Bonisoli, il ministro dell’Arte che s’annoiava durante l’ora di Storia dell’Arte

Il ministro dei Beni Culturali si chiama Alberto Bonisoli. Ieri era a Genova e in un incontro con storici dell’arte, rispondendo a una riflessione avanzata da un funzionario circa la inutilità dell’insegnamento della Storia dell’arte al liceo, ha dichiarato: “Anch’io la abolirei. Al liceo era una pena per me, quindi la capisco e condivido il suo disagio profondo”.

Non sappiamo se fosse nero sarcasmo né se le sue parole fossero una protesta contro la marginalità della materia che, nel piano di studi, trasforma una buona intenzione in una cattiva pratica, oppure una semplice battuta per stemperare una discussione e un confronto difficile.

Mettiamo pure che quest’ultima ipotesi sia la verità.

L’avesse detta un tubista, un tronista, un dentista, un idraulico, oppure Calenda, o Renzi o lo stesso Salvini, faceva parte del plausibile, del possibile, di questo mondo che cambia così velocemente che persino i pensieri corrono senza governo, senza prudenza.

Ma se il ministro che deve tutelare l’Arte in Italia, ritiene – pur scherzando – che l’insegnamento della Storia dell’Arte sia inutile e faccia pena, immagino perché noiosa pratica di studio, allora il sospetto che dell’Arte al ministro dell’Arte freghi nulla viene.

E spaventa pure un po’.

da: ilfattoquotidiano.it

Ossi di seppia

La visione del medico che insozza il lavabo del bagno dell’ospedale di Praia a Mare (Cosenza) intento a pulire le seppie fa domandare: ma chi è costui? Come può essersi ridotto così? Quanti sacrifici avranno fatto i suoi genitori per mantenerlo agli studi, offrirgli una vita degna, un lavoro importante, un ruolo sociale rilevante? Perché è finita così tragicamente la sua dignità, inghiottita nel lavabo, tra il nero di seppia e il camice bianco. E ancora: cosa ha fatto la Calabria per meritarsi un affronto così enorme alla civiltà, alle regole, ai doveri minimi ma inderogabili a cui ciascuno di noi è tenuto?

Ecco, partiamo proprio da quest’ultima domanda: i calabresi hanno fatto di tutto per respingere, denunciare, affamare i corrotti e i corruttori, hanno lottato fino alla morte contro gli indegni, hanno resistito fin che hanno potuto per difendere la propria dignità, il decoro pubblico?

Sebbene quel medico sia stato licenziato, una sanzione che sembra purtroppo una novità entusiasmante e non l’esito obbligato per quel comportamento incivile, resta pesante come pietra la domanda: cosa abbiamo fatto noi? Quante volte abbiamo visto e non abbiamo parlato, denunciato. Quante volte nelle corsie d’ospedale da cittadini siamo divenuti questuanti? Ci sembra uno sproposito esigere attenzione e cura da chi è pagato per prestare attenzione e cura. Ci sembra troppo esigere rispetto per il nostro parente ammalato e immobile. Ci hanno trasformati in clienti, cittadini senza diritti e senza dignità.

E noi abbiamo lasciato fare.

Grazie dunque a chi ha denunciato questo piccolo grande scandalo.

Perché è giusto dirlo: a cosa serve invocare il mondo nuovo se prima non cambiamo noi?

da: ilfattoquotidiano.it

Se la legionella fosse comparsa non a Brescia ma a Napoli…

Brescia la legionella? Come dite? Due morti e duecentoinfettati, forse di più? Ma davvero? La notizia è stata rubricata nei titoli di coda dei telegiornali, e dopo un primo, timido spavento, anche i giornali di carta hanno rimesso la penna nel taschino. Le autorità sanitarie, subito allertate, stanno provvedendo all’immediata diagnosi e assicurano che il batterioha le ore contate. Molto bene. Quando le cose funzionano come a Brescia, c’è da rallegrarsi.

