. E felicemente furba. Cos’è il contropiede se non un fendente a viso coperto, una freccia che ti entra in corpo quando meno te l’aspetti? E quello è stato il tocco di Eder: una freccia nel cuore all’improvviso.

E la difesa, il catenaccio?

Il campo ci dice come siamo fatti noi, i nostri valori, e i nostri disvalori. Tentiamo di spendere poche energie, reagire ma non attaccare. Infatti Arrigo Sacchi, l’allenatore teorico del calcio d’attacco, del pressing incessante, a cui piace il confronto a viso aperto, è definito eretico. È fuori dai nostri canoni, e sarà sempre così.

Il colonialismo inglese.

Perfettamente riprodotto: calcio espansivo, aggressivo, che impone il ritmo. Calcio spavaldo, fisico. Attaccano da destra, da sinistra. Il gioco si espande. Sono colonialisti nell’anima.

Magari non sempre vincenti.

Magari no, ma si muovono sul rettangolo esattamente come la storia ce li rammenta. Partono dal primo minuto e corrono fino alla fine. Attaccano anche se vincono, corrono anche se hanno le gambe molli.

Per voltare pagina e andare all’arte bisogna raggiungere il Sudamerica.

I brasiliani hanno nell’Africa il loro progenitore. E col calcio ballano, danzano, fanno teatro. Futbol arte o futbol bailado. Conta esprimersi esteticamente, riuscire a stupire, carezzare la pelota, che è femmina, e condurla con i piedi lì dove nessuno mai potrebbe immaginare.

Il Brasile però vince di più quando è concreto.

Ma i loro tifosi soffrono molto di più se li vedono giocare male. La vittoria è importante, ma decisivo è dare una lezione di calcio. Non a caso la squadra che perse con noi ai mondiali dell’82 ha fatto sognare, piangere e amare molto di più dei compagni di squadra che poi avrebbero vinto. Cerezo, Zico, Falcao hanno pochi trofei in casa ma una popolarità sconfinata.

E poi c’è il melange.

L’ibrido argentino. Classe e fisico, arte e praticità, espedienti tattici fantastici e forme di gregarismo italiano. Il mix che li conduce in vetta. Un calciatore argentino, di regola, non è mai un cattivo acquisto.

Il calcio dunque è l’esatto specchio sociale, il nostro doppio che si riproduce in campo.

Non c’è altro sport che perfettamente illustri lo spirito nazionale quanto il calcio. Quando si dice: quel giocatore si è trasformato in campo, si dice una grande fesseria. Il campo è disvelatore, è il luogo in cui tu esprimi quello che sei. Non puoi essere una persona perbene se poi sugli spalti gridi sporco negro.

L’hooligan che è in noi.

È più in loro. E c’è un perché.

Inglesi e maledettamente colonialisti.

Guerrieri dallo spirito animalesco. Avanzano, debordano, conquistano, feriscono.

Calciologia.

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei.

Da: Il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2016

ALFABETO – INNOCENZO CIPOLLETTA: Il 2009 come il 1989. È caduto il muro del capitalismo

innocenzo-cipollettaLa lista degli incarichi di Innocenzo Cipolletta è lunga quanto un foglio A4. Analista, economista, direttore di Confindustria, poi presidente delle Ferrovie, ora di Ubs Italia e anche dell’Università di Trento. La lista dei suoi errori non è acclusa al curriculum.

Quanto sbagliano gli economisti? Quanti errori fanno coloro che s’impancano, giudicano, censurano, indicano la retta via?

Le previsioni si possono sbagliare, ma non bisogna fraintenderne il senso: non sono strumento per indovinare il futuro ma una griglia delle cose da fare e di come farle perché il sistema reagisca a un rischio, rintuzzi un pericolo, mostri equilibrio.

C’erano stati anche errori ciclopici sulla valutazione della dimensione della crisi del 2009…

Bisogna dire però che alcuni colleghi avevano esattamente previsto la portata della crisi, e lo hanno fatto con un anticipo sui tempi della implosione assolutamente rispettabile.

Voi somministrate medicine quotidiane per tenere vivo e vegeto il capitalismo. Mai ricordate però che questo sistema ha in sé istinti suicidi.

Ogni sistema lasciato a se stesso, messo cioè nella condizione di debordare, mostra istinti suicidi. L’economia di mercato non esiste in natura. Un complesso di leggi, di regolamenti, di azioni e provvedimenti dell’uomo fanno sì che si sviluppi con un ordine compatibile, gestibile. Il mondo si è arricchito con il capitalismo. È emersa un’area del globo, il lontano Est asiatico, che grazie al mercato è riuscita a vincere la fame. Se questa non è una conquista, se non ritiene che l’emersione di milioni di cittadini dal mondo del sottosviluppo e della fame sia una conquista di civiltà e insieme il titolo di merito più grande del nostro sistema economico…Continue reading

ALFABETO – AURELIO MUSI: A questo nostro Sud servirebbe un nuovo Masaniello

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Ci vorrebbe Masaniello per salvare il Mezzogiorno e forse l’Italia.

