Il sogno perduto nel regno delle piastrelle

A SASSUOLO L’INDUSTRIA DELLA CERAMICA HA GENERATO A LUNGO BENESSERE E LAVORO. TUTTI TROVAVANO UN SALARIvivalitaliaO, FINO A VENT’ANNI FA: MAGREBINI, ALBANESI. POI IL CROLLO VERTICALE E LE FABBRICHE CHIUSE. OGGI IL COMUNE RISCHIA IL FALLIMENTO. IL CALCIO E’ IL VERO ORGOGLIO: I SOLDI DI GIORGIO SQUINZI HANNO REGALATO LA SERIE A
Piastrelle di tutto il mondo, unitevi! Negli ultimi vent’anni del secolo scorso non c’era pavimento che non provenisse da qui, non c’era bagno senza questa ceramica, né cucina né terrazzo né cantina, pisciolo, anfratto, angolo comunque costruito e levigato. E qui a Sasòl non c’era famiglia che non avesse una mano nell’argilla, il tesoro rosso. Finirono le mani e si dovette chiamare aiuto: accorsero da ogni parte, soprattutto dal Maghreb. Forza lavoro, braccia robuste per i forni.
Un salario e un letto per tutti. E la città ingrassò al punto di sfiorare i cinquantamila abitanti e averne circa diecimila estranei al suo dialetto, alla sua cucina. S’andava così forte che non solo l’Italia, ma anche la Germania, l’Inghilterra, l’Europa intera e perfino New York si rifornivano di piastrelle lungo la via Emilia, le code dei Tir s’allungavano tra Parma e Modena fino a costituirne un tratto continuo. Lunghi pennacchi di fumo verso il cielo, i capannoni e le fornaci lavoravano a turni continui, e in basso, per strada, le puzzolenti scie figlie di irresistibili marmitte. Però tanti soldi per tutti. E tanta nebbia per tutti.