Ora però pensiamo per un istante se quella stessa legionella, quei due morti e duecento infettati, fossero comparsi a Napoli, o a Bari, o a Catania. Sui tg sarebbe ricomparso il colera, mai dimenticato, e noi giornalisti avremmo affondato penne e pennini sulla sporcizia che sotto il Vesuvio non manca mai (e infatti Salvini già anni fa cantava “senti che puzza, arrivano i napoletani!”). Della sporca abitudine dei baresi di mangiare le cozze crude non ne parliamo proprio! Batteri in ogni luogo, e vibrioni, e polemiche, e il Time, e anche l’Economist: Napoli irrecuperabile! Napoli la svergognata, vinta da orde di batteri. Invece il vibrione, se così si chiama, è comparso nella splendida e civile Brescia, nell’efficiente e organizzata Brescia, e non è stato possibile approfondire oltre, capire meglio.

Il Nord è il nord. Infatti sarebbe mai stato possibile al Nord inaugurare un’autostrada, dichiarare completati i lavori malgrado 42 chilometri non siano stati mai toccati perché il tempo mancava e anche i soldi erano finiti? Chiunque si fosse arrischiato al bluff sarebbe stato preso a pernacchie. Al Sud è stato invece possibile dare per compiuta l’ennesima incompiuta. Anzi, Matteo Renzi, al tempo premier, due anni fa ha fatto di più. Ha dichiarato: “I lavori sulla Salerno-Reggio Calabria sono stati conclusi nei tempi previsti. Nessuno ci credeva. Promessa mantenuta!”

da: ilfattoquotidiano.it

L’Ilva non chiude, ma almeno Tamburi (il quartiere della morte) andrebbe raso al suolo

Il dito e la luna. L’antico proverbio orientale ci spiega che luna e dito appartengono a due dimensioni diverse, a due mondi differenti. Quando penso a Taranto, all’Ilva, al dilemma antico e quasi irresolubile tra lavoro, che dà dignità e speranza alla vita, e salute, che garantisce proprio alla vita la speranza, penso a quel che intanto non si è fatto, al tanto che intanto i tarantini, con l’aiuto degli italiani, avrebbero potuto già fare.

Le croci verdi delle farmacie illuminano la via principale di Tamburi, il quartiere delle polveri e della morte. Sembrano supermarket tanto sono grandi, affollate come le salumerie nell’ora di punta. Qualcuno avrà pure pensato che quei poveri cristi, intanto che c’è l’Ilva, non possono vivere lì, non devono vivere lì? C’è l’Ilva, sì. Ma esiste pure Tamburi. E se sulle presse e i forni, se spegnerli o meno, accordo non c’è né ci sarà, perché la paura di perdere il lavoro è più forte di quella di perdere la vita, lo Stato italiano, la Regione Puglia hanno almeno la forza di svuotare Tamburi? E per esempio ridare vita e speranza al centro storico della città, ora marcio come un dente cariato.

Se l’Ilva è troppo importante per l’economia nazionale e per i tarantini, se il lavoro deve sfidare la morte perché la paura di perderlo è più forte di ogni altra cosa, perché, intanto che si discuteva, si protestava, si scioperava, non si è scelta Taranto per l’Expo universale che invece si è tenuto a Milano? Salvare la terra, era il tema se non ricordo male. Taranto avrebbe avuto titolo e diritto a divenire piattaforma internazionale delle possibilità che la tecnologia offre all’uomo di mitigare i danni che la modernità produce, attutirli se non annullarli.

Direte: non si risolve così il problema. Certo che no, ma se la luna è là che aspetta il dito è qui che non si muove.

da: ilfattoquotidiano.it

Gallipoli, la verità è fastidiosa? E allora ci vediamo in tribunale

Il sindaco di Gallipoli mi ha querelato perché ritiene che la sua città sia stata diffamata da una Istantanea che la definiva “martire” della cafonaggine. Martire, cioè vittima della cafoneria altrui, del fuggi fuggi di furbi di ogni risma verso abusi di ogni ordine e grado che nel tempo hanno reso l’estate una corrida, e quel luogo d’incanto una piattaforma esplosiva di odori, umori, rumori dentro cordoni di cemento espansivo.