Lo spiega Aurelio Musi, napoletano, storico dell’età moderna e studioso di questo giovanotto della plebe partenopea, Tommaso Aniello d’Amalfi, nato in Vico Ratto del Mercato, pescivendolo di mazzamma (minutaglia, scarto del pesce), pratico di contrabbando con moglie prostituta per necessità.

Neanche su Masaniello abbiamo le idee chiare, professore?

Certo che no! Il movente populista fa sì che a ogni piè sospinto individuiamo un Masaniello ovunque si odano urla, qualunquismi, sbreghi alle leggi, fanatismi. Che il ragazzo dei vicoli di Napoli fosse il portavoce della plebe non c’è discussione, ma la sua opera qualificante, chissà perché taciuta, è di aver saputo governare le speranze non soltanto degli ultimi e degli affamati. La vera grandezza di Masaniello è di aver costruito contro la nobiltà partenopea affamatrice e schiavizzante un blocco sociale largo.

Masaniello ha cucito alleanze?

Altro che! La sua visione è stata così politicamente sapiente da aver previsto un ponte tra la plebe e gli artigiani, i disperati e la classe borghese, gli affamati e i signori con le scarpe lucide. E Masaniello il ribelle è stato così tanto sagace da non perdere mai la bussola. Il suo obiettivo era di ridurre i privilegi dei nobili, riassestare e riequilibrare una condizione di vita più accettabile per il popolo senza mai mettere in discussione la Corona.

La realpolitik di Masaniello.

Quando lo si chiama in causa si rammenti questo suo profilo istituzionale, questa moderazione e questo rispetto. Che è stata la sua forza, seguita al miracolo di un’operazione interclassista.

E perché oggi il Sud dovrebbe sognarne un altro? Continue reading

ALFABETO – VINCENZO VISCO “I giovani politici, le foglie morte del pensiero breve”

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Tra lui e la simpatia c’è la stessa distanza che separa Bolzano da Sciacca. Rideva poco quando faceva il ministro, ride poco adesso che è osservatore esterno. Non parla, mugugna. Non dichiara, sentenzia. Non spiega, garantisce. Ci sono alcune cose che non quadrano: per esempio fa pilates. Altre che invece quadrano abbastanza: “Se Renzi avesse ascoltato i miei consigli, avrebbe trovato il modo di far pagare le tasse e i soldi necessari per far respirare l’Italia e spingerla un poco più su. Ma a lui non frega niente di stanare chi evade. Non gli interessa, semplicemente e chiaramente”. Vincenzo Visco fu ministro delle Finanze di Prodi e fu Dracula per Berlusconi. Un mastino che riuscì a spillare 37 miliardi agli italiani furbetti. Il gettito aumentò del 10,3 per cento e lui: “Adesso sarebbe però pericoloso che ci mettessimo a dare i soldi in giro”.

Secondo lei questi governanti sanno di cosa parlano?

Macché, hanno la virtù del nullismo. Se sapessero cosa fare avremmo forse meno guai.

Vi hanno rottamati promettendo mare e monti.

La qualità, il talento di Renzi è la capacità affabulatoria, la micidiale scelta dei tempi con i quali si è avventato su un Pd in realtà parecchio inconsistente scaraventandogli addosso tutte le colpe, comprese quelle imputabili a Berlusconi. Si è fermato lì.

Perché si è fermato lì?

Due i motivi. Una scelta politica di conservare anziché innovare e non mettere in tensione rapporti con ceti sociali evidentemente interessanti da un punto di vista elettorale (solo così mi spiego la rinuncia a una vera lotta all’evasione), e poi la penuria di intelligenze e di competenze.

Oggi però sembra si studi più di ieri, ai nostri figli chiediamo impegno, proponiamo master, consigliamo giri del mondo.

Si studia, si studia ma poi? Non vedo profitto.

Gli economisti di Palazzo Chigi sono scarsetti?

Direi proprio di no. Ma hanno il problema dell’esperienza. Gli manca.

È come l’autista che impara a guidare mettendosi al volante senza patente. Poco alla volta, struscia di qua e struscia di là…

Diciamola tutta: la gente vede nella politica una classe inferiore.Continue reading

ALFABETO – PAUL GINSBORG: “Lo ammetto, l’Italia della Leopolda non l’avevamo prevista. Ma uno storico non è un indovino”

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Quella di Silvio Berlusconi è l’Italia peggiore che abbiamo conosciuto, oppure ce n’è un’altra ancora che si appresta a mostrarsi: silente, indolente, affamata e conformista? Paul Ginsborg è maestro di storia patria ma londinese, è cittadino di Firenze ma antirenziano, è teorico della democrazia partecipata ma diffida di Grillo, pieno di passione per la politica e pieno di delusioni dalla politica. Infervorato e militante ai tempi dei girotondi contro Silvio il Re, acquartierato nel suo studio e più defilato oggi.