La produzione precipita e il centro si svuota
Oggi sembra un altro mondo. Il traffico è scomparso senza che una sola bretella sia stata costruita, una corsia raddoppiata, uno svincolo ampliato. I Tir si sono fatti così rari che paiono cinghialoni smarriti nella Bassa. Solo auto, molte di piccola cilindrata. Anche i magrebini (e gli albanesi, e gli ucraini e tutte le altre etnie dei soggiornanti) hanno ripreso la marcia verso altri lidi. La città si è rimpicciolita, oggi sono in 40mila ad abitarci. E’ più larga e molto più vuota. Non c’è quasi più la Lega, che perfino qui, dunque in periferia rispetto al baricentro lombardo, sfiorava il 18 per cento dei voti. Non c’è quasi più la nebbia, che era la indiscussa padrona di casa, e soprattutto non ci sono i soldi, almeno quelli di una volta. “Una caduta verticale di produzione, un mercato che si è fatto corto, domestico, un affanno che si protrae da due decenni oramai. La crisi è giunta prima qui e poi nel resto del Paese. Ed è giunta quando le piastrelle hanno imparato a farle anche gli asiatici e gli australiani, gli americani e gli europei. Il mercato si è fatto prevalentemente domestico, da 650 milioni di metri quadrati la quantità della produzione si è ridotta a 350 milioni, ed è stato un arretramento costante, forse inevitabile, certo straordinario”. All’università di Modena Tiziano Bursi insegna marketing internazionale. Valuta la prova di nuova povertà a cui è sottoposto –oramai da parecchio tempo– questo popolo così ricco, comunista e lavoratore. “Intendiamoci: è un territorio ancora solido e strutturato, non ci sono i mostri e i vuoti e le disgrazie che altrove si vedono e si narrano. Ma la recessione si consolida, il mercato è asfittico senza che all’orizzonte si veda un’inversione di tendenza. Resiste l’export a medio raggio, ma interi mercati si sono persi definitivamente”. A Sassuolo, la capitale della ceramica, teatro di due grandi migrazioni, quella del sud Italia, primi anni 70, e l’altra –vent’anni dopo circa– africana e dell’est europeo, la vita è cambiata e pure le abitudini. Era il perno della società piccolo-industriale, della comunità sviluppata a rete sovracomunale, il distretto appunto, avanzata e progressista. Oggi si ritrova infragilita, piena di paure. Se non c’è futuro i pensieri e i discorsi vanno sempre alla memoria, come due anziani che ai giardinetti rievocano la giovinezza, le belle ragazze, il tempo della balera.
Eppure Sassuolo non è stata mai nota come oggi. S’è perso il lavoro ma c’è il calcio, questo miracolo di squadra che pure senza stadio è giunta fino in Serie A.
E oggi, proprio oggi, in classifica è a un punto dal Milan. La storia insegna, diceva Gramsci, ma qualche volta sorprende anche: fuori nevica però dentro un po’ si fa festa. Chi l’avrebbe mai detto e neppure sognato? “È un orgoglio indiscutibile, siamo veramente fieri”, dice la signora Rosa, al mercato di piazza Garibaldi mentre passa in rassegna un plotone di maglie intime: “Sa, viene il freddo e bisogna coprirsi bene alla mia età”. Sassuolo, anche questa però è sfortuna, può vedere i suoi calciatori solo quando si allenano. Il campo non è omologato per la massima serie e il signor Mapei, patron della Confindustria e della squadra, ha deciso di trasferire bottega alla domenica in quel di Reggio Emilia, al “Mapei Stadium”, per l’appunto. Resta l’allenamento per i concittadini, il lavoro settimanale, le sgambature e i dribbling di prova dei calciatori allenati da Eusebio Di Francesco, un tecnico promettente che sa farsi rispettare e che, pian pianino, sta conducendo la squadretta emiliana con onore fuori dalla giungla della zona retrocessione. Andiamo a vederli questi giocatori, maglia nero verde a strisce verticali, accompagnati da Leo Turrini, gran cronista di motori ma frequentatore, per mestiere e per piacere, di tanti spogliatoi di calcio. “La storia del Sassuolo è unica e interseca la vita economica di questa città. Quando qualche anno fa la società era boccheggiante il sindaco del tempo la offrì al signor Sghedoni, il proprietario della Kerakoll, industria importante e marchio tra i più prestigiosi. La sua colla serve a inchiodare il pavimento in terra. Ma Sghedoni, nostro concittadino, rifiuta, non lo ritiene un buon affare. Quando viene a sapere della rinuncia da Milano si fa vivo Giorgio Squinzi. Lui è industriale di prima grandezza, e non è un caso che oggi sia il presidente di Confindustria, ed è il mago assoluto della colla, e la sua Mapei, che qui ha naturalmente una sede distributiva importante, decide di scendere in campo nel senso letterale del termine”.