Era un giudizio severo, sul quale naturalmente si poteva essere in disaccordo, ma fondato sulla verità non sulla manipolazione. Era e resta un’opinione critica, del tutto legittima e, a leggere i commenti e le adesioni che seguirono, anche piuttosto apprezzata.

Ma gli scritti quando non sono adulatori risultano antipatici. E invece di cercare nella realtà dei fatti la ragione della critica, si trasforma in fantasia la realtà, il giornalista in nemico, l’articolo in una pugnalata alle spalle.

E così la querela, strumento posto per difendere la verità dagli abusi, diviene essa stessa un abuso, una forma di intimidazione, una manifestazione pubblica di un potere irresponsabile. Chi è che valuta se la querela è temeraria o fondata? E chi pagherà se l’atto giudiziario dovesse rivelarsi non solo inefficace, ma palesemente abnorme, fuori dai confini della legge?

Si parla tanto di fake news, tantissimo di giornalisti “prezzolati” , “venduti”, “reggicoda” e via dicendo, tanto ciascuno ha in tasca l’insulto appropriato.

Poco, troppo poco, di questa pratica che pretende le opinioni controllate, devitalizzate, gustose ed espettorabili come chewing gum.

I fatti sono fatti.

Arrivederci in tribunale.

da: ilfattoquotidiano.it

La nomina di Dino Giarrusso e quella scandalosa ipocrisia

Enormi afflizioni si leggono per la nomina di Dino Giarrusso, giornalista, ex Iena, a un improbabile comitato di controllo dei taroccamenti dei concorsi universitari. Se c’è un fatto acclarato, documentato e definitivo è che all’università il concorso misura la conoscenza col Prof, il sapere viene declinato nella relazione, buona o cattiva, che il Prof custodisce con gli altri membri della commissione esaminatrice, e il talento, in definitiva, resta un optional. Decine e decine di inchieste e anche di arresti, l’indicazione di baroni e baronie non hanno intaccato di un millimetro il principio di realtà. Come era, è. Un’offesa incalcolabile alla giustizia e al principio di uguaglianza di fronte alla quale nulla è stato fatto. Nulla. Semplicemente perché nulla sembrerebbe possibile fare.

Ora io chiedo: è scandalosa la nomina a uno scranno che non esiste, per un incarico che non esiste, come pure il proponente, il sottosegretario dell’Istruzione, ha dovuto ammettere quando ha illustrato il senso del mandato? Giarrusso, credo, leggerà gli esposti che ritraggono situazioni truffaldine e che arrivano copiosi agli uffici ministeriali. Dopo di che? Li manderà in Procura credo.Ma non è Giarrusso che giudicherà i candidati a un posto di ricercatore, non sarà lui a decidere le qualità scientifiche dell’uno invece che dell’altro. E semmai la critica, doverosa e inoppugnabile, sarebbe stata un’altra: la scelta di un giornalista che ha fatto parte di una trasmissione popolare d’inchiesta (con alcune vistose sbandate, c’è da aggiungere) resta propaganda, rispetto al problema irresolubile di ripulire l’Università, per quel che si può, dalle clientele. Urlare allo scandalo dell’incompetenza al potere, anzi dell’inconsistenza al potere, ironizzare, fare del sarcasmo contro questa pseudo nomina è la prova regina che la luna è là che aspetta il tempo in cui noi decideremo finalmente di guardarla, perché non ne può più neanche lei di vedere indicato solo e sempre il dito.

da: ilfattoquotidiano.it

Giorgetti evoca la chiusura della ditta? Appare una mossa di ingegneria finanziaria

Con le parole si può costruire un mondo nuovo, dire di sofferenze e gioie, spiegare, o anche tacere, e persino confondere, simulare. Ieri Giancarlo Giorgetti l’uomo che cuce le relazioni di potere leghiste e le tiene coperte, ha rivelato nella bella Confessione a Peter Gomez, durante la Festa del Fatto Quotidiano, che se i giudici decideranno di confermare il sequestro dei soldi che il movimento ha abusivamente detenuto, i milioni di euro (molti dei quali spesi, sic!) utilizzati al di fuori delle regole e della legge, il Carroccio sarà costretto a chiudere bottega.