“Vorrei far sentire la mia voce in difesa della Costituzione per dire no a una democrazia personalistica, autoritaria, spiccatamente familistica. La premessa non mi esime da un’ammissione: no, io non l’avevo previsto che dopo Berlusconi avremmo dovuto fronteggiare quello che a me sembrava un ragazzone voglioso di affermarsi, ambizioso certo ma nella rete dei fenomeni locali. Un sindaco di carattere e poco più”.

Voi professori non ne azzeccate una!

Non direi. Non è compito dei professori guardare la sfera magica e predire il futuro. La serietà dei nostri studi e l’impegno nella sfera pubblica sono le cose che contano. L’università è stata attraversata da un feroce ridimensionamento. Io sono andato in pensione, chi mi ha sostituito? Tagliare la cultura significa impoverire la società, assicurare al potere, di qualunque natura e colore, ancora più argine. Meno analisi critica, meno approfondimento, minore conoscenza.

Ma che tempo è quello attuale?

È un’età di inquietudine, di forte preoccupazione. Che può apparire come indifferenza, con i cittadini oramai convinti che non esista altra possibilità che rassegnarsi. Eppure nella società hanno corpo decine e decine di iniziative magari minuscole e appartate, ma sono cellule attive, orecchie pronte ad ascoltare e a muoversi. Quando si connetteranno, se si connetteranno, scopriremo un’Italia diversa da quella che noi oggi raccontiamo.

Lei è fiducioso.

Sono un po’più ottimista di lei ma non è l’ottimismo o il pessimismo che contano in questa situazione.Continue reading

ALFABETO – FRANCO CARDINI: “A noi italiani della giustizia sociale non frega nulla”

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Vogliamo dircelo? Gli italiani sono dei trasformisti nati e Matteo Renzi, che sostengo convintamente perché mi sembra svelto e sveglio, è maestro della manovra parlamentare. Mi ricorda, e non voglio scuotere la suscettibilità di alcuno, il Mussolini del 1924. È un grande manovratore e trova in Parlamento tutto ciò che desidera: le umane debolezze, i sogni di gloria, la vanità, l’interesse, perfino l’incompetenza. È una giungla dentro la quale si muove dare”.

Franco Cardini non è solo uno dei maggiori medievalisti che possiamo esibire, è anche appassionato di politica, annotatore degli usi sociali, delle private e pubbliche debolezze. È toscano ma di destra, ama la cucina, la polemica, il parlar chiaro.

Matteo, il suo amico, il re della giungla, ha appena cooptato Denis Verdini, capitano della squadra dei trasformers.

Sul punto dico questo, devo dirlo e mi spiace per Matteo. Persino per fare il portiere di condominio, aprire e chiudere il portone del palazzo e recapitare diligentemente la posta, ti richiedono i carichi pendenti. È insopportabile che solo chi governa sia svincolato da una minima misura di moralità. Mi pare un tantino esagerato, lei che dice?

Dico che ha ragione.

Ho ragione, ma agli italiani che frega? Si interessano alla politica solo sotto elezioni. E i politici promuovono le loro idee soltanto quando sono in campagna elettorale. E le loro idee, badi, sono ristrette alle alleanze. Con chi mi unisco questa volta?

Ha visto Berlusconi che scherzetto ha fatto alla Giorgia Meloni?Continue reading

ALFABETO – PIER LUIGI PETRILLO. Il docente della Luiss: “Non dare regole significa restare sul cordolo della legalità. Così fa comodo”

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A scuola di lobbying con Pier Luigi Petrillo che insegna sia la teoria che la tecnica dell’influenza del privato su chi governa il bene comune, chi decide, chi sceglie. “Già intravedo l’ombra di una preoccupazione, il fumo della polemica”.

Il lobbista si è meritato in anni di traffici sporchi la nomea del cattivo, del faccendiere, del trafficante di interessi illeciti.

Tutto giusto e tutto vero. Ed è il frutto di una scelta deliberata della politica che mai ha voluto che questa attività fosse esercitata in modo trasparente e pulito. Prima i partiti contenevano nel loro corpo gli interessi di particolari ceti e professioni e dunque, diciamo così, li regolamentavano intra moenia. Quando hanno perso appeal nella società hanno continuato a tenere al buio delle stanze chiuse i contatti e i raccordi.