Mister Mapei e il pallone. Gli unici conti che tornano
L’avventura dunque trascolora: da sportiva diventa un’appendice della competizione industriale tra due marchi che pur nella differenza delle dimensioni (Mapei è più grande di Kerakoll) beccano nello stesso settore merceologico.
Squinzi sopravanza Sghedoni e forse, in cuor suo, decide di provare a mostrare al competitor che la superiorità non è un dono divino ma talento terreno, pratica quotidiana. La prova gli va benissimo e forse, proviamo a dedurlo, conferma a Squinzi che lui è il più forte, il più bravo ovunque si applichi. La squadretta inizia a correre, avanza di grado anno dopo anno e da provinciale diventa nazionale. Oggi il Sassuolo gioca con la Roma, con la Juve, col Napoli. Il paradiso, insomma.
Il problema però è che oltre il pallone nulla più sembra avere fortuna. L’industria boccheggia, e pile di piastrelle si segnalano nei grandi piazzali, cubi incustoditi e soli, coperti dalla plastica ingiallita aspettano che qualcuno li porti via. Ma anche in municipio si fanno i conti con i debiti che sono giunti a una cifra inimmaginabile: cifra ancora non chiara, ma milioni e milioni di euro mancano all’appello e ritardano l’approvazione finanche del bilancio preventivo del 2013. Soldi già spesi. Ieri, nell’ultimo giorno utile pena il commissariamento, è stato convocato il Consiglio comunale che deve trovare le coperture, le carte a colore per andare avanti. La Giunta di centrodestra traballa, poco a poco i consiglieri di maggioranza se la sono svignata.
Al banchetto del comitato civico, tra la piazza e via Menotti, il corso principale, si distribuiscono le pagelle e si raccolgono le firme. I leghisti sono fuggiti, squagliati. Chi ha resistito alla passione della politica ha cambiato casacca. “Questo sindaco è totalmente incapace –dice Mauro Guandalini, ex del Carroccio– sta facendo fallire la città. Pensi che l’Enel ci ha ridotto la fornitura perché siamo morosi. Al cimitero sono stati spenti i lumini, nessuno ha soldi per pagare le bollette, l’azienda municipalizzata è alla frutta. Siamo a questo. Siamo al fallimentooo”. La sua voce s’innalza, il tono si fa drammatico. S’avvicinano due ragazzi di Sel, anche loro con le bandiere e il banchetto raccogli firme, e osservano muti.
Sassuolo celebra così in contemporanea il declino dell’industria e il funerale della politica che accompagna l’autunno della città. In periferia capannoni vuoti per la crisi della ceramica, in centro serrande abbassate per il default del commercio. Oltre gli outlet non si va. Se c’è una necessità ecco il mercatino: tutto a dieci euro. E poi i banchetti della protesta, le bandiere, i volantini. La ricchissima Sassuolo mette le mani nelle tasche e le scopre vuote. Si andava al cinema. Ora non più. Non esiste una sala. Si andava a ballare: negli anni d’oro edificarono qui il Moulin Rouge padano, convocarono Walter Chiari per dare un avvio strepitoso alle danze e alle risate. Il comico si fermò trenta giorni e ogni sera, di quelle trenta che visse qui, andava in scena. E ogni sera, fisso, il corpo di ballo del Piccadilly apriva le danze. Gambe all’infuori e tette al vento per operai e impiegati, per i compagni e per i padroni. Altro che Sassuolo, vieni a Las Vegas! Luci, motori (Maranello è a qualche chilometro con la sua Ferrari), donne, assegni, amori. C’era solo da scegliere come divertirsi.


L’assedio dei creditori e la resa dei cittadini
È tutto finito, e tutto è morto. Quella era un’altra vita e un’altra città. La città di Caterina Caselli, di Pierangelo Bertoli. Anni belli, ma passati. Persino l’immigrazione, soprattutto nordafricana, era riuscita, tranne pochi anche se acuti momenti di tensione, a espandersi senza violare l’humus locale, il senso del limite. Era questa città il più formidabile teatro della integrazione e della trasformazione da piccolo e provinciale ceto imprenditoriale in una grande rete multinazionale di marchi: Marazzi, Iris, Florin, Emilceramic. Una punta così avanzata che quando Gad Lerner dovette immaginare le prime puntate su Raitre di Profondo Nord, l’Italia vista da Milano, scelse le ceramiche di Sassuolo come segno di una alterità profonda col resto del Paese. Sassuolo è stata anche la palestra di Romano Prodi, il primo a studiare e poi a scrivere del “miracolo delle piastrelle”. Da queste parti iniziò la campagna elettorale per la conquista di palazzo Chigi nel ’96. Terra di amici, di fedeli collaboratori e soprattutto di indiscutibili elettori.
Come sempre i guai non vengono mai soli. E tra le stranezze che la stanno conducendo in un purgatorio infinito anche la consegna, che oramai risale a quattro anni fa, di un ex missino alla guida della città. Il Pd è riuscito a perdere le elezioni. Ebbe persino il fegato di candidare a sindaco un forestiero in momentanea crisi di poltrona. Era stato presidente della Provincia e non si sapeva dove piazzarlo. I dirigenti del partito rifletterono un attimo e poi decisero: ma a Sassuolo! Sassuolo gli diede una gran legnata e tutto finì tra le lacrime progressiste. Peggio ancora per le proposte al Parlamento: per trent’anni non ha mai visto un deputato o senatore nativo dalle sue parti. Qui solo paracadutati anche se maleducati. Solo dalle ultime politiche il centrosinistra ha un deputato suo: Matteo Richetti, il capobandiera dei renziani, giovane, dinamico conducator della riscossa.
Però il centrodestra, benché miracolato, alla prova dei fatti si è rivelato incapace di raccogliere la fortuna elettorale.
Il municipio è un fortino assediato dai creditori, il sindaco in preda a frequenti e giustificate crisi di panico: coperto di debiti, incapace di farvi fronte, è immobile come quei cipressi nei giorni d’afa. Non arretra e non avanza. Intanto è la città a pagare. Opere pubbliche ferme, bloccata anche la manutenzione ordinaria. In arrivo solo decreti ingiuntivi. La cassa però è vuota, bruciata nei forni dei capannoni dismessi.
Tasche vuote, mani in alto. Anche Sassuolo sta per arrendersi.
da Il Fatto Quotidiano, domenica 1 dicembre 2013