Quel che Giorgetti ha taciuto, e che noi seguendo il suggerimento di Giulio Andreotti (“a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”) immaginiamo invece, è che la chiusura della ditta risponda a una triste e conosciuta strategia di ingegneria finanziaria.

La Lega ha le casse sfondate, quindi inservibile. Metterla in liquidazione, magari dando la colpa ai giudici, è il miglior modo per sottrarsi alle responsabilità di aver partecipato in qualche modo all’utilizzo illegale dei fondi. Farla divenire una bad company e trarre da questa operazione, che in Italia ha antichi maestri, il profitto politico necessario. Presentare alle prossime europee un simbolo nuovo di zecca, senza debiti e soprattutto senza memoria. Un partito nuovo, per un centrodestra nuovo, con un leader nuovo di zecca: Matteo Salvini.

E chi si è visto, si è visto.

da: ilfattoquotidiano.it

Di chi è la panchina? Di chi un albero? La legge che insegna ai piccoli a non divenire barbari da grandi

Di chi è una panchina? E un albero? E un palo della luce? Dove può fare la cacca il cane? Come bisogna parcheggiare l’auto? Cosa bisogna fare con una busta di rifiuti?

Provare vergogna per i barbari che insozzano, distruggono, disprezzano il bene comune è un sentimento legittimo ma non sufficiente. Bisogna che ci siano meno barbari e barbare in giro, magari con le mecche appena fatte, la camicia a fiori, in giacca e cravatta, distinti e puliti all’apparenza, ma incivili nel buio della loro coscienza sporca.

L’inciviltà è un effetto collaterale dell’ignoranza.

Far capire a un bambino che una panchina è di tutti, che se si sporca poi bisogna pulire, che il bene comune è appunto un bene acquistato in comune, con i solidi di ciascuno di noi, aiuterà a farlo crescere in modo meno barbarico, e aiuterà noi tutti a vergognarci di meno di quel che siamo o stiamo divenendo.

sindaci italiani stanno promuovendo una legge per introdurre fin dalle elementari un’ora di lezione civica, di “educazione alla cittadinanza”.

È un ottimo contributo che si darebbe alla conoscenza, quindi alla civiltà.

Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, l’associazione nazionale dei comuni, è impegnato da tempo sul fronte dell’impegno alla videosorveglianza degli incivili. Non solo con la telecamera ma con esposizioni video mirate e piuttosto convincenti, come potete qui vedere, per spiegare che i barbari – di ogni età, razza e condizione sociale – non possono vincere. Questa legge è un piccolo ma grande atto di resistenza civile. Nel municipio del vostro comune potete persino firmarla.

da: ilfattoquotidiano.it

L’immigrazione percepita e quella reale. Perché l’informazione fa rima con manipolazione?

In Italia la popolazione straniera immigrata è pari al 7 per cento del totale. Uno studio dell’Istituto Cattaneo ci dice che a noi sembra di vederne molti di più: almeno quattro volte di più del reale. Percepiamo un dato falso e lo assumiamo come vero.

Se c’è umido fa più caldo. E la temperatura reale aumenta d’intensità nella nostra percezione. Aumenta il peso di quel caldo sul nostro corpo.

L’alterazione della percezione è un fenomeno non solo metereologico. È precisamente l’oggetto della propaganda politica, strumento legittimo che i partiti usano per illustrare le loro buone ragioni massimizzando la positiva percezione di esse attraverso lo screditamento delle tesi opposte. È anche una tecnica pubblicitaria. La propaganda serve a sopperire all’assenza di passione, al comune sentire che può farci ritrovare uniti per il medesimo ideale di società. Qual è allora il ruolo dell’informazione? Quello di mitigare la propaganda, ridurre l’alterazione della percezione, fare in modo che i nostri occhi guardino la realtà per come essa è, non per ciò che appare a noi.