Se le stanze sono chiuse e i discorsi sono segreti ritorniamo al vizio primordiale del lobbying: premere per far passare come interessi pubblici affari privati.

Se la politica, come abbiamo appena detto, non ha voglia di rendere lecita e trasparente questa professione è perché dovrebbe rispondere pubblicamente dei suoi atti, delle proprie frequentazioni, dei sì e dei no che dice. Dovrebbe assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Esempio: i farmacisti hanno tutto il diritto di spiegare le loro ragioni e spingere affinché la legge che regolamenta il loro settore vada in un senso o in un altro. Ma è giusto che il cittadino conosca sia il tipo di pressione esercitata su un provvedimento, sia le motivazioni del gruppo che le esercita sia la posizione del governante. Accoglie? Rigetta? E con quali motivazioni?

Invece l’ombra.

Non dare regole a questa attività significa tenerla sul cordolo della liceità, nel mezzo della luce e del buio, sul filo del pulito o se preferisce dello sporco. È una convenienza politica, ed è così chiaro che le aggiungo questa breve notazione.

Aggiunga pure. Continue reading

ALFABETO – CARLIN PETRINI Non solo cibo: è giusto (e pulito) superare il fossile

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Finalmente una chiacchierata con il cantore di una società finita, il teorico del marginale, l’anti moderno, l’eccentrico, il provinciale. “Così dicevano di me”.

Lei, Carlin Petrini, ha detto che bisogna tornare a zappare la terra. Con tutti i computer in giro la zappa se la dà sui piedi.

Caro amico mio, siamo viventi finché mangiamo. E la sovranità alimentare è la più preziosa delle sovranità di un popolo, la linfa essenziale della democrazia. Un popolo affamato non è libero, è solo schiavo. Internet non è un sostituto funzionale della zappa: permette invece di rendere più economica, utile e avanzata l’agricoltura. Il campo coltivato è il presidio di una comunità. Dove esistono filari di viti ben accudite, piante d’ulivo o di pomodoro, frutteti o grano, esiste la civiltà. Nel cibo c’è la nostra identità e la cultura, e nel cibo, come s’è visto, si affermano tanti talenti.

Spadellano da mattina a sera in televisione.

Quello è il registro pornografico del cibo. Intendo altro per civiltà, e anch’io non resisto dall’osservare questa compulsione ossessiva, il bisogno di traghettare la cucina davanti alle telecamere, l’esibizionismo che a volte fa rima con l’affarismo. Però c’è modo e modo, e c’è da distinguere tra i buoni e i cattivi maestri.

Oggi lei festeggerà i trent’anni di vita di Slow Food in trecento piazze. Domani gli italiani saranno chiamati al referendum sulle trivelle. Lei resta in salotto?

Ma scherziamo? Vengo dalla Spagna proprio per votare e tracciare sulla scheda un grande Sì. Oggi festeggiamo un lungo tratto fatto strada. Sembravamo visionari a teorizzare il primato della lentezza contro la capsula iperveloce dentro cui il nostro tempo sembra spingerci. Il primato della bontà contro la teoria del megastore, del cibo che sa di plastica. Abbiamo teorizzato il “buono, pulito e giusto” come fattore decisivo dello sviluppo dell’uomo. Cibo sano, quindi non inquinato, prodotto da chi ha titolo a un giusto salario.

Perché ritiene necessario andare a votare? Continue reading

ALFABETO – PIPPO CALLIPO. L’imprenditore del tonno di nuovo sotto attacco: “Sparassero pure. A costo di farmi crocifiggere, resto al mio posto”

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Undici colpi di pistola, undici proiettili di ringraziamento per il lavoro che almeno lui offre e non toglie alla Calabria. Per i contratti che onora con i lavoratori, per le retribuzioni come da tabelle di legge. Dopo dieci anni la ’Ndrangheta bussa di nuovo alla porta di Pippo Callipo, industriale del tonno, imprenditore di Pizzo Calabro. “Questa volta hanno preso di mira il resort”.

 Questa volta hanno scaricato tutto il caricatore.

Dieci anni fa spararono alle finestre dell’ufficio dove mi trovo adesso. Ma allora come ora non mollo, non lascio, non mi abbatto. Io resto in Calabria dissi. Così sarà.

Ha paura però.

È un sentimento umano la paura. Che fai, sorridi? Però so che la mia vita è qua, nella mia fabbrica, tra i miei operai.

Il tonno Callipo.

Qualità assoluta, il nostro mercato non subisce i colpi della crisi. La polizia mi ha chiesto: problemi con fornitori? Operai licenziati? I nostri fornitori non hanno ansie economiche e i lavoratori non hanno incubi. Nessun licenziamento, se potessi assumerei sempre.

Non è insopportabile questa Calabria che sa solo fare male e farsi male? Continue reading