Manette e guai. C’era una volta la verde Verona

vivalitaliaScene di declino nella roccaforte del leghista Flavio Tosi. Arresti e scandali nelle agenzie comunali, dimissioni per il vicesindaco, indagato per corruzione. Il primo cittadino semina querele e s’improvvisa progressista, ma la popolarità è in caduta libera e il benessere cala. La gente si consola con due squadre in Serie A


Finalmente è derby. Anche Verona, la più piccola delle grandi città (o la più grande delle piccole) ha il suo fantastico derby di calcio: Hellas contro Chievo. Scende in campo il ceto dirigente e dominante contro la periferia, la storia contro la cronaca, i vip contro i nuovi arrivati. L’Hellas è Verona, e quest’anno fa sognare, il Chievo -sempre nelle retrovie della classifica del campionato di Serie A- rappresenta una sua porzione minuscola, un’appendice, una escrescenza della città nel pallone. Il sindaco è un ultras e naturalmente sta di qua. E col granduca Flavio Tosi, nella curva degli innamorati pazzi, anche le aziende municipalizzate che sono vagoni merci, lunghe filiere di benessere familiare e clientela politica. L’azienda del gas che nella convenzione cittadina è naturalmente l’azienda del sindaco, sponsorizza l’Hellas: 350mila euro il primo anno con opzione per il secondo. “Aderisci all’offerta di Agsm che ti fa risparmiare e ricevi subito la maglietta originale del Verona”, così il primo entusiastico volantino. Con l’aggiunta di una particolare offerta municipale agli abbonati di Verona e “solamente” a loro: sconto del 5,5 per cento sull’energia elettrica e di un centesimo per ogni metro cubo di gas consumato.

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Far west Latina, la mangiatoia dal cuore nero

L’EX LITTORIA, FONDATA DA MUSSOLINI 81 ANNI FA, È IL CROCEVIA DI MILLE INTERESSI
DAL “SISTEMA FONDI”, IL COMUNE CHE BERLUSCONI NON VOLLE SCIOGLIERE PER MAFIA, ALLA SOCIETÀ DI MARIAROSARIA ROSSI, L’ACCOMPAGNATRICE DI SILVIO. NEL CAPOLUOGO SENZA EROI MA PIENO DI SUV, L’ORGOGLIO LOCALE È LA SQUADRA DI CALCIO CHE GIOCA IN B

vivalitalia
Non confondere mai l’insolito con l’impossibile. Non scambiare mai Latina con una città. Centro di raccolta e smistamento di dialetti locali, è il punto geografico dove veneti e friulani, emiliani e marchigiani, seguiti dai napoletani, calabresi, siciliani, rumeni e infine albanesi sono confluiti e poi si sono espansi: chi a nord; chi a sud dell’Agro. I primi per bonificare le paludi e trovare il modo di sfamarsi negli anni del Duce, quegli altri, immigrati della seconda e della terza ondata, per affinare l’arte di far soldi, alcuni di essi con la spiccata propensione di ridurre in un clic (qui inteso nel suono del tamburo di una pistola) il tempo della provvista.
Il potere dei boss, il fantasma del Duce
Latina ha solo 81 anni, conta 120 mila abitanti, è di ferma e indiscutibile indole fascista (l’amatissima Littoria!), ma di facili costumi. La giovincella è infatti assai viziosa e in questo spicchio laziale arato dai coloni, ma trascurato dalla stampa e dalla tv, si produce la più estesa e malandrina farcitura di criminalità organizzata, delinquenza finanziaria e devianza politica. Una ragnatela di boss scompone la gerarchia sociale e a volte si sovrappone al ceto dirigente rendendo incerto il confine tra mondo legale e illegale. Walter Veltroni, quando lesse le pagine d’accusa della locale prefettura sul “sistema Fondi”, il Comune come sede dello snodo cruciale della politica pontina, ebbe un soprassalto. Non si aspettava che nei dintorni di Sabaudia, dove lui e tanti vip romani trovavano e trovano le meravigliose dune ad attenderli nel weekend, si fosse sviluppato un club di altissimo malaffare.