Ecco perché la politica ha il massimo interesse a gestire, governare, dominare il mondo dell’informazione. Non a caso i primi avvicendamenti che ogni governo decreta, anche questo come si è visto, sono quelli che fanno capo alla Rai. E non a caso ogni politico si dota di addetti alle comunicazioni che svolgono il doppio compito di agevolare la conoscenza degli atti prodotti, magari amplificarne gli esiti, e ridurre al massimo quelli negativi.

Un’informazione assoggettata, contigua, o soltanto amica dell’uno o dell’altro protagonista in campo ridurrà o aumenterà l’enfasi di una notizia, e la tratterà attraverso un processo di manipolazione. E, come nel caso dell’immigrazione percepita, agevolerà il radicamento di un dato falso in luogo del vero.

L’informazione, per essere libera, deve essere autonoma, e per essere autonoma deve avere i conti in ordine, deve poter avanzare sulle proprie gambe.

Perciò è necessario leggere, approfondire, e pagare l’informazione. La conoscenza è cibo per la mente, è come il pane a tavola. Andreste dal fornaio senza soldi in tasca?

Ricordate sempre, e mi rivolgo ai tanti che utilizzano i social per conoscere (ed eventualmente deliberare), che l’unica cosa che vi viene offerta gratis è e sarà sempre la pubblicità.

da: ilfattoquotidiano.it

Con Autostrade il contratto è stato preparato dal governo o dal Madoff dei Parioli?

Gianfranco Lande, detto il Madoff dei Parioli, ha fregato un sacco di gente. Broker di provata esperienza ha fatto evaporare circa 300 milioni di euro. Prometteva a una clientela affezionata e selezionata dal 6 al 20 per cento di interessi sui conti aperti presso la sua società. Lo Stato italiano, nella convenzione con Autostrade, si è posto nel mezzo: ha garantito all’investitore (sic!) una remunerazione fissa mai al di sotto del 10 per cento e, a differenza di Madoff, ha onorato l’impegno.

Una bellezza, una magia, un sogno d’altri tempi, giacché quella cifra tonda e pingue sarebbe divenuta una rendita parassitaria, una assicurazione sulla vita per un pugno di già ricchissime e influenti famiglie.

Come sia stato possibile che lo Stato italiano, che paga ai suoi creditori tassi non superiori al 4 per cento se va bene (ma mediamente la percentuale è di molto inferiore) si sia travestito appunto dal generoso Madoff che abbiamo conosciuto alcuni anni fa, non è un mistero. È invece soltanto una vergogna.

Stilare accordi capestro di tale portata, per cifre di tale dimensione e su beni di tale rilevanza è un atto anzitutto criminale, prima ancora che squalificante.

Il governo è stato Cavalier servente del privato, non il proprietario di un servizio primario che la collettività paga e ripaga.

Bene fa, in questo caso, Luigi Di Maio a imporre una rottura, una scelta netta di cambiamento. E’ appunto questo il cambiamento che ci si augura: far arricchire un po’ di meno i già ricchi, e aiutare un po’ di più gli ancora poveri. Ed è questo il tema che deve tenere banco nel dibattito politico: come lo Stato spende i suoi soldi, a chi li toglie e a chi li regala.

Altro che gli sbarchi di centotrentasette disperati. Queste sono armi di distrazioni di massa che naturalmente Matteo Salvini usa forse anche per nascondere, guarda un po’ tu, la prudenza che sfiora la sudditanza, della Lega nei confronti di Autostrade.

Ah, già, dimenticavo che Salvini autorizzò col suo voto in Parlamento la concessione capestro e ogni altra cornucopia.

Matteo o lo smemorato di Collegno?

da: ilfattoquotidiano.it