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Berlusconi ritorna alla dittatura del ’94

CONSIGLIO NAZIONALE, NULLA CAMBIA: È COLPA DI “COMUNISTI” E “MAGISTRATI”
NOVITÀ: ALFANO NON È PIÙ UN “INFEDELE”, PUÒ VENIRE BUONO PER IL FUTURO
Qualcosa non va stamane. Il cielo è grigio e come pretendere di più da novembre, ma il torpedone con la scritta Angelino sulla fiancata è una disgraziata circostanza, fa male vederlo. Non ci sono bandiere, neanche tifosi. Dieci vecchietti molto spossati dalla temperie politica si aggirano per la curva sud del palazzo dei Congressi spogliato da ogni luce berlusconiana. Non una hostess, una coscialunga, né un gadget, un libro, un filmino. Restano le mura alte e squadrate dell’architettura fascista, l’impianto marmoreo è tale da rimandare allo scenario di un’assise comunista della Ddr ai tempi di Honecker.

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Tutto il fuoco attorno al Vesuvio

L’EDILIZIA SELVAGGIA, I PIANI DI EVACUAZIONE CHE NON FUNZIONEREBBERO, L’ETERNO PROBLEMA DEI RIFIUTI, CRIMINALITÀ E CAMORRA DENTRO IL CUORE DI UNA CAMPANIA ALLA RICERCA DI UN RISCATTO IMPOSSIBILE, MENTRE GLI UNICI SUCCESSI SONO QUELLI DEL NAPOLI DI BENITEZvivalitalia
Fuma la terra lungo le curve che da Agnano portano a Fuorigrotta. Si alzano colonnine nere come fossero figlie di un arrosto di catrame all’altezza dell’edificio che gli americani hanno abbandonato (era la vecchia sede della Nato). Chi vuole entra nel palazzone e sporca, strazia, struscia, rompe o solo lo sfiora incolonnato in auto nell’attesa di arrivare allo stadio. Il calcio è l’unica impresa che funziona a Napoli e dai tempi di Maradona il catino dove l’allenatore Benitez schiera i suoi uomini non appariva il covo di felicità compulsiva che sazia al punto da arrivare fino alla bocca dello stomaco e poi eruttare. Felicità sgraziata, rumorosa, mediamente eccessiva. Anche il San Paolo, come quasi tutto a Napoli, poggia i piedi sul cratere e sebbene la Protezione civile abbia innalzato il livello di attenzione (secondo dei quattro gradi di pericolo previsti) le caldare dei campi flegrei si trasformano da pericolo immanente a falso storico, fonte di ispirazione creativa per gli ultras. Il Vesuvio erutta in curva, fuoco denso e rosso, tra le migliaia di comparse che costruiscono la sceneggiatura perfetta: il fuoco che allaga diviene rappresentazione di gioia pura, distillata, insuperabile. E poi sul fuoco e sui lapilli, sulla brace e sulla cenere, milanisti, interisti, juventini, romanisti quando trovano gli azzurri di fronte impegnano la loro voce: “Vesuvioooo, lavali con il fuocoooo”. I partenopei restituiscono le cortesie: “Alè Vesuvioooo, il Vesuvio è la terraaa che amiamooo, dell’eruzione ce ne freghiamooo”.Continue reading

Insulti, liti e sfottò Onorevole sfogatoio su psyco-Twitter

I POLITICI GIORNO E NOTTE SUI SOCIAL NETWORK PIÙ “CEFFONI DIGITALI” PRENDONO E PIÙ INSISTONO
Sono continue sputacchiate all’onor proprio, allusioni crudeli, accuse plateali. Su psycotwitter il potente trascina oltre la mente il proprio corpo nella consapevole quotidiana penitenza. La questione si fa perciò tremendamente psicopatologica. I social network divengono l’agorà dei flagellanti, misura contemporanea della loro fede nella redenzione, incessante prova che solo attraverso l’umiliazione si raggiunge la salvezza eterna. È dunque rito religioso al pari dei movimenti cristiani del Medioevo quello che va in scena a ogni ora del giorno e della notte. Non c’è altra possibile incoscienza. Mariastella Gelmini, ha prima pensato e poi scritto questo tweet: “Benedetta, 6 anni, e la sua mamma mi chiedono di comunicare al presidente Berlusconi solidarietà, affetto e stima”. È chiaro, cerca la forca. E la trova. Luca Canale domanda: “Per caso la mamma ha 23 anni?”; Gabriele: “Tornavano da Amsterdam, sicuro”. La Gelmini avrà pianto o sorriso? Avrà letto, avrà riflettuto?Continue reading

Il marketing Pomì e la coscienza sporca del passato

IL SAN MARZANO TRASLOCA NELLA PIANURA PADANA, AL SUD RESTANO LE CENERI
Persino il pomodoro è espiantato dalla sua terra, dirottato, evacuato dalla Campania verso il nord padano. Non c’è misura alla pena e alla rabbia che si nutre di questa infinita impotenza: vedere trasformata nel silenzio agnostico, in questa mortale indifferenza una terra fertile in pattumiera. È tutta la Campania a essere messa in un secchio e trattata come un liquame. I suoi tesori alimentari, prima la mozzarella poi il pomodoro, ridotti a teste d’accusa. Non c’è che dire a Pomì, l’azienda che ha scelto per i suoi clienti di estrarre il concentrato dalla pianura padana, di trasferire il San Marzano dalle parti Piacenza, di capovolgere la cartina geografica, sovvertire l’identità culturale, rendere neutro un prodotto tipico, anestetizzarlo pur di venderlo.Continue reading

Caro Gino Strada, apri un ospedale in Calabria

Se Gino Strada accettasse di realizzare un ospedale di Emergency a Praia a Mare, come implora una petizione popolare di cittadini calabresi lasciati senza difesa della propria vita, compirebbe un atto platealmente e letteralmente rivoluzionario. Riuscirebbe a dimostrare, e questa volta senza alcuna possibilità di equivoco, il grado di delinquenza di un intero sistema che macina soldi per sfornare corpi inanimati e persi nei corridoi delle case della salute. Quell’ospedale da campo sarebbe la migliore forma di resistenza civile, la testimonianza permanente della nullità dello Stato, ridotto a brandelli da bande criminali che lo uccidono ogni giorno dal suo interno. Chiamerebbe tutti noi a spalancare gli occhi davanti alla più crudele delle verità. Se la sanità sfascia i corpi invece che aggiustarli, è anche perché, prima ancora della politica, chi è chiamato a sorvegliare la nostra vita e rianimarla quando è in pericolo, sostenerla quando siamo più deboli e più soli, ritiene che questa sia oramai una sua mera facoltà, atto individuale possibile, sperabile, ma non certo, dovuto, obbligato. Continue reading

Politici che rubano sulle mense dei bambini

Riusciamo ad andare in galera o no?”. L’agghiacciante quesito è il fondale perfetto della gara di disumanità che si è tenuta a Verona, dove la sabbia, sì proprio la sabbia, è divenuta elemento qualificante del menu per i bimbi delle scuole pubbliche cittadine. Gli arresti, numerosi e importanti, all’interno dell’agenzia comunale chiamata a provvedere alle mense scolastiche, documentano una tragedia ancora più acuta e definitiva. Nella nostra testa abbiamo memoria di mazzette e di tangenti, gare truccate, limate, file sostituiti, inganni pianificati e perpetrati o anche solo ideati, nella continuità ideale di una devianza costituente, un morbo intraducibile e inestirpabile dell’identità dell’amministrazione pubblica. Il Sud è stato sempre un passo avanti nella gara alla furfanteria, ma in questo caso il Nord (pure leghista) della civile Verona, così tanto propagandata attraverso l’immagine del pragmatico sindaco Tosi, conferma il sospetto che non c’è limite al peggio e non c’è salvezza verso gli abissi. Continue reading